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lunedì 16 dicembre 2019

SE TARDANO O NON ARRIVANO



- di Saso Bellantone


Restano e volano,
come piombo e piuma,
se le spingi permangono,
se le soffi si perdono,
come piombo e piuma,
le parole
uccidono e salvano,
se tardano,
o non arrivano,
lo stesso,
feriscono.

domenica 3 novembre 2019

TRASPARENZA



- di Saso Bellantone

La trasparenza è limpida, come acqua sorgiva. Chiara, come la luce. Nitida, come paesaggio senza nebbia. Non ha sfumature né imprecisioni. Brilla, senza macchie e imperfezioni.
La trasparenza è pulita, come isola sperduta nell'oceano. Cristallina, come oasi nel deserto. Innocente, come stella remota. Non conosce polvere né inquinamento. È pura, mai infetta e senza contaminazioni.
La trasparenza è sana, come albero da frutto. Dolce, come il sorriso di un fanciullo. Delicata, come i sogni degli adolescenti. Resiste, desiderosa di vita. Vuole se stessa, oltre le cadute e le ferite.
La trasparenza ha cura di sé. Si rialza, si ristabilisce. Cerca l'armonia, con tutto ciò che la circonda. È attenta, a chi le sta attorno. È buona, affettuosa. È soffice, come il cotone e le nuvole.
La trasparenza conforta, calma, rassicura. Guarisce e incoraggia. Dà la pace, stimola. Dà fiato, come l'aria. Lava, come l'acqua. Rinvigorisce, come il fuoco. Fortifica, come la terra.
La trasparenza è il contesto, l'ambiente, l'habitat proprio dell'essere umano. È in essa che quest'ultimo entra e resta in contatto con la propria essenza. Con ciò che è veramente. Con la propria identità.
Essere e realtà sono due facce della stessa medaglia. Sono trasparenti, manifesti, palesi, e l'essere umano per essere tale non può evitare di trapelare, mostrare, rivelare se stesso.
Il “chi” dell'essere umano si diluisce, si amalgama nel “che cosa” emerge, si presenta, si esibisce di lui stesso. L'essere umano è tutto ciò che ostenta, espone, mette in mostra. È ciò che fa vedere, che sbandiera, che sfoggia e che vanta e, tuttavia, è convinto di essere anche tutto ciò che nasconde, eclissa, insabbia e, per questo motivo, è frainteso, travisato, non è capito.
Dagli altri.
Questo è il nodo cruciale della questione, il problema di Aladino, il labirinto in cui ci si perde. L'oblio di essere inevitabilmente immersi in un luogo, spazio-tempo, ecosistema regolato dalla trasparenza, in cui ci sono anche “gli” altri. In cui “si è con” gli altri.
“Io giudico gli altri in base a quel che vedo e a quel che gli altri mettono in mostra”, è così che l'essere umano giudica senza esitazione. Dimentica a priori, però, che lo stesso, all'inverso, vale per lui, e cioè che oltre ad essere colui che giudica è, nel contempo, anche colui che è giudicato dagli altri “in base a quel che loro vedono e a quel che lui mostra di sé”. Dunque, in un caso e nell'altro, si permane nelle lande della trasparenza, di ciò che è visibile, osservabile, toccabile con mano: a partire da questa sfera ed entro tale dimensione si giudica e si è giudicati.
