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mercoledì 25 aprile 2012

OLTREWEB Verrà un nuovo 25 aprile?


- di Saso Bellantone
Buon meriggio web,
il 25 aprile di 67 anni fa cominciava con Milano e Torino la liberazione dello Stivale dall’occupazione nazifascista. Quel giorno segnò da un lato, la fine della dittatura fascista e della Guerra; dall’altro, pose le basi per un nuovo inizio, avvenuto il 2 giugno ’46, giorno in cui, scegliendo tra monarchia e repubblica, alla fine, nacque la Repubblica Stivalica. A partire dal ’46 si stabilì che il 25 aprile diventasse festa nazionale e ancora oggi, in questo giorno, si ricordano il passato, le sofferenze e il sangue versato per la liberazione dello Stivale. Oggigiorno, tuttavia, vi è  l’amaro in bocca. Si commemora la liberazione passata, certamente, ma ci si chiede in quale presente si è finiti e se l’attuale Repubblica stivalica nella quale si vive, è quella per cui i nostri liberatori si sacrificarono.
Sotto la spinta di una crisi economica mondiale, causata consapevolmente e artificiosamente da pochissimi potenti alla scopo di una nuova organizzazione/spartizione dell’Urbe terrestre, lo Stivale si vede privato giorno dopo giorno di tutti i diritti ottenuti e svanisce lentamente, schiacciato nella morsa dei comandi del Grande Leviatano del Nord, eseguiti dai funzionari che ha posizionato nei ruoli di potere stivalici, Parlamento compreso. Sembra che la storia si ripeta. La nascita del fascismo negli anni ’20 del secolo passato, aveva portato alla creazione di un totalitarismo (imperfetto secondo alcuni, per via dei Patti con “l’Uomo bianco”), alla Guerra, all’invasione tedesca e, alla fine, dopo oceani di sangue versati, alla liberazione. Il sorgere di una nuova economia basata su titoli e valute astratte e fittizie, ha riportato in vita antichi fantasmi. Lo Stivale è già dominato dal totalitarismo capitalistico e in prospettiva dei titanici conflitti pronti a scatenarsi per il dominio della Terra, il cui esito è incalcolabile, si lascia già invadere dal Mostro Tentacolare Settentrionale anche a livello Costituzionale. Il prezzo di tale invasione consiste in un debito pubblico che continua ad aumentare (1.928.211 milioni di euro a febbraio); in un PIL che continua a calare (nel 2011 è calato dallo 0,2% del terzo trimestre allo 0,7% del quarto, mentre nel 2012 è già diminuito sino all’1,6%); nella crescita della disoccupazione (i disoccupati ammontano a quasi 3 milioni, 11,6%); nell’incremento dei suicidi (tra il 2009 e 2011 si sono uccisi circa 1000 tra imprenditori, artigiani e operai, più di 2 al giorno, e già se ne contano 23 dall’inizio del 2012); nell’aumento delle aziende fallite (nel 2011 ammontano a 11.615); nell’ingrossamento delle tasse (le tasse pesano per il 45% sul PIL e si è a una pressione fiscale del 60%); in breve, nell’aumento del sangue versato dagli stivaliani.
La vermiglia sorgente che tinge di morte la terra stivalica si estende da Nord a Sud a macchia d’olio e sembra aumentare di giorno in giorno la potenza del proprio fiotto. Quanto sangue verrà ancora versato, mio caro web, prima di esperire a un nuovo 25 aprile, cioè alla liberazione dal capitalismo e dal Grande Leviatano del Nord? Sopravvivrai alla futura Guerra tra Titani per vedere un tale giorno? La liberazione dai tedeschi, nel secolo scorso, ha sancito la fine della Guerra, dei (vecchi) totalitarismi, della monarchia e il sorgere della Repubblica Stivalica. Se dovessi sopravvivere al capitalismo, al Leviatano e alla Guerra, resterai uno Stivale o assisterai alla nascita di una Repubblica Terrestre? E se invece non sopravvivrai? Se dovesse restare in vita il capitalismo, il Tentacolare Mostro del Nord e una  continua guerra tra Titani?
Medita web, medita…

