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martedì 23 marzo 2010

USA: APPROVATA LA RIFORMA SANITARIA. IL MONDO ATTENDE LA FIRMA DI OBAMA

- di Saso Bellantone
Dopo un anno di scontri politici e colpi di scena, la riforma sanitaria è legge. La Camera dei Rappresentanti ha adottato il testo approvato dal Senato il 24 dicembre 2009, con una maggioranza di 219 voti contro 212, tre più dei 216 necessari. Per trasformarsi in legge, non resta che apporre la firma del presidente Barack Obama.
È la più ampia iniziativa di riforma sociale degli ultimi 50 anni degli Stati Uniti. Il provvedimento – discusso già dagli anni della presidenza Roosevelt (1901-1909) – estende il diritto all’assistenza medica a oltre 32 milioni di cittadini; vieta alle compagnie assicurative di rifiutare le polizze ai bambini o agli adulti affetti da malattie congenite e impedisce di revocare le polizze ai già assicurati (ad esempio ai lavoratori che cambiano lavoro). La riforma prevede l’utilizzo di 940 miliardi di dollari in dieci anni. Taglierà 138 miliardi di disavanzo pubblico, rivoluzionerà i metodi assistenziali ospedalieri e assicurativi ma taglierà 500 miliardi di dollari da Medicare, il programma di assistenza per gli anziani.
È una svolta storica per gli Stati Uniti. La firma di Obama sul testo della riforma segnerà la fine di un secolo di lotte, rivolte, manifestazioni e iniziative di varia natura volte a sensibilizzare il mondo intero riguardo alla drammatica situazione di oltre 300 milioni di americani che, prima d’ora, non godevano del diritto all’assistenza sanitaria. Tra queste forme di contestazione, spicca il celebre film John Q (2002) diretto da Nick Cassavetes e interpretato da Denzel Washington, nel ruolo di un padre che fa di tutto per salvare il figlio al quale è diagnosticata una grave malattia, la cui unica soluzione è un trapianto di cuore. Dal momento che l’assicurazione sanitaria non copre le esose spese mediche, John (Denzel Washington), sequestra il personale e i pazienti di un pronto soccorso per attirare l’attenzione pubblica e costringere in qualche modo il personale medico a salvare la vita a suo figlio.
Se il film John Q rispecchia la vecchia società americana, nella quale non tutti possono godere del diritto all’assistenza medica, la firma di Obama sul testo della riforma sanitaria rappresenta invece la calce per costruire la nuova società statunitense, nella quale, per dirla in poche parole, ognuno può essere curato e, finalmente, considerato un “essere umano”, indipendentemente dalla ricchezza che possiede e produce.

