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sabato 22 ottobre 2011

Buona fusione Italia!

- di Saso Bellantone
Si dice che una volta toccato il fondo, ci sia la risalita... si dice. Accadrà lo stesso per l'Italia? La risalita è quel che ci si augura ma lo scenario spettrale nel quale viviamo non sembra preannunciarla. Ormai si vive come zombie in cerca di sangue per sopravvivere, ma ormai si è tutti dissanguati. Tutti, tranne i potenti, i sangue blu che siedono sulle poltrone del potere e giocando a Italiopoli continuano a far finta di niente, a non vedere l'immenso cimitero abitato da cadaveri ambulanti nel quale si è trasformato lo Stato. Questa cecità però non ha una lunga autonomia e i signori dell'Italia, prima o poi, dovranno rendersene conto. Pena: o diverranno degli zombie pure loro o saranno divorati dagli altri. Non si crede più alle eterne chiacchiere diffuse dalla borsa a proposito dei titoli italiani, ora su ora giù ora su giù. Inutile iniettare queste false speranze e illusioni. Non ci sarà mai una risalita. L'Italia sprofonda, come una trivella impazzita diretta verso il centro della Terra, dove fondersi con il nucleo del pianeta e sparire come mai esistita. Non c'è modo di fermarla. L'energia nera, che aumenta vertiginosamente i tempi di rotazione, di trapanazione e di sprofondamento del cimitero Italia, ha una provenienza molteplice: gli impareggiabili migliaia di milioni di euro di debito pubblico; la febbrile disoccupazione di giovani e adulti, causa di espatrio o di suicidio dei primi e di indebitamento dei secondi; i concorsi truccati, sospesi, rinviati o eliminati del tutto; la sanità inefficiente; la scuola pubblica in malora e quella privata per la gloria di pochi benestanti; pensionamenti irraggiungibili nemmeno con l'aiuto di un telescopio elettronico, a meno che non ci si trasformi in re Mida e si riesca a tramutare in oro persino le proprie feci; aumento a oltranza delle tasse, delle assicurazioni, degli affitti, degli alimenti, di qualsiasi bene di prima, di seconda o di infinitesimale necessità; incapacità di comprare casa, di chiedere un mutuo, di metter su famiglia o di crescere figli; investimenti nella ricerca, zero; aumento scellerato del prezzo della benzina; impossibilità di morire se non pesando sui propri familiari, chi ce li ha, per le spese di funerali, seppellimento e pagamento dell'affitto dello spazio tombale; le università pubbliche vengono penalizzate per favorire quelle private, ormai covo di rampolli di milionari; i servizi “disserviziano, non funzionano; l'inquinamento è alle stelle; aumento della criminalità, delle truffe, degli omicidi e dei suicidi; costrizione a sentirsi male nell'orario sbagliato, per evitare di essere indagati o incarcerati perché non lo si è fatto nell'orario giusto; i ricchi capitalisti, imprenditori e azionisti si arricchiscono; i poveri operai, dipendenti pubblici, privati e in nero si impoveriscono; i partiti operano per interessi personali e imprenditoriali; i sindacati lavorano per i partiti e non per chi rappresentano; gli imprenditori ricattano gli operai; le aziende chiudono, riaprono all'estero per spendere di meno e riportano i propri prodotti in Italia, pretendendo che chi è senza lavoro, perché è stato licenziato dalle aziende stesse, compri; i parlamentari badano a godere dell'onorabilità della carica per i ingrossare i propri stipendi e assicurarsi una felice pensione con due anni e mezzo di governo; i magistrati indagano tutti, anche la suocera perché parla troppo o il proprio cane perché ha fatto la pipì in casa; le forze dell'ordine subiscono tagli di continuo e nel contempo lo Stato pretende che facciano il loro lavoro, rimettendoci di tasca propria; si finanziano grandi opere per arricchire le tasche di politici e criminali; insomma, è il delirio.
In questo panorama, seppur riduttivo rispetto all’energia nera in atto, come può l'Italia sperare in una risalita? Il sistema è in collasso e a nulla servono le trasfusioni economiche dell'UE, dal momento che sono un palliativo per i molti e un favore per i pochi multi-milionari. Inutile fare manfrine: quando si diventa zombie, non si tornare vivi. Il centro della Terra è ormai alle porte. Perciò, buona fusione Italia! Se sopravvivere vuol dire lasciarsi dissanguare dai potenti, allora è meglio morire… non conviene più stare in questo Stato.