giovedì 19 aprile 2012

OLTREWEB Pari in bilancio nella Costituzione stivalica


- di Saso Bellantone
Buon meriggio web,
da giorni ti attardi a difendere o a criticare il partito verde e “l’uomo che ce l’ha duro”, e non ti accorgi che il Senato ha approvato l’entrata nella Costituzione stivalica del principio del pari in bilancio. Di che cosa si tratta? Di un principio basilare per una buona conduzione di un’azienda. In breve, se un’azienda in anno spende 100 ed incassa 80, deve in qualche modo raggiungere la quota che ha speso, vale a dire i 100, colmando il gap di 20. Questo “in qualche modo” significa, dal momento che vige il pari in bilancio, che può tassare i propri operai, trattenendo dalla loro busta paga una quota per raggiungere quei 20 utili per ottenere il pari in bilancio. Stessa cosa d’ora in poi vale per lo Stivale. Non raggiungendo il pari in bilancio, lo Stivale può, senza chiedere l’autorizzazione a nessuno, decidere di trattenere una quota dalla busta paga degli stivaliani o tassarli maggiormente o prendere qualsiasi altro provvedimento economico allo scopo di raggiungere il pari in bilancio. Sembra una regola dettata dal buon senso, dal momento che si è in crisi economica, ma è proprio così?
Innanzitutto, l’introduzione nella Costituzione stivalica del principio del pari in bilancio non è una ideazione dei parlamentari per salvare lo stivale ma una richiesta, per non dire una costrizione, che il Grande Leviatano del Nord ha avanzato nei confronti dei Nani membri, con la firma del Fiscal Compact, il trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell’Unione economica e monetaria firmato il 2 marzo 2012 da 25 Stati dell’Unione europea. Infatti tra i 16 punti previsti nel trattato, uno prevede che ogni Nano deve garantire “correzioni automatiche” qualora gli obiettivi di bilancio concordati non sono raggiunti e che deve agire su scadenze prefissate, un altro prevede che le regole d’oro del Fiscal Compact, tra cui quella appena citata, devono essere ratificate in norme di tipo costituzionale. Se si considera che tra gli altri punti del Trattato vi sono anche l’impegno ad avere un deficit strutturale inferiore allo 0,5 o 1% del PIL (a seconda dei casi), e l’obbligo di mantenere il deficit pubblico al di sotto del 3% del PIL, per evitare l’azionarsi di sanzioni automatiche, ci si rende conto che il principio del pari in bilancio è stato approvato perché è stato richiesto/imposto dal Titanico Mostro Settentrionale, per consentire allo Stivale di restare al suo interno, e non per contrastare la crisi economica.
D’altrocanto se un’azienda spende 100 e incassa 80, anziché tassare i propri operai o ridurne lo stipendio per colmare quel 20 di gap, provocando in loro un malumore che minaccia l’andamento della produzione dell’intera azienda, non dovrebbe invece lasciare inalterate le loro buste paga e promettere un aumento delle stesse in proporzione all’aumento della produzione? Non dovrebbe dunque aumentare la produzione e le strategie di vendita dei propri prodotti, lasciando stare le tasche dei propri operai? Che senso ha il principio del pari in bilancio, se non si escogita una politica economica capace di garantire un aumento del PIL, di evitare il fallimento e il trasferimento all’estero delle aziende, di frenare la disoccupazione, la fuga di cervelli e manodopera all’estero, i licenziamenti e i suicidi di imprenditori, artigiani e operai, in grado insomma di creare più lavoro possibile e, dunque, di contrastare una volta per tutte le crisi?
Anziché fare tutto ciò, ci si limita ad approvare l’entrata nella Costituzione del principio del pari in bilancio, soltanto perché l’ha dettato il Grande Leviatano del Nord, allo scopo di mantenere il PIL al livello nel quale si trova, mettendo le mani nelle tasche di aziende e privati, qualora dovesse mancare una quota di entrate per pareggiare le uscite. Cioè più tasse, meno credito in busta paga e nei conti correnti per tutti gli operai, imprenditori e artigiani che, ahiloro, non hanno il dono salvifico di far parte delle caste che, invece, saranno esentate da quei prelievi forzati da parte dello stivale.
Insomma, anziché creare lavoro, aumentare la produzione e l’occupazione, immettere moneta in circolo per far girare l’economia, si taglia su tutto, si accettano incondizionatamente i comandi divini del Titanico Mostro  Settentrionale, si continua a far crescere il debito pubblico rosicchiando prestiti leviatanici e tassi d’interesse, si ossida l’economia dello stivale e si bada soltanto a tassare, a prelevare beni agli stivaliani, a far fallire le aziende, a far suicidare gli imprenditori e gli operai, in breve a fregarsene di tutto e di tutti, perché il bene più prezioso, agli occhi dell’uomo del monte, è il Leviatano del Nord e l’esserne fedeli servitori. In questo panorama, mio caro web, puoi mai sperare in un cambiamento in meglio, nella salvezza, nella fuoriuscita dalla crisi economica? Il progetto di dominio  del Grande Leviatano del Nord va avanti e i suoi tentacoli cominciano a infilarsi nella Costituzione dello Stivale, per stringerla e trasformarla in altro da sé, in una Costituzione Leviatanica. Oggi tocca al pari in bilancio, domani, domani tocca a… perché continuerà a esistere, domani, lo stivale?
Medita web, medita…

giovedì 12 aprile 2012

L'arte periferica: intervista a CARMELO ZOCCALI

- di Saso Bellantone
Nativo di Bagnara Calabra, Carmelo Zoccali è un artigiano del marmo, pittore, scultore, autodidatta. Dopo le prime esperienze di lavorazione del marmo a Bagnara, a diciassette anni si è trasferito a Roma continuando a lavorare il marmo ed è ritornato a Bagnara dopo circa dieci anni, dove ha iniziato a lavorare in proprio. Il suo laboratorio si sposta in diversi luoghi col passare del tempo e attualmente si trova a Pellegrina di Bagnara, nell’ex-stabilimento di Barbaro Marmi. Nel corso del tempo ha realizzato diverse opere in marmo, come per esempio cappelle monumentali, sculture monumentali, camini, tavoli e mosaici, ma ha anche creato presbiteri, altari, leggii, acquasantiere, podi, pavimentazioni, basamenti, fonti battesimali e sedute dl’altari per diverse chiese, tra le quali la Chiesa della Beata Vergine dell’Immacolata di Delianuova (RC), la Chiesa della Beata Vergine del Rosario - Porticello (Villa San Giovanni), il Ritiro Spirituale a Pellegrina (Bagnara Calabra), la Chiesa S.S. Cosima e Damiano di Lazzaro (RC), la Chiesa S. Maria e i XII Apostoli di Bagnara Calabra, la Chiesa di S.S. Pietro e Paolo di Bagnara Calabra, la Chiesa San Rocco di Scilla. Oltre che dedicarsi al lavoro per la sua azienda di artigianato del marmo, nel tempo libero Carmelo Zoccali si è dedicato alla lavorazione artistica del marmo e alla creazione di dipinti e sculture. Ha partecipato alla prima edizione de L’artisti i’ Bagnara (2009) presso la Società Operaia di Mutuo Soccorso e nel 2011 alla Arte tra le arcate – mostra degli artisti delle Muse presso la piazza Duomo di Tropea (VV). Attualmente vive e lavora a Bagnara.

Come ti sei avvicinato all’arte del marmo?
Sin dalla scuola elementare avevo l’attitudine per il disegno, tant’è vero che desideravo iscrivermi all’Istituto di Belle Arti di Palmi. Quando ero ragazzo ho iniziato a lavorare come apprendista da un amico mio, si chiamava Gioffré, e mi sono appassionato sempre di più al marmo, anche più del disegno, perché all’epoca si lavorava molto a mano. Io mi reputo un autodidatta, perché quello che faccio io l’ho imparato da solo assieme agli altri marmisti e poi pian piano è diventata una passione morbosa. Ho iniziato con la pittura, poi mi ha affascinato il marmo e all’età di 16-17 anni sono andato a Roma con la famiglia, ho lavorato pure là il marmo, e nel ’71 ho fatto il laboratorio a Bagnara, nel vecchio laboratorio di Barbaro in via Garibaldi. Poi mi sono spostato in via Turati, sul Lungomare, e adesso mi trovo sulle orme di Barbaro e spero almeno di fargli onore. Mi definisco umilmente un artigiano, perché l’arte dipende da chi la guarda. Se l’osservatore considera i miei lavori arte, allora possono anche chiamarmi artista, altrimenti possono chiamarmi serenamente artigiano. Io mi considero un artigiano.

Che cos'è l’arte del marmo?
Il marmo affascina sempre di più col passare del tempo e in qualsiasi modo lo tratti, dalla soglia alla scultura all’intarsio. Parlare di marmo nudo è già un’arte ma dipende dalla sensibilità dell’individuo che lo va a lavorare e a trattare. Personalmente, penso che un marmo appena tagliato è già un’opera d’arte, poi ognuno ci mette il suo. Qua c’è un blocco dal quale si deve tirare fuori l’immagine ma dipende dalla sensibilità dell’artista. Per esempio questa scultura rappresenta la sirena che esce dalle profondità del mare, i cui capelli rappresentano le onde, il sole, il vento, tutto. Di lato ho fatto dei pescespada, che hanno appena fatto l’amore, e sono talmente contenti che la femmina va sulla superficie del mare mentre il maschio se ne va tutto tranquillo nei fondali marini. Dietro i pescespada, forse, s’intravede uno squarcio del comportamento amoroso degli esseri umani. Oppure quest’altra opera rappresenta un albero, il cui tronco è fatto dal corpo maschile mentre le fronde sono fatte del volto e dei capelli di una donna, ma devo ancora completarla. Io nel marmo vedo queste cose e tante altre ancora.