giovedì 11 marzo 2010

PASSAPORTO ELETTRONICO: UN ALTRO PASSO VERSO UN TECNO-TOTALITARISMO PLANETARIO

- di Saso Bellantone
Come previsto dalla normativa europea, anche l’Italia – in ritardo rispetto alla Francia, alla Germania o agli altri paesi dell’Ue – inizia a munirsi dei passaporti elettronici. Si tratta di una nuovissima tecnica di anticontraffazione, utile per rendere più sicure le procedure di controllo di chi viaggia all’estero. I nuovi documenti per l’espatrio non cambieranno aspetto: ai dati anagrafici e alla fotografia, adesso sarà associato un microchip contenente le impronte digitali del titolare. Una volta memorizzate nel microchip, le impronte digitali non saranno registrate in alcuna banca-dati ma saranno cancellate. E chi ci dà la garanzia?
Sebbene sia divulgato come un’innovazione efficace per la lotta alla contraffazione dei documenti e per il controllo e la sicurezza dei viaggiatori, il passaporto elettronico rappresenta l’ulteriore passo verso un tecno-totalitarismo planetario. Di che cosa si tratta? Il totalitarismo è quella forma di governo apparsa nel XX secolo – ma non solo, basti pensare all’antico Impero Romano – nella quale tutte le attività che costituiscono la società sono subordinate a una precisa ideologia, manovrata da un gruppo dominante. Il tecno-totalitarismo è, invece, l’evoluzione del totalitarismo ma il senso è uguale: l’unica variante è la tecnologia. Per farla breve, tutto ciò che compone la nostra società è subordinato alla tecnologia, la quale è manipolata da un elite dominante.
Diversamente dalle vecchie ideologie – le quali manipolavano il regno dell’astratto per riprodurlo nella concretezza e stabilire una precisa forma di dominio – la tecnologia (tecnica) è un modo di pensare che opera direttamente nella natura, la trasforma, la regola, la pianifica, la controlla e in questo modo la domina. Un’ulteriore differenza tra totalitarismo e tecno-totalitarismo consiste nel fatto che mentre il primo è governato dal creatore o dal gruppo curatore di una precisa ideologia, il secondo invece è pilotato da chi detiene il controllo dei mezzi tecnici. A ben vedere, la nostra società, ormai, è altamente tecnologicizzata. La stessa vita umana, nella propria complessità, sembra essere possibile esclusivamente in relazione alla tecnica (questo è quanto si vuol far credere).
In questa prospettiva, è bene tenere a mente che chi gestisce i mezzi tecnici possiede il potere di trasfigurare, pianificare e dominare la natura. Quando si parla di natura, naturalmente, vi è compreso l’uomo. Così come il totalitarismo, per definizione, mira a diffondere “totalmente” il proprio potere, allo stesso modo la naturale vocazione o tendenza del tecno-totalitarismo è il compimento di un dominio globale, riguardante cioè uomini, macchine, piante, animali, minerali, esseri organici e inorganici.
La potenza trasversale di chi comanda i mezzi tecnici è in opera dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Basti leggere L’operaio di Ernst Jünger o Le origini del totalitarismo di Annah Arendt per capire di cosa si tratta. Il passaporto elettronico è l’ulteriore passo in avanti per il compimento di un tecno-dominio onnilaterale, vale a dire di un’artificiosa realtà planetaria nella quale ogni cosa, uomo compreso, è legata organicamente alle altre. Nulla può sfuggire. Ogni cosa è un ingranaggio indispensabile per far funzionare la più spaventosa macchina del potere mai vista prima: questo stesso mondo, che diviene un tecno-mondo. L’uomo non può essere libero di scegliere se aderire oppure no a questa interpretazione generale dell’esistenza. Deve obbligatoriamente pensare se stesso e la propria vita all’interno di questo immenso tecno-sistema, che garantisce l’accumulo e la salvaguardia del potere di chi è al vertice della piramide tecnologica.
Per controllare gli uomini e costringerli a pensarsi all’interno del tecno-mondo, dunque per assicurare il tecno-potere dei signori della tecnica, non c’è bisogno dell’uso della forza e della violenza “fisica”. Gli stessi mezzi tecnici possiedono la “dolce” capacità di persuadere gli uomini a questo scopo. Ognuno li acquista per la loro utilità ma chi governa i mezzi tecnici sfrutta la loro utilità per manipolare e dominare chi ne fruisce. In breve, li ri-utilizza per il proprio potere. Facciamo degli esempi.
I mass-media sono gli strumenti utili per influenzare l’opinione pubblica e stabilire ciò che la gente deve pensare, quale stile di vita e quali consumi deve effettuare per sentirsi appartenente alla società. I telefoni cellulari e i navigatori satellitari sono i congegni indispensabili per rintracciare chiunque – e in alcuni casi, per spiare chiunque – in qualsiasi angolo del pianeta. I social networks sono le rivoluzionarie diavolerie necessarie per fare una spontanea mappatura delle masse, per sapere dov’è la gente quando il telefono è spento o per conoscere che cosa pensa, quali gusti ha (letteratura, cinema, arte, politica, lavoro, shopping, hobbies, spettacolo, gossip e così via). Le banche sono i marchingegni adatti per sapere quanto capitale vi è in circolazione ma anche per raccogliere, controllare, utilizzare i denari di tutti e, in questo modo, per capire chi è tanto ricco da rappresentare un pericolo. Il passaporto elettronico consente di affinare una schedatura di massa, di tenere sotto controllo tutti gli abitanti del pianeta, di sapere dove va ogni singola persona.
C’è da chiedersi se la digitalizzazione del passaporto sia l’arma decisiva per combattere la criminalità internazionale – questa è la ragione dell’inserimento del microchip nel documento – o se sia necessario intervenire altrove, magari fornendo una buona educazione e un buon esempio nelle scuole, nelle chiese, nelle case, nei organi pubblici, in tutti i luoghi che costituiscono la nostra società. Ma a noi non interessa farci queste domande: a noi piace il tecno-mondo e in questo modo piacciamo ai signori della tecnica.