domenica 9 ottobre 2011

IL CORPO SA TUTTO di Banana Yoshimoto

- di Saso Bellantone
Quante volte per mezzo di una pianta, un oggetto, un paesaggio, un insetto, una persona, un segno cutaneo, una precisa atmosfera, una forte emozione, un profumo intenso, il sapore di un alimento, il silenzioso linguaggio del corpo di qualcun altro, ci capita di ricordare improvvisamente persone, fatti, situazioni ed emozioni che credevamo di aver rimosso completamente? Ogni volta che accade qualcosa del genere, la nostra attenzione nei confronti di quel che stavamo facendo o di chi ci sta vicino crolla istantaneamente. Ci si sente spiazzati. All’inizio si tende a considerare irreale tutto ciò che viene alla mente, poi si inizia a ricordare tutto chiaramente ed ecco che ci si emoziona. Credevamo di aver dimenticato tutto, che tutto fosse svanito o non abitasse più con noi e, invece, in quei momenti improvvisi e incalcolabili, scopriamo che quelle persone, quei fatti, quelle situazioni e quelle emozioni sono sempre stati con noi. Lo sono tuttora, malgrado non sempre ne siamo consapevoli, perché soggiornano in quel lato di noi che non credevamo potesse dar asilo ad abitanti del genere: il nostro corpo.
Nella raccolta di racconti Il corpo sa tutto (Feltrinelli 2004), Banana Yoshimoto sottolinea come qualsiasi ente, in quel determinato orario, in quel preciso luogo, possa costituire la chiave d’accesso per quei ricordi che credevamo di aver rimosso e che invece il corpo custodisce gelosamente per riportarli a galla quando meno ce lo aspettiamo. In questi momenti la vuota quotidianità nella quale viviamo si frantuma e si spalanca un tempo diverso, preziosissimo perché è quello che scandisce con più peso la nostra esistenza. È un tempo abitato da vecchi amici, parenti e conoscenti, gioie, dolori, profumi, sapori e quant’altro abbiamo vissuto, ognuno dei quali ci apre una fitta serie di momenti, accadimenti, pensieri, sensazioni ed emozioni unici e irripetibili che, pur rimossi, continuano a vivere con noi, nel nostro corpo.
I ricordi di questo tempo occasionale, di questa memoria corporea riemergono all’improvviso per spiazzarci, per disorientare le nostre convinzioni e farci riattraversare emozionalmente alcuni attimi della vita che sono stati decisivi, che ci hanno condizionato e, in alcuni casi, ci condizionano. Una pianta di aloe rinvia alla nonna defunta; una barca nel lago che dondola sulle onde di fiori di loto rimanda al momento della partenza della mamma; una farfalla nera fa rivivere il litigio dei genitori, poi risolto; un tumore della pelle a forma di pesciolino rinvia agli amanti avuti; una gatto mummificato fa ricordare una notte di sesso con uno sconosciuto; una pietra d’ametista rimanda alla moglie defunta; un’amica incontrata in ospedale fa riaffiorare tutto quello che si è vissuto nel periodo della scuola.
Rivivere la bellezza e la crudeltà di questi flashback e provare a ricucire con il filo sottile della coscienza quei ricordi custoditi dal corpo, è qualcosa d’eccezionale. Si ha l’occasione di capire chi siamo stati, con chi, dove, quando, perché e di riscoprire la nostra vera identità che eternamente sfugge nel contingente. Inoltre, si ha modo di ricordare, nei momenti più bui e spietati che viviamo quotidianamente, che non siamo mai soli, perché il nostro corpo è abitato da una legione di ricordi, piacevoli e dispiacevoli, nei quali abbiamo vissuto intensamente.

mercoledì 5 ottobre 2011

NO ALLA LEGGE BAVAGLIO

COSTITUZIONE ITALIANA: ART. 21: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione".

domenica 2 ottobre 2011

Relatività




- di Saso Bellantone
Via! Finalmente via da questo mondo bastardo e infame! Ancora non mi sembra vero! Al di là di questo vecchio e decrepito ponte, c’è la spiaggia… e il mare!
Cammino al di sopra del mondo, del mio passato, della mia vita curva, ricurva e traforata come questo vecchio ponte, e mi lascio tutto dietro: gioie, dolori, paure, incertezze, follia e frenesia, amici e nemici, conoscenti, eventi e fatti che non conducono più al mio domani.
Ecco la spiaggia… e il mare! C’è un barcone arrugginito in secca! Chissà da quanto tempo è là… chissà da quanto tempo è stato abbandonato e chi ha portato qui… chissà da quanto tempo mi aspetta per condurmi via, in un altro mondo…
Ogni orma che lascio dietro di me, domani non ci sarà più, così come non ci sarò più nemmeno io in questo mondo bastardo e infame!
Scomparite orme! Scompari mondo! Il mio viaggio continua ma tu, vecchia vita, non puoi essere imbarcata assieme a me e al mio domani.