Cosa pensi riguardo al senso, allo scopo e agli usi dell’arte del marmo, sia a livello individuale sia sociale, nel mondo contemporaneo?
L’arte, anche la poesia o la musica, fa pensare ma quando è vera fa stare le persone con i piedi per terra. Fa riflettere. Ormai si pensa troppo alle cose superficiali. Sono pochissimi ad avere questa sensibilità. Si è troppo di fretta, c’è troppo protagonismo e superficialità. All’artista tocca esprimersi, poi tocca agli altri osservare quello che ha fatto e capire se gli trasmette qualcosa. Per esempio, questo è un vaso che ho creato io. Se i vasi non sono rotti, io non riesco a utilizzarli. Quando sono rotti cerco di rimetterli in vita. Tocca all’osservatore poi stabilire che cosa intravede in questo vaso.

I Greci impiegavano il termine “poiein” per significare “creazione”. Poi questa parola, nel corso del tempo, si è trasformata di linguaggio in linguaggio, fino a diventare in italiano per esempio, la parola “poesia”. Quando un poeta comunica se stesso, cioè scrive una poesia, è un creatore di mondi, riproduce il mondo, crea nel senso pieno della parola. Puoi definire le tue opere marmoree “poesie”, opere d'arte, creazioni nel senso pieno del termine?
Possiamo anche definirle poesie. A me piace la linea morbida, i colori in particolare quelli del nostro cielo, del nostro mare, il verde delle nostre montagne, insomma i colori della nostra terra. Per me già questi colori sono poesia. Io spero con le mie opere di comunicare la poesia che ci sta attorno. Per esempio, in quel quadro c’è un bilancia arrugginita. Io l’ho trovata e con essa ho creato un quadro. Io questa la chiamerei poesia. Perché le cose impensabili e ormai logorate io le riciclo e le metto a nuova vita. Metto assieme il vecchio e il nuovo. In questo caso, la bilancia rappresenta il vecchio e il resto del quadro rappresenta il nuovo. Attraverso la bilancia volevo creare una nuvola e un fascio di sole che attraversa un po’ tutto. Prendiamo un altro esempio. Questa è una farfalla. Che cosa ho voluto rappresentare nel bianco statuario? Quando ero bambino, c’era molto verde e c’era un’infinità di farfalle. Adesso non ci sono più. Sembra siano in via di estinzione perché non ne vedi più una. Allora in quest’opera ho voluto rappresentare che la farfalla vuole prendere il volo e andare via dallo smog, in cerca di altri mondi ma è prigioniera dello smog. La farfalla vuole reagire ma è in qualche modo bloccata dall’inquinamento. L’opera vuole anche spronare l’essere umano e fare capire quello che stiamo facendo. È vero, siamo progrediti con la tecnologia ma stiamo distruggendo il nostro pianeta e stiamo perdendo la sensibilità che avevamo un tempo. L’opera quindi vorrebbe spronare gli esseri umani a cambiare modo di pensare. Non dobbiamo pensare sempre a cose futili e marginali, dobbiamo dare spazio alla sensibilità ed esternarla. Siamo tutti chiusi nel nostro guscio e isolati dagli altri. Io realizzo quello che penso, poi naturalmente ognuno ha il suo modo di vedere le cose. Questa per esempio è la bagnarota, una donna tenace, e l’opera è un omaggio a mia madre che era una bagnarota, che ha combattuto e cresciuto sette figli, assieme a mio padre. Malgrado ho voluto omaggiare mia madre, quest’opera è dedicata a tutte le bagnarote. L’opera evidenzia soprattutto il corpo da lottatrice della vera bagnarota, perché le bagnarote di una volta erano delle lottatrici. Le donne di oggi hanno sicuramente molta più cultura ma sembrano più superficiali rispetto alle donne di un tempo. Per carità, è il mondo che va così. Sono cambiati i tempi, cambia un po’ tutto e di conseguenza siamo cambiati anche noi. È cambiato anche il modo di pensare e di vivere delle donne. Ma spero si riscopra la bagnarota di un tempo. Io uso molto i colori e li userò sempre. Perché noi viviamo in un paese bellissimo in cui la natura e il nostro mare ci accompagna in tutte le stagioni. Il tramonto primaverile o autunnale ti dà delle emozioni enormi e io voglio imprimere nelle mie opere i nostri colori, con delle cromature abbastanza morbide. Nei miei quadri ci saranno sempre dei colori molto accesi.

Perché scolpisci? Perché senti l'esigenza di comunicare mediante l'arte del marmo?
Io voglio scuotere gli osservatori. La vita è diventata talmente triste che ognuno di noi, oggi, ha il bisogno di fermarsi a pensare, a ragionare e a stare con i piedi per terra. Oggi vestiamo tutti in maniera scura e i colori li hanno messi da parte un po’ tutti. Questo significa che abbiamo un’ansia interna che ci domina ogni giorno. Perché allora non pensare a qualcosa di positivo? Ecco, io voglio ragionare in positivo e scuotere positivamente l’osservatore.