lunedì 8 marzo 2010

FESTA DELLA DONNA: MEGLIO TORNARE ALL'ANTICO 8 MARZO

- di Saso Bellantone
Ogni anno, alle prime luci dell’alba dell’8 marzo, il mondo si colora di rosa. Discoteche, night, ristoranti, pizzerie, pub, trattorie, bar, centri benessere, insomma tutti i locali pubblici si attivano per finalizzare la migliore illusione capace di attrarre il maggior numero possibile di clienti e in questo modo moltiplicare all’infinito i quattrini dei rispettivi proprietari. Le principali materie prime sfruttabili per questo scopo sono gli spogliarellisti, i disc jockey, i gruppi musicali, i piano bar, i karaoke, i menu chilometrici, le torte della grandezza pari al Pirelli, le rose, le mimose, le margherite, i regali, i gadget e le offerte di ogni genere relative a tutti gli spazi e le attività che costituiscono la nostra società. Tutto questo origina uno dei più assurdi capolavori del mondo contemporaneo, il cui scopo è il denaro: la festa della donna.
In questo giorno e soltanto per questo giorno, il gentil sesso si lascia abbindolare dall’ipocrisia, dalla finzione, dall’apparente dolcezza del popolo coi calzoni e perde molto volentieri il lume della ragione per dar sfogo alla follia, allo spreco, ai consumi, al delirio di onnipotenza, al desiderio dell’ignoto e della trasgressione. È un giorno terribile: vi è mai capitato, cari lettori, di entrare in un locale e di assistere per puro caso a una passata edizione della festa della donna? In caso negativo, provate questa esperienza.
Appena varcata la soglia che separa il mondo ordinario da quello dell’8 marzo, vi ritroverete in uno scenario infernale, apocalittico. Donne che s’ingozzano fino all’esplosione dell’apparato digerente; donne che schiamazzano delle volgarità mai udite; donne che cantano, ballano, fanno piroette, saltano e si strusciano addosso a qualche povero spogliarellista, vittima sacrificale in onore della dea Depravazione; donne che si spogliano, si ubriacano, si drogano, che salgono sui tavoli e si lanciano sulla massa…finché quella moltitudine di signore e signorine si accorge della vostra presenza, vi punta e vi sequestra per usarvi per i propri giochi folli e proibiti. Ci si sente piccolissimi di fronte a una bolgia simile: ognuna tocca, strappa, tira, stringe, si struscia, accusa, colpisce, urla, pretende la mimosa e ogni servizio possibile. Si finisce nel temere per la propria incolumità e si prega Dio in tutte le lingue conosciute, affinché liberi la propria mandria di Ippogrifi e restituisca il senno a questa calca di indemoniate.
Sì cari lettori. Ogni anno avviene qualcosa di simile ma non tutto il gentil sesso ragiona – o meglio, s-ragiona – in questo modo. Alcune decidono di passare una serata tranquilla con le amiche, magari cenando in casa o altrove, libere per una volta della solita presenza maschile. Si mangia, si scherza, si parla un po’ di gossip paesano, nazionale e internazionale e poi si torna alla vecchia vita. Naturalmente, vi è chi preferisce far finta di nulla e vive questo giorno come tutti gli altri. Infine, vi sono le donne che vivono l’8 marzo nel suo senso originario, vale a dire come un giorno utile per sensibilizzare l’opinione pubblica contro i maltrattamenti che la donna ha subito (e subisce tuttora) nel corso dei secoli. Perché per questo scopo si è scelta questa data?
Per ricordare una tragedia. L’8 marzo 1908, a New York, 129 operaie che protestavano contro le terribili condizioni cui erano costrette a lavorare, furono chiuse all’interno di una fabbrica e bruciate vive. In seguito, la politica Rose Luxemburg propose di concepire questa data come una giornata di lotta internazionale a favore delle donne. Così, dagli Stati Uniti si diffusero ovunque varie iniziative e associazioni che intesero l’8 marzo come un giorno della memoria ma anche come un giorno utile per manifestare, riflettere e proporre soluzioni utili per il riscatto della donna, il cui simbolo è la mimosa.
Nel 1946 l’UDI (Unione delle donne italiane) preparava il primo 8 marzo del dopoguerra. Le donne italiane pensavano fosse necessario scegliere un simbolo che racchiudesse il senso di questa giornata: dal momento che fiorisce proprio in questo periodo, decisero che l’allegra e morbida mimosa fosse adatta per questo scopo.
Ancora oggi la mimosa è considerata il simbolo della festa della donna. Quest’allegoria, però, ha un valore maschile anziché femminile. L’uomo usa regalarla alla donna per dimostrarle il ricordo, il pensiero, i sentimenti e così via e la donna, appresso all’uomo, si è abituata anche lei a concepire la mimosa in questo senso. Così, oggi la donna pretende dal proprio uomo questo fiore: se questi dovesse dimenticarsi, allora comincia la guerra.
La donna dovrebbe ricordare che la mimosa è un simbolo femminile, e cioè che questo fiore ha un significato relativo alla propria storia e al proprio futuro. Non si tratta di ricevere passivamente l’attenzione da parte degli uomini ma di esigerla attivamente in casa, al lavoro, ovunque. In questa prospettiva, che senso ha concepire l’8 marzo come un giorno nel quale fare esclusivamente baldoria? Dovrebbe essere inteso, piuttosto, come un momento utile a tutte le donne, per ricordare che è possibile edificare un mondo e un futuro diversi da quelli costruiti dagli uomini. Se fare cagnara è un atteggiamento prettamente maschile, il dialogo invece è una prerogativa che l’uomo ha imparato dalla donna. Se è vero che la donna è diversa dall’uomo, allora la smetta di pensare alla baldoria e si concentri più sul dialogo, altrimenti finisce per emulare quello che fa l’uomo e dimostra, in questo modo, di voler diventare un uomo anziché voler essere sempre più una donna.
In questo senso, auspicando un aumento di chi preferisce impiegare l’8 marzo per rinnovare il proprio impegno quotidiano nel difendere i diritti e le potenzialità intrinseche della donna, utili per cambiare in meglio la nostra società, auguro a tutte le donne un 8 marzo giudizioso.