Via! Finalmente via da quel mondo bastardo e infame! Ancora non mi sembra vero! Sotto questo arrugginito barcone c’è la spiaggia… e un altro mondo!
Cammino al di là di quel mondo, di quel passato, di quella mia vita desertica, fragile e affondante come questa spiaggia, e mi lascio dietro tutto: gioie, dolori, paure, incertezze, follia e frenesia, amici e nemici, conoscenti, eventi e fatti che non conducono più al mio domani.
Ecco la roccia… e il mondo nuovo! C’è un ponte vecchio e decrepito! Chissà da quanto tempo è là… chissà da quanto tempo è dimenticato e chi ha lasciato passare… chissà da quanto tempo mi aspetta per condurmi al nuovo mondo…
Ogni passo che faccio, cancella il vecchio mondo bastardo e infame e lo fa crollare come queste assi di legno nel vuoto!
Crollate assi! Crolla vecchio mondo! Il mio viaggio continua ma tu, vecchia vita, non puoi oltrepassare il ponte con me e il mio domani.*

* Fotografie di Mapi Dafne, alle quali s'ispira questo racconto.

sabato 1 ottobre 2011

DELEGO, ERGO SUM: il motto dell'uomo del volgo

- di Saso Bellantone
Nel 1637 Cartesio (René Descartes) pubblica il Discorso sul metodo, un’opera rivoluzionaria per la storia della filosofia, perché è qui che si esprime il “Cogito, ergo sum”. Di che cosa si tratta? È un’espressione con la quale Cartesio deduce di esistere perché pensa: “Penso, quindi sono”.
Prima di Cartesio, le cose stavano diversamente. L’esistenza umana e del cosmo in generale si davano, platonicamente e paolinamente, per scontato. In braccio a questa certezza, si preferiva comprendere quale posto occupa nel cosmo l’esistenza umana, quale quella divina (Demiurgo), quale relazione intercorre tra le due. Per farla breve, si sosteneva che l’essere umano c’è, perché esistono le idee e perché è creato dal Dio-Demiurgo, che plasma le idee stesse (e le loro copie) con le quali ordina le dimensioni del cosmo: mondo apparente e mondo vero. L’esistenza umana, in sintesi, era considerata una copia dell’esistenza ideale e divina, dunque un’esistenza apparente. Per esistere “vera-mente”, l’essere umano doveva risalire all’esistenza ideale e divina, staccandosi da questo mondo in direzione di quello vero, dimora del Demiurgo stesso: l’Iperuranio. Per farlo, doveva usare il pensiero, adeguarlo a una realtà a lui pre-esistente.
Con Cartesio cambia tutto: niente si dà per scontato. Crollano le visioni platonica e paolina dell’ente in generale. Non v’è sicurezza a proposito dell’esistenza umana e di quella del cosmo. Per questo motivo, non ha importanza capire quale posizione occupa l’esistenza umana, quale quella divina e quale relazione sussiste tra le due. Almeno, non subito. Occorre, primariamente, stabilire qual è il metodo per giungere alla certezza. Il nuovo metodo impone l’abbandono del vecchio: se quest’ultimo imponeva di partire dal cosmo (o dal divino) per giungere all’essere umano, con il metodo introdotto da Cartesio, l’essere umano diviene il centro dell’universo, organizzatore del cosmo e di tutto il resto. Si ha di fronte una certezza non più reattiva bensì attiva. Il pensiero, l’attività del pensare diviene l’unico punto di riferimento a partire dal quale fondare quel che è certo e quel che non lo è. Il fatto di pensare, di pensar-mi, di avere cioè come oggetto del pensiero me stesso, evidenzia che io esisto. Il pensiero testimonia l’esistenza, la mia. Inoltre, il pensare a un altro oggetto diverso da me stesso –il cosmo intero, il Sole, un albero e via dicendo – il pensare-altro-da-me conferma che anche quell’oggetto esiste. L’esistenza, dell’essere umano o del cosmo in generale, si deduce con il metodo cartesiano dall’attività del pensare, dal pensiero. È un incontro tra momento soggettivo (colui che pensa) e momento oggettivo (ciò che è pensato). Tale incontro offre la realtà effettiva, la certezza, anche della propria esistenza.