Che cosa racconti con le tue opere?
Io spazio dal marmo alla ceramica, dal mattone alla pietra di mare, dalla bottiglia di plastica al ferro arrugginito. Tutto quello che mi piace lo uso. A me piace osservare la natura, la quale mi dà sempre l’ispirazione. Anche vedere un pezzo di albero o di ferro arrugginito o una lattina o una bottiglia di plastica, io lao guardo di continuo, lo studio e cerco di tirare fuori qualche elemento che mi possa interessare. Dopo comincio a combinare tutti i materiali. Per esempio, quell’opera là è costituita di ferro arrugginito, di plastica, di rame, di vetro, c’è di tutto. La natura mi dà un’ispirazione totale. Io parto sempre dall’osservazione della natura. A volte la rappresento così com’è altre volte preferisco creare con quello che mi capita attorno. Se c’è qualche elemento che mi stuzzica, io vado avanti, creo quello che in natura non c’è, elaboro quella forma di continuo finché non tiro fuori quello che desidero rappresentare e quello che mi soddisfa. Per esempio, ho rappresentato questa Madonna con bambino sorridente. Nella storia dell’arte ci sono molte Madonne con Bambino ma sono tutte serie. Io ho voluto rappresentare la gioia di una mamma con il figlio. Oppure questa pietra lavica l’ho realizzata all’epoca del disastro di Chernobyl e rappresenta la distruzione della natura operata dall’uomo. Oppure ancora guarda questo ferro. L’ho trovato per caso in riva al mare, mi è piaciuto e l’ho portato con me. Non ho fatto altro che dargli una base ed ecco l’opera. Sembra una colomba ma è stata la natura a darle questa forma. Io non avrei mai immaginato una colomba così. A me è piaciuta ed eccola qui. Oppure guarda queste bottiglie di plastica. Io le immagino immense, su di una piazza, come delle sculture trasparenti attorno alle quali passeggiano le persone e guardando attraverso di esse vedono diverse forme e cose. Insomma io uso tutto quello che c’è in natura e creo. Quando mi aggiro per le città italiane le vedo molto tristi, disordinate, monotone, l’una uguale all’altra. C’è poca arte e pochi colori. Io suggerisco di controllare le tonalità delle facciate. I turisti passeggiando per le nostre città si ritrovano di fronte a dei colori che danno fastidio e nessuno interviene. Invece un occhio di riguardo alla colorazione degli edifici è importante, perché quando si cammina l’occhio non deve provare disagio, vuole godere. Le tinte scure inoltre portano tristezza. I colori invece portano allegria, armonia e pace. Con il marmo ho rappresentato alcune madonne con bambino e svolto dei lavori per alcune chiese. Ma anche in questo caso faccio molta attenzione ai colori e all’ordine delle forme. Perché anche in una chiesa l’occhio ha bisogno di sentirsi appagato grazie a quel che vede. Credo che nella mia arte ci sia sempre un lato religioso, ma la gente oggi sembra essere cambiata, crede poco in Dio e questo è un male. L’arte dà la possibilità di riflettere anche su Dio e sui principali sentimenti umani che, pur passando il tempo, non mutano mai.

Un artista può sentirsi tale senza i pubblici?
Non ho mai esposto in passato. Qualche anno fa ho esposto a Reggio Calabria e tuttora c’è qualcosa di mio a Reggio. Io realizzo le opere perché sento la necessità di farlo, non perché le debba vedere qualcuno. Perché finché non le completi e le tieni sempre a mente diventi inquieto. Una volta fatte non le voglio neanche vendere, perché per adesso le voglio vedere io. Però desidero che le opere dedicate a Bagnara, come i miei dipinti, restino qua. Se li porti altrove, magari non hanno senso, invece a Bagnara hanno un significato. Molti mi rimproverano, dicendo di avere tutto questo ben di Dio e di non farlo conoscere a nessuno. Io rispondo che le opere le realizzo perché sento la necessità di doverle fare, non perché altri debbano elogiarmi o perché io debba darmi a vedere. Certo, se alla gente piacciono sono contento, però le faccio perché mi devo sentire bene io, perché se non le faccio dentro di me rimane sempre un’ansia. Mi spiego meglio. Ogni giorno dedico metà del mio tempo all’azienda e l’altra metà all’arte. Dovendo lavorare per vivere, quando comincio un’opera d’arte mi capita spesso che mentre lavoro agli ordini che riceviamo, ho un’ispirazione per un’altra opera d’arte. E allora mollo quella che stavo facendo e ne inizio un’altra. E parecchie cose non sono mai terminate. Quindi inizio un pezzo adesso e lo finisco tra un anno o due, perché sento l’impulso di finire prima un’altra opera. Questo mi accade perché se perdo l’ispirazione, finisce l’intera opera, non la completo più. E allora mollo subito quello che stavo facendo e seguo l’ispirazione. Credo che ci sono dei momenti in cui tutti gli artisti non riescono a creare niente ma quando sono concentrati e piace loro l’ispirazione giunta, allora tirano fuori quattro cinque sei opere dello stesso filone. Per esempio, in quest’opera c’è plastica, alluminio, pietra. Perché l’ho fatta? Perché sentivo il bisogno di realizzare un’opera così. Voglio sperimentare tutto. Prima ero molto vincolato al tradizionale, ora invece voglio giocare con gli elementi come se fossi un bambino. Per esempio, guarda questa fontana. Ho voluto rappresentare il rubinetto come una pompa impazzita quando si apre l’acqua di botta. I riccioli che vedi, invece, dovrebbero illuminarsi di notte. Cioè non vedi nulla ma riconosci la presenza della fontana per mezzo di questi riccioli fosforescenti. Anche queste forme strane a me piacciono molto. Mi piace l’idea di un’arte che, girandole attorno, ti mostra, o vedi,  cose sempre diverse. D’altronde gli stati d’animo e i sentimenti dell’essere umano non sono mai uguali, sono sempre diversi perché è l’evoluzione della vita che è così. Tutti nella vita hanno alti e bassi, anche l’artista. Perché non deve averli anche l’arte? Io tuttavia con l’arte cerco di trasmettere i lati positivi di me stesso.

