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sabato 29 marzo 2014

DISsud: le foto 30


- di Saso Bellantone
"Il lavoro - Scultura di Maurizio Carnevali. il 1° Maggio 2013, la Società Operaia di Mutuo Soccorso e l'Amministrazione Comunale, posero" (Palmi).

giovedì 20 marzo 2014

Tornare al circo... da bambini-adulti


- di Saso Bellantone
Il circo... che meraviglia!
Nell'era dell'iper-comunicazione, iper-interazione e iper-digitalizzazione dell'esistente, andare al circo può sembrare retrò, fuori moda, folle. Siamo abituati a stare attaccati a smartphone, tablet, tv, pc, a qualsiasi cosa contenga uno schermo touch che attiri la nostra attenzione e in qualche modo ci separi dalle persone che abbiamo al fianco e da quelle che abbiamo dall'altra parte della connessione. Sembra strano, eppure è così. Chattiamo, clicchiamo, digitiamo continuamente qualcosa, qualsiasi cosa a qualcuno, e siamo soli. Soli con noi stessi e con le nostre dita intente a organizzare le lettere della tastiera in frasi e parole che piacciono agli altri, capaci dunque di rubare loro del tempo che avrebbero passato in altri modi, ma anche per riempire il nostro vuoto tempo privo di inventiva e bramoso della solitudine, dell'ozio, della pura voglia di non fare nulla. E quando siamo stanchi di chattare, ci incolliamo alla sedia, al divano, al letto, lasciando che gli schermi ad alta risoluzione rubino la nostra fantasia e i nostri desideri più ambiti con illusioni preconfezionate e subliminalmente invasive, che diano un po' di sazio ai nostri istinti selvaggi e ci spingano a restare schiavi del capitalismo, del consumismo e del lavoro – quest'ultimo naturalmente per quei pochi eletti che ancora ne hanno uno – senza sosta alcuna, ripetendo ogni giorno sempre la solita tiritera, finché Morte non ci li liberi della nostra stessa esistenza.
Eppure andare al circo, può essere un'esperienza che fa pensare. A come conduciamo la nostra vita, a come la conducevamo decenni fa, a come potremmo condurla oggi.
Al circo non si va per una ragione precisa se non perché è il circo. Se non ci si è andati da piccoli, non si può capire che cos'è il circo e difficilmente si può capire quello che si prova quando vi si torna da adulti.
Sembra di entrare in un altro mondo, ben prima di arrivarci. Si è entusiasti, allegri, scemi sia se si è alla guida dell'automobile sia se si raggiunge il tendone a piedi. Questo perché si scatena quel lato infantile che si ha dentro di sé, quell'insieme di ricordi e sensazioni che riportano alla fanciullezza e a quel mondo semplice, sincero, bello che soltanto un bambino riesce a vedere. Una volta si attendeva con ansia l'arrivo del circo. Si andava con i genitori, con i tutori o con le scuole, ma al circo si doveva andare, era obbligatorio, per passare un'esperienza indimenticabile, davvero indimenticabile. E quando si torna oggi, che bambini non si è più, sembra di non essere cresciuti di un giorno, di essere rimasti così come si era da bambini. E infatti, è così. Malgrado i capelli bianchi e le rughe e i tanti pensieri che affollano la nostra mente, quando si va al circo si scopre, o ci si ricorda, di essere ancora dei bambini. Per questo motivo è indimenticabile. Perché il circo parla sempre e comunque soltanto ai bambini, e ognuno di noi è un bambino quando ci torna da adulto.