Oggigiorno, portando alle estreme conseguenze il gesto cartesiano, si è passati a un nuovo metodo per stabilire la certezza e per dirimere la questione dell’esistenza o della non esistenza umana e del cosmo. Dal Cogito, ergo sum di Cartesio si è giunti al Delego, ergo sum dell’uomo del volgo. Di che cosa si tratta? È un’espressione con la quale l’uomo del volgo desume di esistere perché delega: “Delego, quindi sono”. Se con il Cogito, ergo sum si assiste al crollo del platonismo e paolinismo, con il Delego, ergo sum avviene il tramonto del cartesianesimo. Il Delego, ergo sum esprime l’atteggiamento che l’uomo del volgo sviluppa nei confronti di se stesso e del cosmo in generale: si pone infiniti interrogativi e aspirazioni ma, paradossalmente, delega ad altri il compito di risolverli e di ottenerle per lui. Inoltre, in questo modo diviene persino certo della propria esistenza e di quella del cosmo (che assurdità!).
L’espressione Delego, ergo sum manifesta l’uomo contemporaneo, cioè quello del volgo, il suo modo di pensare, la sua condotta. Egli è il centro propulsore di innumerabili domande e desideri ma, anche, la fionda che affida ad altri l’incarico di trovar soluzione ai suoi interrogativi e di realizzare le sue pretese. L’uomo del volgo è chi non sa e non vuole sapere, chi non fa e non vuole far nulla. È chi delega ad altri quel che dovrebbe sapere, quel che dovrebbe fare e tutto ciò che riguarda la sua vita e che, in questa maniera, stravagantemente, giunge alla consapevolezza della propria esistenza. Amore, amicizia, famiglia, sapere, lavoro, politica, informazione, salute, pulizia, diritti, doveri, tasse, cucina, abbigliamento, capigliatura, arti, scienze, tecniche, successo, decesso, miracoli, profezie, prodezze e quant’altro – tutto secondo l’uomo del volgo merita di essere delegato ad altri. Perché esistere, per lui, vuol dire delegare, nominare, affidare ad altri la sua intera vita, senza eccezioni. Per lui, esistere vuol dire soltanto ed esclusivamente delegare, delegare se stesso ad altri.
“Delego, quindi esisto”: questo è il motto dell’uomo contemporaneo, ossia l’uomo volgarizzato, massificato, omologato, livellato, standardizzato, spersonalizzato. “Delegare” è per l’uomo del volgo la parola d’ordine che manifesta la vera esistenza, l’esistenza in generale. È una parola per dire l’essere dell’ente contemporaneo: l’essere delega, si delega, è delegante. Ma che genere di esistenza si spalanca all’uomo del volgo, ogni volta che delega ad altri tutta la sua vita intera? Un’esistenza fatta di lamenti, rabbia, odio, invidia, idiozie, imprecazioni, urla immonde, chiacchiericcio, gossip, luoghi comuni, pagliacciate, bestialità, vuota apparenza, mode da branco, corse all’oro, controsensi, ignoranza e quant’altro. È un’esistenza monotona nella quale, delegando, si è eternamente subordinati ad altri e ad altro fuorché al proprio pensiero. Un’esistenza fatta del piacere della ripetitività assieme al resto del branco (quanto sopra descritto), nella quale si ama stare continuamente in mezzo al vortice di voci da armento che ingloba, annullandolo, ogni spazio vitale, fisico e virtuale, per diffondere una rete di spazi agonizzanti, schiavizzanti, opprimenti autoindotti.
Il Delego, ergo sum è la prassi dominante il mondo contemporaneo, la consuetudine sulla quale si fonda il potere. Malgrado il volgo si illuda oggigiorno di governare il mondo, il Delego, ergo sum manifesta logicamente il potere è nelle mani di pochi, di quei pochissimi che sono stati appunto delegati dai molti a gestire la loro vita, a comandare. Sono i pochissimi a diffondere e ad accertarsi il radicamento della logica del delegare nei molti, perché dal delegare scaturisce il loro potere. Finché si delega, non c’è esistenza per l’uomo del volgo ma soltanto una sub-sistenza, una vita appunto che si svolge al di sotto di chi si è delegato a gestire: una vita da subordinato, da schiavo.
Non è facile per l’uomo del volgo rendersi conto di questa logica paradossale e uscire dal limbo del delegare nel quale è finito. Occorre capacità, forse un po’ di fortuna. Basterebbe tuttavia guardarsi allo specchio e arrivare al paradosso più estremo per quella logica: delegare il volto che vi si intravede, vale a dire se stessi. Ciò significherebbe riprendere in mano la propria vita, pensare da sé, tornare a Cartesio e al Cogito. E non tutti ci riuscirebbero. Ma se ce la facessero pochissimi, allora e solo allora, per dirla con Nietzsche, sarà l’alba di una nuova aurora: quella di spiriti liberi, di solitari alcioni verso l’orizzonte infinito che abbiamo innanzi e in ogni luogo, noi stessi e il mondo, un tutt’uno.