Che cosa significa oggi vivere come un artista e vivere esclusivamente della propria arte? Quali sacrifici comporta accettare questo incarico, questa missione?
Comporta tanti sacrifici. Tutte le opere che hai visto sono state fatte per hobby, per passione, il che vuol dire che io non posso lavorare otto-dieci al giorno su quelle opere ma devo dedicarmi anche all’azienda. Quando gli operai se ne vanno a casa, io mi chiudo qua e lavoro alle opere d’arte. Questo è un sacrificio per amor di fare, di realizzare, per il desiderio di mettermi sempre in discussione. Mi sono sempre sacrificato per realizzare quello che dice la mia testa. Ho sempre dovuto creare, indipendentemente dal fatto che gli altri giudichino quel che faccio bello oppure no. Questo per quanto riguarda l’arte del marmo. Parliamo ora dell’artigianato, della mia azienda. Oggi non c’è più un’educazione professionale e questo artigianato rischia di svanire perché gli ordini calano di giorno in giorno. L’azienda stessa che gestisco corre il pericolo di chiudere ogni giorno che passa. Questo artigianato necessita di molti sacrifici ma se i miei operai non vedono ripagati i loro sacrifici con dei guadagni, molleranno sicuramente. Spesso non abbiamo un ordine ed io sto male perché mi rendo conto che non posso consentire loro di realizzarsi con questo artigianato. Nel tempo mi hanno ordinato diverse cose ed io le ho fatte egregiamente. Ma tutte queste opere d’arte che vedi non me le ha ordinate nessuno. le ho fatte per il piacere di farle, per il bisogno che ho di creare. Abbiamo sempre portato avanti un lavoro di qualità non di quantità e grazie a Dio il lavoro non è mai mancato. Ma adesso la situazione è davvero preoccupante. Io vorrei stimolare maggiormente mio nipote in questo artigianato, dal momento che vado invecchiando. L’artigianato del marmo non è mai uguale, ti appassiona sempre con ogni nuovo lavoro che intraprendi. Ogni lavoro che facciamo è unico, è un’esperienza nuova. È tutto lavoro fatto a mano e ti coinvolge totalmente. Ogni lavoro lo intendi come una sfida con se stesso. Se avessi la possibilità di realizzare su Bagnara un serie di opere artistiche, consentirei a molti giovani di lavorare e di imparare questo artigianato, e nel contempo consentirei a questo artigianato, che a Bagnara c’è sempre stato, di continuare a vivere e non di svanire. Barbaro è stato un maestro e da lui sono usciti buoni artigiani. Non ho mai avuto l’occasione di lavorare assieme a lui, però ricordo che un giorno gli chiesi un parere su come realizzare un’opera e lui mi disse: “Credi di riuscire a farla? Allora falla, coraggio!”. Mi chiedo perché adesso questo artigianato deve morire? Perché nessuno ci aiuta? C’è bisogno, oltre che di laureati, anche di persone umili che amano questa arte. Se non c’è un’educazione da bambini, non s’impareranno mai queste cose. 
L’artigianato è una scommessa per il futuro di Bagnara. Attualmente io disegno le opere da realizzare, do gli ultimi accorgimenti di carattere di gusto ma il resto lo fa mio nipote, che è già diventato bravissimo. A volte mi chiedo: perché portare artisti da altri luoghi d’Italia, quando siamo capaci di fare questi lavori a Bagnara? Io non voglio favori da nessuno, sia chiaro, chiedo soltanto di avere una possibilità, di essere messo alla prova, di venire a trovarci nel laboratorio per vedere quello che realizziamo. Chiedo soltanto di credere nella nostra arte. Vorrei realizzare qualcosa di bello su Bagnara, lo dico con molta umiltà. Io invito ufficialmente il sindaco a venire a trovarmi, per vedere le opere che realizzo. Il sindaco, penso, dovrebbe rappresentare un padre, mentre io e i cittadini siamo i figli. Se il padre non conosce il potenziale dei suoi figli, come può pretendere di sperare in loro per un miglioramento delle cose?  Io vorrei quindi che il sindaco venga a prendere coscienza del potenziale che gli artigiani bagnaresi rappresentano. Non solo da me, per quanto riguarda il marmo, ma dovrebbe andare anche da quelli del ferro, della ceramica, del legno, del vetro, da tutti, per capire se si può creare qualcosa a livello professionale. Altrimenti noi restiamo con i nostri problemi, finché riusciamo andiamo avanti altrimenti finisce tutto. Ecco perché, ribadisco, invito il sindaco a venire a farci una visita. Per prendere coscienza dei suoi paesani, di quello che sanno fare e di capire se si può improntare qualche progetto lavorativo e professionale. Bisogna investire artisticamente su Bagnara, non facendo le solite piastrella ture del Corso e del Lungomare. L’arricchimento artistico di Bagnara crea lavoro, fa sì che l’artigianato non muoia, dà la possibilità di creare una scuola, abbellisce il paese e attira maggiormente i turisti. Questo laboratorio non può chiudere. L’artigianato deve essere risollevato.

Cosa ti spinge a restare nella tua terra natia?
La forte attrazione che ho nei confronti della natura e del paesaggio bagnarese. Volevo realizzarmi a Bagnara. A Roma ero uno qualunque. Qui invece ci conosciamo un po’ tutti, voglio stare a contatto con i sapori, i colori della mia terra e le persone con cui sono cresciuto. Molti tendono ad andare via, specialmente in questi tempi di crisi economica ma io preferisco restare e continuare a lavorare qui. Certamente vorrei essere aiutato è per questo che invito il sindaco a venire a trovarmi, altrimenti la mia attività è destinata a chiudere. Io ho degli operai, a partire da mio nipote. Ormai io disegno ma la parte pratica dei lavori la svolge lui. La nostra azienda ha un potenziale che si può confrontare con le altre, riteniamo di non avere nulla in meno rispetto alle altre. Allora dico perché Bagnara deve essere lasciata a se stessa? Finora siamo andati avanti con i lavori che il singolo cittadino ci ha chiesto, ma adesso è diventato difficile. Vorrei trasmettere a mio nipote tutto quello che so e lasciare tutto a lui ma se lui non ha prospettive l’azienda finirà per chiudere. Io spero che chi legge questa intervista, vede le fotografie ed è interessato ai lavori che facciamo, venga a dargli un’occhiata di persona e ci consenta di tener viva questa azienda. Io vorrei anche dare la possibilità ai giovani che sono disoccupati di imparare questo artigianato, ma c’è bisogno di lavoro, di ordini. L’artigianato è aiutato ovunque, soltanto qui no. Ma noi non ci rassegniamo. Io non mi rassegno. Resto qui per l’azienda, per mio nipote, per l’artigianato del marmo, per i giovani disoccupati, per Bagnara. ma abbiamo bisogno di un po’ di fiducia nella nostra arte, per poter andar avanti e realizzare tutto quello che si può fare.

Puoi definirti una sognatore? Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Certamente. Io sto già realizzando una grande fontana in mosaico che vorrei realizzare a Bagnara sulla via marina, sempre se mi viene data la possibilità, e attorno vorrei fare dei sedili e delle panche sempre in marmo e in stile Gaudì, cioè molto colorato. Poi il mare e il sole mi faranno anche da fondo. Vorrei realizzare quest’opera in tutti i tiraggi che ormai non sono più usati come un tempo. D’estate, Bagnara è piena di gente, ci sono molti posti per sedersi ma poco da vedere in fatto di arte. Allora, perché non realizzare opere d’arte di questo genere? Se mi si mostrasse interesse, sarei molto felice di realizzare queste opere. Sia la via marina sia il resto del paese infatti mancano di colore e di arte. Un turista non visita le città per il piacere di spendere ma anche per farsi una fotografia, per scoprire le bellezze del territorio naturali e anche artistiche. Se si crea un’attrattiva di questo genere, il turista, che è sempre con la macchina fotografica in tasca, approfitta di queste opere per farsi delle fotografie e ricordare la sua visita a Bagnara, che mostrerà ad altri, i quali, attratti dalla fotografia e dalle opere d’arte che vedranno, verranno anche loro a visitare Bagnara. Anziché fare i soliti lavori monotoni, cementizi e senza colori, si dovrebbe cominciare ad abbellire Bagnara con l’arte. Chi dà un’occhiata alle mie opere dice che ho uno stile simile a quello di Gaudì. Per carità, io non mi sento all’altezza del paragone, però mi chiedo: se in Spagna la sua arte ha fatto enorme successo, ha creato un’enorme attrattiva, perché non provarci anche qui? Un’altra cosa che vorrei realizzare, dove c’è la statua di Mia Martini o dove c’è la Madonnina di Bernadette, è un grande acquario con pesci tropicali, lavorati in ceramica, in vetro, in marmo, sempre con uno stile somigliante a quello di Gaudì. Certo, l’opera va poi controllata, perché non può essere abbandonata a se stessa. Insomma ho molti sogni nel cassetto che vorrei realizzare a Bagnara, ma occorre che ci sia interesse per la mia arte. Quando la gente viene si deve fermare ad osservare le nostre bellezze paesaggistiche, certo, ma anche quelle artistiche non vanno sottovalutate. Se non c’è nulla di attrattivo, Bagnara rischia di morire, non verrà più nessuno. Io sogno di trasformare il nostro Corso, il Lungomare, di realizzare un’altra opera imponente a Marturano ma per realizzarsi i sogni hanno bisogno di qualcuno creda in loro, altrimenti restano soltanto sogni. Bagnara dev’essere abbellita artisticamente.