Una volta arrivati a destinazione, ci si affretta a fare la fila per i biglietti e si è ammaliati da quel grande tendone a punta evocante le immagini più assurde della nostra fantasia, e dallo staff in uniforme colorata, simile a gnomi o elfi provenienti da un altro mondo, che attende all'ingresso per verificare i biglietti e lasciarti entrare. Camminare sulla terra mista a segatura in direzione del tendone; respirare gli odori forti provenienti dalle gabbie dove ci sono gli animali misti al profumo di popcorn e zucchero filato pronti per essere serviti – è già il segno palese che siamo da un'altra parte e noi non siamo più gli stessi. Siamo, quella stessa altra parte nella quale ci troviamo. Siamo, l'altra parte di noi.
Attraversato quindi il telone, ci si ritrova in un luogo incantato, dove gli spazi e gli oggetti hanno una geometria tutta loro, incalcolabile al migliore calcolatore esistente. L'aria che si respira è quella giusta. È l'odore di cui ci si ricordava, quello inconfondibile del circo, che c'è soltanto là e che non è possibile avvertire in nessun altro luogo al mondo. Non si è più in sé. Lavoro, casa, bollette, liti condominiali, problemi di salute e il conto al verde sono svaniti. Non si pensa ad altro se non a trovare il posto migliore per godersi lo spettacolo, assieme alla persona e ai bambini, se si ha la fortuna di averli. O la sfortuna, da un altro punto di vista, dal momento che pupazzi, pappagalli, clown, fotografi, patatine, noccioline, caramelle, popcorn, zucchero filato e bibite cominciano a circolare attorno senza sosta, svuotando le tasche di mamme e papà e zii e nonni e cugini e tutori e tate. Ma è una sfortuna piacevole, questa. Quelle fotografie e quegli alimenti fanno parte del circo. Quelle belle immagini, quei sapori e profumi buoni ci sono soltanto là dentro. Se si mangiano o si respirano da un'altra parte sono diversi, stomachevoli, ma al circo sono buonissimi, estasianti. E poi piacciono ai bambini. Come dire di no, dal momento che piacciono anche al fanciullo che si ha dentro di sé? Che si è dentro e fuori di sé in quel momento? È un'ottima scusa, quella di avere i bambini con sé, per essere un po' bambini anche noi per alcun istanti. Poi, si faranno i conti a casa con la moglie o col marito, e si pagherà il dazio facendo le pulizie al posto di lei per un mese o lavando l'automobile al posto di lui la prossima volta. Così si prende tutto, si acquista tutto. Fare felici i bambini è importante, è sempre stata la cosa più importante. Ci si guarda attorno e ci si accorge che anche gli altri papà, mamme, zii, nonni, cugini, tutori, tate e amici fanno la stessa cosa con i loro bambini e sono un po' bambini anche loro. Perfetto! Per ora si è giustificati, la vita è salva... per ora. Si può tornare a immergersi nell'atmosfera da circo! Ma quando inizia?
Si attende, si attende e non si sta nella pelle quando, ecco che le luci bianche si spengono, si alza la musica, l'inconfondibile musica del circo e si accendono le luci colorate. Silenzio! L'entusiasmo è alle stelle. Arriva il presentatore! L'attesa è finita. Lo spettacolo comincia.
Clown, trapezisti, maghi, illusionisti, domatori di tigri o di cavalli, giocolieri, acrobati, contorsionisti, ballerine... Gli artisti circensi sono capaci di fare qualsiasi cosa, realmente. Sì, davvero, in carne e ossa. Senza trucchi. Senza ricostruzioni 3D o informatiche. È tutto vero. C'è, la finzione, nel caso degli illusionisti per esempio, ma non ci si accorge di nulla. È al limite, ben fatta, verosimile, simile al vero, alla realtà. Si ride davvero, quando il clown canta una semplice canzone o fa una cosa buffa che può accadere quotidianamente a chiunque. Si è rapiti, quando il giocoliere lancia i coltelli su di un pannello rotante, dove è legata una bella ragazza. Si è con il fiato in gola, quando la bella trapezista volteggia nell'aria con grazia, senza funi di salvataggio, o quando il domatore è chiuso nella gabbia con