Il fraintendimento, il malinteso, l'equivoco, in questo quadro, non è altro che un'illusione, una giustificazione, una farsa. Convivendo nello stesso habitat con gli altri, tutti al di sotto della fatale legge della trasparenza, non si può pretendere di giudicare in base a quel che si vede e di essere mal interpretati perché non si è manifestato quel che si cela, si camuffa, si occulta. Si è, e quindi si giudica e si è giudicati, per mezzo di quel si vede/si mostra nel contesto comune. Si è mediante i fatti osservati/compiuti e se si dimentica, o si sceglie consapevolmente, di svelare ciò che si custodisce nel segreto non si può poi sostenere di non essere capiti in toto e di essere stati travisati. Si è sempre la trasparenza manifesta, sia nel caso in cui si vesta i panni dell'io, sia nel caso in cui si vesta i panni degli altri.
L'ironia della sorte, o meglio della legge della trasparenza, è che in quest'ultima non esistono equivoci né abbagli, neanche se si decide di nascondere agli altri “parte di sé”, ossia tutto quello che può essere definito come “segreto”. Quest'ultimo infatti, e cioè la scelta di celare ad altri la pienezza di sé, traspare, trapela, emerge lo stesso come “ciò che non è reso manifesto”, che non è stato palesato, mostrato; affiora come “ciò che è stato occultato”, che è stato mascherato, velato. Malgrado sé, il segreto spunta fuori come sudore, aria espirata, energia emanata. Come ciò che c'è nonostante si scelga volontariamente di non mostrarlo. Il segreto filtra, gocciola da sé come l'invisibile che è visibile. È trasparente, ed evidente. Indubbio.
Non ha senso dunque alcuna pagliacciata, maschera e autocommiserazione. Splende anche quel che si lascia nell'invisibile, nell'immateriale, perché tutto è traslucido, opalescente, incontaminato.
Si è sempre trasparenti e la trasparenza che si è resta sempre esposta all'alterità nella sua fattualità. Si è i fatti compiuti e non compiuti, narrati entrambi dalla propria presenza, e il linguaggio può fare poco se si è scevri di tale consapevolezza o si tenta di aggirarla. Il linguaggio ha potere soltanto se si abbraccia la consapevolezza di essere trasparenti, esposti, fattuali, soltanto se si comprende che l'habitat nel quale si vive può essere abitato esclusivamente secondo questa regola inevitabile: tutto traspare, tutto è evidente, tutto è fattuale, concreto, tangibile.
Bisogna avvinghiare questa fatalità, vivere pienamente coscienti di essa.
Se la si evita, o si fa finta di nulla, traspare.
E traspaiono anche le ragioni.
E quando queste ultime non ci sono, o sono superflue, emerge la verità.
Nient'altro.