Chi desidera seguirti e saperne un po' di più sulle tue fotografie, dove può rivolgersi?
Indirizzo – Via Nazionale per Pellegrina, Bivio Grimoldo, 89011 Bagnara Calabra (RC)
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Alcune parole per i giovani.

Non mollate, siate positivi nella vita perché le cose prima o poi si aggiusteranno. In tutti i cicli della vita, c’è sempre un momento di crisi ma prima o poi questo momento dovrà passare. Presto vi realizzerete. Non perdete la speranza. Credete in voi stessi, cercate di sapere quello che volete da voi e lasciate perdere tutto quello che è superficiale. Pensate alle cose serie e cercate di sognare sempre, altrimenti vi ritroverete morti già da giovani. Sognate, avvicinatevi all’arte, qualunque essa sia, e all’artigianato. Abbiate fiducia in voi stessi. Siate forti, stabilite il vostro obiettivo e prima o poi riuscirete a raggiungerlo. Fate bene quello che fate, non in modo banale. È la differenza a distinguere una persona da un’altra. Se io sono uguale a un altro, siamo tutti uguali e tutto perde il proprio significato. Ognuno di noi ha pregi e difetti, ma è importante tentare di differenziarsi in meglio, non in peggio. Siate positivi e non mollate mai i sogni. Ciascuno di noi fa i propri sacrifici, in base all’età che ha e a quel che fa. Ma quando vi sarete creati il vostro avvenire, vi guarderete indietro e sarete felici. Io sono contento di quel che ho fatto ma continuo a sognare ancora.

giovedì 5 aprile 2012

GNOSIS: intervista a Roberta Macrì


- di Saso Bellantone
Giornalista pubblicista, corrispondente della Gazzetta del Sud, Roberta Macrì ha ricoperto la carica di direttore responsabile della testata giornalistica Costa Viola Online, collabora con il mensile La Piana e il settimanale Avvenire di Calabria, ed è curatrice della rivista Urbes. Laureatasi in Lettere moderne presso l’Università degli Studi di Messina, si dedica alla promozione del territorio attraverso l’informazione. E’ stata inviata come reporter presso il parlamento Europeo di Strasburgo in occasione dell’Euroscuola Dicembre 2010, e dalla testata giornalistica Avvenire di Calabria in occasione della visita di papa Benedetto XVI a Lamezia Terme nell’Ottobre 2011. Ha ricevuto il premio “Donne Incontro” e “L’Amo d’oro” per la professione giornalistica svolta a servizio del territorio della Costa Viola. Pur operando nel settore della comunicazione e occupandosi prevalentemente di attualità, tiene sempre vivo il proprio interesse verso la storia del proprio territorio. Collabora con varie associazioni ed enti per l’organizzazione di iniziative ed eventi culturali. Ha curato e promosso progetti, iniziative educative e di insegnamento che hanno coinvolto ragazzi di tutte le età. Autrice del volume “Le congreghe di Bagnara” (Laruffa Editore), attualmente vive a Bagnara Calabra.

Come nasce la tua passione per il giornalismo?
Dall’amore per la scrittura e dalla voglia di raccontare, comunicare agli altri. Quando frequentavo il Liceo seguivo corsi pomeridiani di poesia, scrittura creativa e laboratori di lettura ma la mia non era una passione indirizzata al giornalismo. Quella è arrivata dopo, direi che lei ha trovato me quando io non cercavo lei.

Che cos'è il giornalismo?
Credo sia difficile dare una definizione standard. Però quella che meglio inquadra il giornalismo potrebbe essere questa: la capacità di un avvenimento di valere come notizia e, quindi, la capacità del giornalista di trasformare l’evento in notizia. Fatti registrati per diventare notizie da raccontare. Sono convinta che nella sua essenza il giornalismo sia dare conto di ciò che accade, registrare gli eventi che incidono nella quotidianità di una comunità. Però ciò che davvero trasforma un evento in notizia è il pubblico, la notizia è tale in relazione ai lettori e chi ne coglie l’importanza è proprio il giornalista.

Chi è il giornalista?
Giornalista è soprattutto una persona curiosa, che si interessa del mondo, della vita della gente, di ciò che accade, che ha senso della Storia, capace di intuire, cogliere, registrare e comprendere i cambiamenti collettivi nel loro contesto politico, economico, storico, culturale. Giornalista è colui che senza giudicare sa raccontare, questo è un mestiere fatto di incontri, rapporti umani e ricerca sul campo.

Quali fonti è possibile definire “giornalistiche”?
In genere le fonti sono sia le persone sia i documenti che offrono le informazioni sugli avvenimenti trattati; il giornalista può scegliere di seguire direttamente gli eventi divenendo così “testimone diretto”. Le fonti sono sempre parziali perché offrono un resoconto del fatto e sono limitate rispetto alla complessità dell’evento. Per questo sarebbe opportuno avere anche più fonti in modo da ricostruire i fatti nel modo più completo possibile.

Con quale metodo, o metodi, è possibile fare giornalismo? Quale metodo preferisci impiegare per i tuoi articoli giornalistici?
Considerato in senso letterale, il metodo rappresenta il procedimento messo in atto per realizzare qualcosa, in questo caso il procedimento per scrivere un pezzo. Potrei cominciare a descrivere minuzie tecniche usando parole efficaci e ad effetto almeno ma non credo sia utile. Per me il metodo, inteso appunto come procedimento per scrivere un pezzo, è molto semplice: scelgo di essere “testimone diretto” degli eventi che reputo validi di interesse al punto da fare notizia, seguo le situazioni personalmente, in qualche caso consulto documenti e chiedo agli esperti chiarimenti in modo da avere una conoscenza più completa possibile di quello che scelgo di raccontare, e poi scrivo. Premesso che per me scrivere è raccontare, io cerco di farlo con un linguaggio molto semplice, consapevole di parlare ad una categoria di persone molto diverse fra loro sia per formazione sia per professione.