tigri e leoni che ringhiano e ruggiscono e mostrano gli artigli, o quando l'acrobata tiene in equilibrio gli oggetti più disparati sulla fronte o sul mento. Si canta, si danza, si applaudisce, si scherza. Si prova una grande ammirazione per quello che gli artisti sono capaci di fare. Grandi abilità, acquisite con tanto esercizio giornaliero, con costanza e spirito di sacrificio. È incredibile come l'essere umano sia capace di fare tutto questo! È impossibile! Sembra di sognare a occhi aperti! E invece è vero, tutto vero, e il sogno tutto vero prosegue, bloccando le lancette del tempo che sembra non passare mai.
Ma lo spettacolo finisce.
Si è contenti e con questa felicità si fa il percorso inverso fatto per entrare nel tendone. Dal sogno vero si torna al sogno apparente, alla realtà, alla macchina, e poi a casa. Si torna allo smartphone, al tablet, alla tv, al pc. Si torna a chattare, a cliccare, a digitare. A isolarsi dalle persone vicine e da quelle con cui si sta chattando nel momento stesso in cui lo si fa. Si torna a essere soli. Adulti, semplicemente adulti, in un mare di guai.
Adesso non conta più nulla. Essere bambini; i bambini stessi che si ha la fortuna di avere o quelli che si ha la fortuna di educare in qualsiasi luogo della società; la moglie, il marito, i fratelli, le sorelle, i genitori, i tutori e le tate, gli amici; la relazione con l'altro sperimentata al circo e di cui nemmeno ci si è accorti; – niente ha più valore se non il conto in banca, i debiti, le bollette, il lavoro, la fretta, la rabbia con dio e l'universo intero. Adesso conta soltanto questo, la rabbia di essere soli, per volontà propria, in un mondo interamente votato alla comunicazione, all'interazione e al digitale.
Stanchi di chattare, vista l'ora tarda, non resta che accendere la tv e guardare, da soli, il proprio film preferito, nel quale i protagonisti sono capaci di fare qualsiasi cosa, di lanciarsi dalla vetta di un palazzo e sopravvivere con una camicia usata come un paracadute o di distruggere un'intera città per salvare la persona amata.
Ma dopo essere stati al circo, il film non ha più la stessa attrattiva. Nessuna abilità, nessun eroe, niente adrenalina, nessun coinvolgimento emotivo. Ora si sa che è tutto finto, tutto inventato, tutto creato al computer con i migliori programmi esistenti. Tutto è fatto per essere tenuti a bada, annebbiati, strappati dalla realtà e catapultati in un mondo immaginario, studiato scientificamente per essere condizionati, programmati e schiavizzati. Per essere tenuti soli, senza relazione alcuna, vera, sincera con le persone che si ha attorno, e pensare soltanto al lavoro, al profitto e alla sopravvivenza individuale. Proprio come fanno tutti gli adulti.
Ma il circo torna alla mente per un istante. Si pensa al passato, a quando si era bambini e a quando erano gli adulti a portare noi al circo. Anche in quel tempo gli adulti erano adulti ma le cose stavano diversamente. Non c'erano smartphone, tablet, tv e pc. C'erano persone, soltanto loro. Si telefonava, si andava al cinema, si scriveva una lettera e si andava al circo una volta tanto. Perché si doveva lavorare anche allora ma si doveva stare con gli altri, con familiari e amici, e con i bambini. Tutta la società era centralizzata sui bambini, sulla loro formazione e tutela. Li si abituava fin da piccolissimi al rapporto con gli altri e a un preciso ordine di valori, di idee e di priorità. E pur avendo poco o nulla, si era felici. Oggi...
Andare al circo può fare pensare a questo, e chiedersi se questa società così com'è, se la nostra solitudine, se la nostra infelicità vadano, appunto, ripensati...

