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giovedì 2 dicembre 2010

ADDIO BABBO NATALE...

- di Saso Bellantone
Alcuni giorni fa ho assistito a una simpatica conversazione, ma interessante nella sua brevità. Stavo gustando un caffé al bar, senza zucchero naturalmente. A un certo punto la barista ha chiesto a un bambino, che era assieme al nonno, cosa gli avrebbe portato quest’anno Babbo Natale. Ridendo a fior di labbra e guardando ora la barista ora il nonno, il bambino ha risposto: “devo ancora scrivere la lista!”. Abbiamo riso tutti, ma quando sono uscito dal bar, il caffé mi è sembrato più amaro del solito: in quella occasione, infatti, ho assistito alla morte dello spirito del Natale. Ma che cos’è lo spirito del Natale? Una pandemia di espressioni stupide e gioiose a un tempo? Consumismo sfrenato? Avere la pancia piena?
Il Natale è una festività diffusa in tutto il mondo e in tutte le civiltà (in forme diverse naturalmente), caratterizzata principalmente dall’offerta di doni ai bambini. Per comprenderne il significato (al di là di quello più specificatamente religioso), basta inquadrare il Natale all’interno di un insieme di riti d’iniziazione collocati nel ciclo dell’anno, tra i quali Halloween, la Befana e altri ancora. Un rito d’iniziazione è una cerimonia, una prassi svolta in una precisa comunità allo scopo di iniziare i giovani e i bambini ai misteri della vita adulta e comunitaria. Il ciclo dell’anno invece si riferisce al tempo cronologico che la Terra impiega per svolgere un giro completo attorno al Sole però è considerato all’inverso, osservando cioè il movimento del Sole e non quello della Terra. Questo movimento è contrassegnato da due punti di riferimento, i solstizi d’estate e d’inverno, denominati rispettivamente porta dei padri e porta degli dèi. Il solstizio d’estate (21-24 giugno) indica il momento in cui il Sole và verso Sud, passando per la porta dei padri: le giornate si accorciano, la luce diminuisce e si assiste progressivamente a una morte della natura. Il solstizio d’inverno (21-24 dicembre) segnala invece il momento in cui il Sole dirige verso Nord, passando per la porta degli dèi: le giornate si allungano, la luce aumenta e si assiste gradualmente a una rinascita della natura.
La festività del Natale (o simili) si colloca in questo scenario e il suo significato è in stretta relazione al solstizio d’inverno. Mentre a livello cosmologico (ciclo dell’anno) questo momento di passaggio annuncia il rifiorimento della natura, a livello antropologico (ciclo della vita) invece manifesta la rinascita della vita. Le civiltà celebrano questo periodo facendo doni ai bambini perché pensano che tra i due livelli, cosmologico e antropologico, vi sia uno stretto legame: così come la sorte della natura dipende dalla rinascita del Sole, allo stesso modo il destino della comunità dipende dalla rinascita dei giovani. Fare doni ai bambini vuol dire vincolarli alla vita, allontanarli dalla morte e dunque favorire la sopravvivenza della comunità.
Malgrado le diversità, tutte le civiltà attribuiscono lo stesso significato al rito del dono che si svolge in occasione del solstizio d’inverno. Anche la festività del Natale, durante la quale Babbo Natale porta regali ai bambini, condivide lo stesso significato. Lo spirito che si cela dietro il rito del dono natalizio è alimentato dai sentimenti di paura e di speranza a un tempo provati dagli adulti: la paura che i bambini muoiano; la speranza che restino vivi. Il dono non è soltanto un oggetto materiale che trattiene alla vita e allontana dalla morte: il sorriso, la gioia che suscita nei bambini evidenzia che il dono è un mezzo per risvegliare la volontà di vita contro l’angoscia della morte. Ma c’è bisogno di qualcuno che stimoli tale riso, altrimenti il dono non riesce a suscitarlo da solo: Babbo Natale ha questo scopo. Per comprendere meglio il senso del dono e di Babbo Natale, basti pensare al mito dei Kachina degli indiani Pueblos (Nuovo Messico).
Durante il solstizio d’inverno, i Pueblos usavano indossare delle maschere figuranti gli spiriti degli antenati (Kachina) che tornano sulla terra danzando e portando regali ai bambini. Questa rito avveniva in relazione al mito di fondazione della stessa comunità. I Pueblos si trovavano originariamente in una regione arida: per questo motivo si misero in viaggio in cerca di una terra più fertile. Durante il viaggio, dovettero attraversare un fiume e alcuni genitori e bambini morirono annegati. Questo avvenimento restò fisso nella memoria dei sopravvissuti e, giunti nella nuova terra, cominciarono a credere che alcuni spiriti venissero nel villaggio per rapire i bambini e ucciderli. In seguito, però, uomini e spiriti si misero d’accordo: gli uomini avrebbero indossato delle maschere per ricordarli e gli spiriti avrebbero lasciati in pace i loro figli. I bambini che ricevevano i doni dei Kachina, non sapevano che dietro quelle maschere c’erano i genitori, altrimenti avrebbero capito che gli spiriti sono loro stessi, che rischiano di morire. Gli adulti hanno creato questo rito per proteggere i bambini: indossando le maschere, di fatto, mascherano alla morte i propri figli e, nell’assicurare questi ultimi alla vita, tutelano la sopravvivenza della comunità. Non bisogna dimenticare che il mito dei Kachina è per i Pueblos un rito d’iniziazione: diventare adulti significa vivere per la comunità così come il mito dei Kachina sintetizza e rappresenta.
La figura di Babbo Natale è molto simile ai Kachina dei Pueblos. Dietro questo vecchio con la barba bianca (san Nicola), si nasconde un adulto che porta doni ai bambini. Ma i bambini non possono sapere che Babbo Natale è il papà, lo zio, il nonno, un amico, insomma un adulto. Se ciò avvenisse, svanirebbe sia lo spirito del Natale (la paura e la speranza) sia il suo significato (la rinascita della vita e l’allontanamento della morte). Eppure, la simpatica conversazione sopra citata testimonia che ciò è già avvenuto. Il Natale oggigiorno non conosce significato né spirito. I bambini sanno che Babbo Natale non esiste e comandano ai genitori infiniti regali che sono certi di trovare sotto l’albero; gli adulti se ne fregano di Babbo Natale e, facendo salti mortali, acquistano tutti i regali ordinati dai figli. Il Natale è ormai una prassi fredda, monotona, obbligatoria, dispendiosa, dissennata, apparente. Non si scrivono più quelle letterine di bambini insicuri e speranzosi di ricevere un regalo. Non s’intende più il Natale come un momento per fare comunità (società, famiglia ecc.), per forgiare il carattere dei bambini o per nutrirsi si ciò che in altri momenti dell’anno non era possibile (perché c’era la povertà). Non è più un rito d’iniziazione perché ogni giorno si trattano i bambini come degli adulti. Il Natale ha smarrito se stesso, divenendo soltanto una lista infinita di acquisti e una collezione di scontrini, che ci rendono sempre più soli, infelici, dementi. Riscoprire il Natale, forse, potrebbe significare, per ognuno, ritrovare la propria identità e i valori comunitari.

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