Quale utilità ricava il singolo essere umano dal giornalismo?
L’informazione e quindi la conoscenza di fatti ed eventi. Mi piace molto ricordare il giornalista Giancarlo Siani che affermava: “La gente per scegliere deve sapere”. Quindi l’utilità del giornalismo al singolo è il contributo reso alla conoscenza di un fatto attraverso l’informazione.

Quale invece una civiltà?
Il giornalismo ha un importante ruolo sociale legato a quanto ho detto prima riguardo la conoscenza ed il ruolo dell’informazione. Aggiungerei responsabilità del giornalismo verso la collettività.

Nell'era della globalizzazione, le civiltà terrestri possono fare a meno del giornalismo?
Secondo me no, perché in un’era in cui la civiltà è governata da regole globali e collettive acquista sempre più valore il contributo del singolo per la sua unicità. Quindi è fondamentale il modo del singolo giornalista di svolgere con professionalità il proprio mestiere come fosse una missione a servizio del singolo e dell’informazione. Ciò che fa la differenza sarà non la notizia generalizzata ma il modo in cui il giornalista la propone riuscendo ad essere punto di intersezione e mediazione.

Dalla scuola all'università, come faresti studiare il giornalismo?
Semplicemente con la pratica, lavorando presso una testata giornalistica come “corrispondente” dalle periferie. Esistono ottimi manuali che spiegano le regole per diventare un buon giornalista a cominciare dalla tipologia di articolo e dalle regole necessarie ma il mestiere si impara solo sul campo; un giornalista deve essere sul posto, deve sapere osservare, raccontare e conoscere. Magari non troppa teoria, punterei invece sull’esercizio linguistico: per poter comunicare occorre chiarezza di linguaggio, è questa la chiave.

Che vuol dire vivere come un giornalista? Di quali responsabilità occorre farsi carico?
Intanto credo sia meglio dire “vivere come persone” e poi come “professionisti” quindi “giornalisti”. Perché essere persona implica avere rispetto di sé e degli altri ed il giornalista, nel rispetto della notizia e della libertà altrui, attraverso le parole può raccontare un mondo in divenire scrivendo di fatti che accadono ogni giorno. Il giornalista è colui che racconta, descrive, legge gli eventi e fa la forza di un territorio se riesce a raccontarlo. Questo comporta responsabilità o meglio il giornalista ha la responsabilità di essere libero e rispettare la libertà altrui in base alla ratio della democrazia: “Quando si parla di libertà, deve essere chiaro che nessuna delle grandi libertà è una libertà assoluta perché la mia libertà è sempre limitata dalla uguale libertà degli altri”.
Responsabilità è onestà intellettuale, sforzarsi di dire la verità senza giudicare.

Alcune parole per i giovani.
Non smettete mai di sognare, abbiate degli ideali, sani principi e soprattutto degli obiettivi. Sarà la vita stessa a mettervi di fronte ogni giorno i segni ed i sogni per continuare ad “andare.”

domenica 1 aprile 2012

L’Ora della Terra… a Reggio


- di Saso Bellantone
Reggio. 31 marzo 2012. Ore 20:30. Le luci di Palazzo San Giorgio si spengono per un’ora. Un gesto simbolico con il quale la Provincia di Reggio Calabria, in sincronia con tutti gli altri enti, le istituzioni e i singoli cittadini di tutto il mondo, dimostra la sua vicinanza alla Terra, la quale, a causa del surriscaldamento globale, corre il pericolo di modificare radicalmente il proprio equilibrio climatico, generando un effetto a catena che minaccerebbe non soltanto la sopravvivenza del pianeta ma di tutte le forme di vita che la abitano. È per questo motivo che molti giovani studenti reggini del Campanella e alcune associazioni locali, tra le quali la Fenice dello Stretto di Bagnara, si sono incontrati ieri davanti a Palazzo San Giorgio, guidati dal presidente del WWF Calabria, dott.essa Beatrice Barillaro: per donare un’ora alla Terra. Un’ora del proprio tempo donata al pianeta simultaneamente a tutti gli altri aderenti del mondo, che si sono dati appuntamento nel medesimo istante, in differenti luoghi, per il medesimo scopo: dare alla Terra l’occasione di rigenerarsi, il tempo necessario per bilanciare il proprio clima, la forza che le occorre per superare il pericolo della propria fine e sopravvivere.
All’evento globale L’ora della Terra aderisce dunque anche Reggio Calabria. Si è in pochi, certo, a cantare assieme i brani accompagnati da due chitarre, sulle scale del teatro Cilea, o a riflettere sulla sfida del surriscaldamento globale ma “E’ un buon inizio  – come ha affermato la dott.essa Barillaro – l’Ora della Terra è un evento simbolico che si svolge in tutto il mondo, allo scopo di stimolare le coscienze e l’interesse per il cambiamento climatico, un evento di grande attualità riconosciuto da tutti gli scienziati del mondo. Bisogna però che siano le singole persone a darsi da fare, senza più aspettare le decisioni politiche ad alti livelli. Siamo in prossimità di Rio+20 e da parte nostra ci sono grandi aspettative e speranze che i potenti del mondo si mettano d’accordo ma, come sappiamo bene, c’è poca concretezza nelle decisioni. Il problema è che il tempo passa e che il pianeta soffre, e noi soffriremo di più assieme al pianeta, per cui è indispensabile che si parta dal basso e che ognuno si faccia promotore di piccole azioni che possano aiutare nel risparmiare l’energia. Se ne spreca tanta, se ne fa un uso veramente spropositato e senza pensarci, bisogna però  capire che il risparmio viene prima di ogni altra cosa e che occorre agire coscienziosamente ogni giorno della propria vita, comprendendo cosa è davvero indispensabile e cosa non lo è. C’è bisogno di rieducarsi ad avvicinarsi alla Madre Terra. Se c’è un unico aspetto che si potrebbe vedere in questa crisi è proprio questo, il ridimensionamento. Ognuno di noi deve cercare di ridimensionare i propri consumi, i propri sprechi. I sistemi ambientali non ce la fanno più a reggere l’impatto che noi causiamo. Ormai ci vuole più del nostro pianeta per soddisfare la fame di energia del mondo. Già nel mese di settembre, come genere umano, abbiamo consumato tutte le risorse a livello mondiale che la Terra può produrre in un anno. Se pensiamo a questo, ci accorgiamo di essere sempre in deficit nei confronti del pianeta Terra, quindi se non diamo la capacità al pianeta di sostenersi o, meglio ancora, di rigenerarsi, sarà difficile andare avanti. Se non cambiamo strada, negli anni futuri i problemi aumenteranno a livello esponenziale perché le decisioni sono sempre lente. La Provincia di Reggio Calabria – ha continuato Barillaro – ha accettato di partecipare a questo evento, spegnendo simbolicamente le luci del palazzo San Giorgio. In futuro si può sicuramente fare molto di più ma è già un punto di partenza. Dal niente ci sono dei piccoli passi. Mi stanno informando continuamente che ci sono paesi che hanno spento interi viali, oltre alle luci dei palazzi e dei monumenti. A Roma si spegnerà Castel Sant’Angelo, si farà una grande manifestazione per consentire alla Terra di fare la sua pedalata energetica. Ci sono tante cose che si possono fare e c’è bisogno che ognuno dimostri al prossimo che si possono fare, senza vergognarsi, senza tirarsi indietro. Serve tanto l’esempio. Ognuno di noi deve farsi promotore di una piccola azione che si allargherà a macchia d’olio. Il gesto simbolico di oggi dovrebbe diventare pensiero militante a favore della Terra. Quello che abbiamo fatto oggi è un gesto simbolico però è un buon punto di partenza ed è di buon auspicio, perché vediamo che i segnali ci sono. Basta far capire alle persone l’importanza di essere promotori del cambiamento a favore della Terra. Ci sono pochi adulti e molti giovani ma questo è già un bel traguardo. I giovani hanno assistito a un documentario molto importante, ecco perché sono qua, che s’intitola The Age of Stupid, un docu-film creato in prossimità dell’incontro di Copenaghen. È un film venuto dal basso, fatto con una spesa minima, che si sviluppa mediante alcuni episodi che raccontano quello che accade in tutto il mondo, riguardo ai cambiamenti climatici. Vedendo questo documentario, questi ragazzi si sono convinti di partecipare a questo evento perché hanno capito di essere coinvolti, hanno capito che davvero siamo in una situazione di pericolo e che lo schianto del pianeta riguarderà proprio loro. Per cui – si è avviata alla conclusione Barillaro – credo che occorra aggregare e far capire, parlarne, discutere per cercare di muovere la loro coscienza e la loro sensibilità, che è grande ma che ha bisogno di trovarsi di fronte ai fatti. Mi rivolgo ai dirigenti scolastici. Contattateci per mezzo della rete che è molto attiva in Calabria e in tutta Italia. Abbiamo i nostri esperti, i nostri responsabili di diversi settori e siamo tutti molto disponibili per incontrare i ragazzi di ogni età e affrontare assieme questi argomenti per educarci nella cura della Terra. Per la Calabria, basta rivolgersi alla sede regionale e saremo felici di partecipare a degli incontri formativi e informativi per il pianeta. La WWF Italia è pronta con tutti i propri servizi e dossier, che sono reperibili nei siti internet. Basta stabilire di che cosa si vuole discutere. La crisi idrica, climatica, la biodiversità e tutti gli altri temi che ci stanno a cuore. Ribadisco, siamo disponibili e sollecitiamo a chiamarci per incontrare i giovani”.