venerdì 25 ottobre 2019

IO NON GIOCO A DADI



- di Saso Bellantone


La luna tace
eppure parla la sua luce;
il sole sembra una lumaca,
cammina piano, con le antenne tese.
Si fa giorno
eppure resta ancora notte,
dilaga il frastuono
ma divampa il silenzio nei suoi intermezzi.
I piedi senza stasi,
le ombre fuggono all'indietro,
l'aria non picca,
la bandiera è bianca.
Chiarisce tutto la luce
ma l'ignoto sogghigna,
una spalla mi tocca
ma sa già che non gioco a dadi.

lunedì 14 ottobre 2019

L'APNEA È UN CAPITOLO CHIUSO



- di Saso Bellantone

Riemergere.
Respirare.
Non si può trattenere il fiato per sempre.
È una legge naturale, malgrado si continui a credere che si un'opzione. Si è sicuri, anzi, che l'apnea sia il proprio modo d'essere, la propria natura, e, forti di questa certezza, pur incrociando grandi intuizioni, passioni o scoperte rivoluzionarie, alla fine, o si torna a galla o si muore.
È sempre così.
In qualsiasi sfera della conoscenza o della vita decida di fare la sua nuotata, l'essere umano deve decidere se abbandonarsi all'istinto di riprendere fiato o inabissarsi.
Sceglie sempre, tuttavia, di sprofondare, intontito dalla mancanza d'aria, scambiando involontariamente poli e stelle fisse: la follia gli appare come ragionevolezza, l'artificiosità come naturalezza, l'egoismo come altruismo, il male come bene, l'odo come amore, l'orrore come il sublime.
E si perde.
Perennemente in balia delle maree abissali, sbattendo tra gli scogli, incastrandosi tra le alghe e azzannato dagli squali, l'essere umano tenta ancora un'ultima bracciata e un ultimo colpo di pinne nella speranza di raggiungere il relitto che custodisce il forziere.
Eccolo.
Finalmente gli si trova innanzi.
Ancora una bracciata.
Lo tocca.
Prende la chiave che è nella sua anima.
La inserisce.
Gira.
Apre lentamente...
...e un turbinio di onde e flutti lo strappa dagli abissi del mare, riportandolo alla luce del sole, all'aria, contro la sua volontà.
La rabbia e la delusione rendono ciechi.
Poi, però, subentra il respiro.
L'essere umano comincia a riempirsi d'aria.
E ancora e ancora.
E il bagliore comincia ad affievolirsi finché si abitua nuovamente a vedere.
E vede che niente è come prima.
Tutto è all'inverso rispetto a come lo ricordava.
Anzi, forse adesso tutto sta dove deve.
Al proprio posto.
In ordine, chiaro, senza sfumature né sbavature.
Respira ancora l'essere umano.
Se ne rende conto e adesso vuole continuare a farlo.
Avidamente.
Senza sosta.
Ancora.
E ancora.
Perché ogni respiro chiarisce le cose...
Tutto era capovolto, prima, illuminato male, privo d'aria, stantio.
E adesso niente è come credeva.
Neanche lui.
Ma ora l'essere umano lo sa.
Sa chi è e sa bene che l'apnea non è la sua natura.
Sa di essere fatto soltanto di aria e che l'aria stessa simbioticamente è intrisa della sua essenza.
Adesso, sa che il forziere non esiste e che il tesoro, in realtà, è il respiro.
L'apnea è un capitolo chiuso.

martedì 5 febbraio 2019

DOVE FINISCE IL MARE



- di Saso Bellantone

Il mare non finisce sulla battigia né all'orizzonte. Finisce altrove, in un luogo cioè dove il mare non è più e, al contempo, non è ancora.
Malgrado possa sembrare continuamente identico a se stesso, anche il mare infatti è soggetto al tempo e al cambiamento. Sono i nostri occhi a non riuscire a vedere le cose in maniera essenziale.
Il mare si muove, si altera, va verso la sua fine, in quell'ambiente che, contemporaneamente, custodisce la possibilità del suo rinnovamento, del suo ricominciare. Finisce, perché là dove c'è la sua fine c'è, anche, il suo inizio.
Il mare appartiene a questo spazio che salvaguarda la sua fine e il suo inizio. Gli è legato perché senza di esso, nel suo assiduo mutare, non potrebbe tornare a essere se stesso.
Questo luogo che completa il mare, che lo rifinisce, è molto vicino eppure è anche molto lontano. È invisibile ad occhio nudo, non si può toccare con mano e tuttavia c'è, là, nei pressi del mare, e anche qua, distante da esso. È un ambiente ignoto, afono e inodore, per certi versi miracoloso, che là e qua fa sentire la voce e il profumo del mare, il suo richiamo.
Il mare chiama, convoca a sé per mezzo di questo spazio che lo ritocca, che nel farlo finire cioè lo fa iniziare di nuovo; attira l'attenzione, perché nel suo andare e tornare ha sempre qualcosa da dire.
Il mare non ha linguaggio umano eppure parla con le sue onde, le sue maree, la sua apparente stasi, la sua fragranza e si fa capire. Da tutti. Solo che tutti, poi, dimenticano quello che ha detto.
Il mare racconta del suo legame, della sua appartenenza a questo luogo che non lo fa essere più e non lo fa essere ancora, narra di questo ambiente invisibile e intoccabile che lo trasforma e che in questo modo trasmette il suo richiamo.
Il mare parla del tempo e del cambiamento, al di là di un'apparenza eternamente identica a se stessa; parla del finire e del ricominciare. Ecco perché non finisce sulla battigia né all'orizzonte, perché la sua fine, e cioè la possibilità del suo nuovo inizio, non si trova su di un piano, appunto, orizzontale.
Il mare finisce nell'aria, in ciò che è immateriale e intangibile e che, tuttavia, è percepibile. Ma l'aria è anche l'atmosfera e lo spazio profondo.
Il mare finisce nel mistero dell'universo ma è proprio là, così come qua, nell'essere umano, che, perfino, comincia.