domenica 16 marzo 2014

OLTREWEB: E vissero felici e contenti... chi?


- di Saso Bellantone
Buon meriggio web,
ti trovo rasserenato ultimamente. Nuovo premier, nuovo papa, nuova edizione del grande fratello, nuove serie-tv, nuovi tablet e smartphone, nuove applicazioni, nuove collezioni, nuovo nuovo nuovo. Manca soltanto l'arrivo della primavera e lo sbocciare di fiori freschi per coronare il sogno a occhi che stai vivendo con la componente zuccherina dal sapore di nuovo, inedito, appena fatto, originale, che sembra interessare l'essere, l'esistenza, la natura, il creatore e Belzebù. Tutto è nuovo e questo illumina d'immenso, come uno spettacolo non ancora visto che ha il gusto del segreto e della scoperta, riempiendo la frammentata e disperata coscienza di quel demone uscito per ultimo dal vaso di Pandora, la speranza... che sia la volta buona per il cambiamento generale delle cose auspicato da tempo.
Basterebbe tuttavia spulciare Qoelet per ricordarsi che non c'è niente di nuovo sotto il sole. “E cu è? Nda quali squatra joca?” – ti chiederesti, sentendo pronunciare tale nome per sbaglio. I sepolcri vengono continuamente imbiancati, per tenere in vita, paradossalmente, quell'illusione salvifica che le vecchie ideologie, accostate ora a Che Guevara o ad Ezra Pound, ora al Gatto o alla Volpe, ora a Stanlio o ad Olio, siano la soluzione ai problemi attuali o alle battaglie del tempo. Tuttavia, pur aggrappandoti a tali vetuste reliquie, e sempre paradossalmente, ti sta bene, per la seconda volta in un anno, che la compagnia chiamata a decidere sulle sorti della tua vita sia un mix di Rosso e Nero, con una punta di Scudo Crociato per esaltare il sapore. Ti sta bene, perché tale cocktail ha a che fare con la politica, nominata o presa in considerazione soltanto per moda, per sentito dire o per rompere il ghiaccio prima di una rimpatriata con gli amici, prima di una notte a luci rosse con la persona amata (amata anche per soli dieci minuti, poi mai più), prima di parlare di calcio.
Aaaah! Mio caro web! Se ciò fosse accaduto nel mondo del pallone non l'avresti mai accettato! Fusione di Roma e Lazio per dar vita alla “Rozio” o alla “Lama”; o di Juve e Toro per dar vita alla “Juro” o alla “Tove”; o di Milan e Inter per dar vita alla “Miter” o alla “Inlan”. No, questo no. Avresti messo a ferro e fuoco interi centri urbani se la tua squadra del cuore si fosse amalgamata a quella rivale della medesima città. Figuriamoci che cosa avresti fatto se Juve e Milan si fossero unite nella “Julan” o nella “Mive”... avresti scatenato una guerra civile per ripristinare l'ordine, cioè la serie A, la Champions e la Uefa.
Per la politica no. Non avresti fatto nulla. La politica è un argomento rompi-ghiaccio, è un tema scalda-chiacchierata, una moda da manifestare in pensieri, parole, opere ed omissioni (per tua colpa sì, tua) allo scopo di sentirti accettato da qualcuno, considerato, chiamato dal citofono di casa per andare a fare jogging in riva al mare o una passeggiata al parco o per annebbiarti la mente con qualsiasi cosa rientri nel rito dire-fare-baciare-esalare-lettera-o-testamento.
No. Chissenefregadellapolitica. Per te, mio caro web, va bene tutto. Nuovo, vecchio, nuovo e vecchio, antico e venturo. Beatles e Rolling Stones, Don Camillo e Peppone, Cappuccetto Rosso e il Lupo. La politica può fare quel che vuole, chiamare chi vuole, votare come vuole, programmare il destino della gente nei tempi e nei momenti che giudica più propizi a se stessa, con gli espedienti mediatici che predilige. A meno che non si faccia largo imperiosamente una moda del momento che tu, mio caro web, sei obbligato a seguire altrimenti sei fuori, da tutto e da tutti. In questo caso, sì. La politica è di tuo gusto e se sgancia quattrini con progetti, raccomandazioni o bandi di qualsiasi natura è ancora più saporita e può farti tutte le promesse da marinaio che vuole.
Sei sempre il solito mio caro web. Come la bandiera, ti giri in base a dove tira il vento. Non importa a quale ideologia si rifaccia chi governa e se ormai ne abbia qualcuna. L'importante è che non sia sotto i riflettori della chiacchiera e del vortice degli argomenti preliminari per instaurare una relazione con l'altro. Può essere nuovo, vecchio, rifatto, imbiancato e meticcio. Basta che prometta e illuda con quello che vuoi sentirti dire, anche una volta sola. Poi, te ne dimentichi fino al prossimo giro di boa da chiacchiericcio, arroccandoti dietro Mao o Francisco Franco, a seconda della compagnia.
Se questo è lo schema di pensiero che sei solito operare, è evidente che chiunque fa politica, dipingendosi con il colore che preferisce, blu come il cielo o giallo come il sole, vive sempre la medesima favola... nella quale, mentre i molti scompaiono senza citazione alcuna, i protagonisti sperimentano il classico finale “E vissero felici e contenti”. Loro.