OLTREWEB Pesce d’aprile… quotidiano


- di Saso Bellantone
Buon meriggio web,
è bello annunciare che dopo tante peripezie e supplizi, alla fine, ce l’hai fatta. Il Grande Leviatano del Nord, con le sue banche, le sue istituzioni, i suoi rappresentanti, le sue forze armate, è svanito nel suo nascere. I Nani sono tornati a lavorare nelle proprie miniere d’origine, perché la crisi economica è ormai superata. Lo Stivale è tornato alla lira e non è più in recessione perché il suo PIL cresce ogni giorno del 200%. Le imprese hanno aumentato i propri profitti in modo vertiginoso. Non ci sono più precari né licenziamenti. La disoccupazione è pari a zero, così come il tasso di mortalità di uomini, donne, bambini o anziani. Non si muore più, poiché finalmente si è scoperta la fonte dell’eterna giovinezza. Gli operai sono soddisfatti dei propri stipendi, dei sindacati, dei propri dirigenti e del contratto nazionale del lavoro. I cervelli, specie quelli giovanili, rientrano dall’estero nello Stivale per prendere la prima occupazione utile che si trova sotto casa. La ricerca ha ottenuto finanziamenti titanici e perpetui coi quali sta risolvendo tutti i problemi sociali e le malattie. Non ci sono più malati. La sanità è scomparsa perché tutti i pazienti sono miracolosamente guariti. Stesso dicasi per le farmacie o gli ambulatori. Non c’è più bisogno di farmaci, nemmeno di aspirine o semplicemente di disinfettante, né di terapie intensive né di sale operatorie perché non ci si ammala più. Neanche i denti, ormai, sono intaccati dalla carie. L’essere umano è diventato immune persino alle contusioni o ai graffi. Gli alimenti non mancano a nessuno. Tutto è coltivato, trattato e distribuito in perfetto regola, cura ed efficienza. L’acqua non si acquista più nei supermercati, perché quella dei rubinetti è così pura che si beve direttamente quella. Non c’è più inquinamento. La gente ricicla tutto. Il mare è puro come acqua potabile. La terra, coltivata e incolta, pulita e ordinata come paesaggio immaginario. Stesso dicasi per le città, i paesi e le singole vie di borghi e sobborghi cittadini. È tutto pulito. Non c’è nemmeno la polvere per terra. Non ci sono più le automobili né gli aerei né le navi né qualsiasi altro mezzo impiegante carburanti inquinanti. Tutto funziona a energia solare, eolica, marina, biologica e elettrica. Non ci sono guerre né omicidi né suicidi né furti né truffe né violenza di qualsiasi genere. Non esistono più i criminali. La gente si ama, si vuole bene, vive in totale armonia con il prossimo e con la natura. Non ci sono più politici né i partiti perché si vive talmente in sintonia con l’altro che non c’è nemmeno bisogno di legiferare. Ognuno rispetta tutto e tutti, senza alcun bisogno di parlare di diritti e di doveri. Non c’è più una differenza di classe tra ricchi e poveri. Ognuno possiede tanto quanto possiede l’altro. Non c’è più alcuna differenza religiosa. Le cose vanno talmente bene che non c’è nemmeno bisogno di pregare…
Magari, mio caro web, fosse davvero così. Si potrebbe continuare all’infinito tale lista di traguardi raggiunti tuttavia, essendo soltanto un pesce d’aprile, è meglio questo catalogo di irrealizzabili utopie si fermi qui. Altrimenti somiglierebbe agli inganni che i potenti seminano nella tua mente ogni istante, ogni giorno, dalla mattina alla sera, illudendoti che sei già nel Regno dei cieli e che tutto va bene, quando invece l’inferno è appena inziato.
Medita web, medita…