Medita web, medita...

giovedì 13 marzo 2014

DISsud: le foto 29

- di Saso Bellantone
"Monumento a Bernardino Telesio antistante al Teatro Comunale A. Rendano, Cosenza (SUD)".

martedì 11 marzo 2014

No alla fretta


- di Saso Bellantone
"A gatta prescialora fìci i gattareji orbi".

giovedì 6 marzo 2014

Pensieri visivi: VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA di Caspar David Friedrich


- di Saso Bellantone
Duemila piedi al di là dell'uomo e del tempo. Appoggiato al suo bastone, un uomo osserva il paesaggio circostante. Montagne. Nuvole. E nebbia. Mari di nebbia. È l'offuscamento che coinvolge l'essere umano e il mondo che abita... C'è pace, quassù. Qua sopra, in solitudine, è tutto diverso. Tutto sembra avere forma, definizione, ma non un perché. Neanche la solitudine stessa. L'essere umano si imbruttisce, degenera, si corrompe. Altera il mondo in cui vive, lo guasta, lo avvelena principalmente con la sua presenza, poi con i suoi concetti. Con le sue idee. Con i suoi sogni più remoti. Crede di poter dominare gli elementi, la materia e l'antimateria, invece non riesce a governare neanche se stesso. Secoli, millenni di evoluzione, di storia, ma ad ogni passo diventa più bestiale del passo precedente. Sempre più assoggettato ai propri istinti, narcisistici e di continuazione delle specie. Si camuffa da supereroe, giustiziere, redentore e garzone, mentre dentro di sé cura con estrema meticolosità il germe del capitalista, dell'arrogante, del tiranno. Ama sfruttare il pianeta, cedendo ai posteri le sfide per la sopravvivenza. Ama approfittare degli altri, per instaurare il proprio egoistico impero. Nato dal caso o dal nulla, attraversa il sentiero degli istanti edificando sulla polvere il proprio dominio provvisorio. Ma di quale regno l'essere umano crede di essere il sovrano? Della precarietà? O soltanto delle proprie egocentriche allucinazioni? Con il lessico della guerra, della violenza, della potenza, rende il mondo un baccano di voci stridenti dal dolore e dalla morte. Urla, che piegano la coscienza come ferro impotente sotto i colpi del martello dell'inevitabilità. Sono irrefrenabili queste grida. Fanno male, perché sono il frutto della banalità della vita. Vita, troppo presa alla leggera, intesa come un gioco oltre misura, fuori da ogni limite, finché non si cozza contro quel muro, la morte, dal quale non è più possibile cominciare il gioco da capo... Ma quassù c'è pace. Si sta bene. Niente grida, niente abusi né speculazione. Qua sopra non esiste sovranità alcuna, se non quella del silenzio e della solitudine. Qui tutto è trasparente, bello, malgrado la tragicità del panorama. Qui la voce della coscienza, come se fosse diventata un tutt'uno con lo scenario circostante, parla chiaro. Non siamo altro che nebbia, isolate bolle di fumo in cerca di una giustificazione o di un dio, destinate a diradarsi alla prima luce del sole.
Nel Viandante sul mare di nebbia, Caspar David Friedrich rappresenta quel che vede l'uomo della conoscenza dall'alto delle vette del pensiero. Sostenendosi alle conoscenze del momento e alle residue forze rimastegli, lo scenario che scorge è la nebbia, la fugacità e transitorietà delle cose. Anche la sua. Tutto appare privo di senso, ingiustificato, superfluo. Il mondo, l'umanità, la storia, l'accadere sembrano sprovvisti di una traiettoria nascosta, di una meta ultima portatrice del significato della vita. Vagando solitario tra le domande che lo affannano, l'essere umano incontra l'impossibilità, l'assenza di una risposta. Vede il fluire continuo delle cose e il loro imperturbabile divenire e si quieta. Sì, trova la pace. In fondo, l'insensatezza e l'informità dell'essere ha già un senso: il suo mero apparire, effimero e sublime. C'è del bello nell'accadere, ed è la malinconia della fugacità. Tutti gli enti riecheggiano tale tristezza ma soltanto l'essere umano l'ha dimenticata. Per questo motivo si angustia rendendo ogni sfera della vita una trincea senza fine. Anziché deturparsi diventando un soldato per nulla, l'essere umano dovrebbe riappropriarsi di questa amarezza, di questa bellezza, perché essa è la strada l'etica e la ragione. Come l'osservatore del dipinto, occorre fermarsi e contemplare l'esistente, scorgere quel frammento che accomuna gli enti: la mortalità. Soltanto così dal finito può nascere l'infinito e, come nebbia, aprirsi per lasciare che le cose dischiudano la propria verità. Dio, nulla, l'autenticità dell'esistente può essere garantita da entrambi. Anziché distorcersi con i mostri partoriti dalla sua follia, l'essere umano dovrebbe soltanto custodire questo segreto assieme ai suoi simili.