sabato 6 marzo 2010

OGM: UTILI PER LA VITA O PER L'ECONOMIA?

- di Saso Bellantone
In questi giorni la Commissione Ue si è espressa a favore degli Ogm, approvando la coltivazione nei territori europei della patata transgenica Amflora, per uso industriale. I prodotti derivati dall’amido Amflora saranno utilizzati esclusivamente per gli alimenti degli animali. Dal momento che ci nutriremo di questi animali, anche noi assorbiremo i derivati della patata Amflora. La Commissione annuncia che presto saranno messi sul mercato anche tre mais geneticamente modificati: il MON863xMON810, il MON863xNK603 e il MON863xMON810xNK603.
In Italia, molti si esprimono contrariamente all’approvazione degli Ogm. Tra questi, troviamo ad esempio il ministro per le politiche agricole alimentari e forestali, Luca Zaia; i Verdi; la Cia (Confederazione italiana Agricoltori); la Coldiretti; la Barilla; il sindaco di Roma Gianni Alemanno. Il Vaticano si limita a esternare la propria preoccupazione al riguardo, senza pronunciarsi pro o contro. In generale, la decisione della Commissione Ue è bocciata perché si considerano gli Ogm una minaccia per l’economia agroalimentare europea, per il Made in Italy ma soprattutto uno strumento utile per fare gli interessi delle grandi multizonali Ogm.
Il dibattito intorno agli Ogm cresce a dismisura e tutti ci riempiamo la bocca di argomentazioni pro e contro. Molti sono favorevoli perché nella medicina, ad esempio, l’utilizzo degli Ogm ha contribuito alla nascita di farmaci più economici. Oppure perché si prevede che i prodotti Ogm aumenteranno la disponibilità di cibo per i paesi in via di sviluppo; perché garantiranno maggiore difesa della biodiversità mediante la creazione di nuove varietà; perché diminuiranno la deforestazione, l’erosione dei territori agricoli, l’utilizzo di pesticidi e l’inquinamento; perché miglioreranno alcuni cibi dal punto di vista della durata, del gusto, dei valori nutrizionali. Molti altri, invece, sono contrari perché i prodotti Ogm favoriranno la comparsa di nuovi parassiti, di nuovi ceppi virali, di malattie resistenti agli antibiotici e provocheranno l’estinzione di specie naturali.
Al di là dei benefici e della dannosità che potrebbero scaturire dall’utilizzo di questi prodotti – la cui valutazione è meglio lasciarla a chi è competente, vale a dire agli scienziati – ci si dovrebbe limitare nel porsi le seguenti domande: i prodotti Ogm rappresentano una svolta a favore della qualità della vita oppure sono il trampolino di lancio per arricchire i proprietari delle grandi multinazionali Ogm? Inoltre, garantirebbero la risoluzione del problema della fame nel mondo oppure la accrescerebbero?
Anche se molti disconosciamo il significato della parola Ogm, è agli occhi di tutti che questi prodotti rappresentano il futuro di pochissimi azionisti e proprietari delle multinazionali Ogm. In altri termini, sono la pietra filosofale per fare quattrini e per mandare in bancarotta le altre aziende ed economie. In questa prospettiva, è evidente che anziché risolvere la questione della fame nel mondo, i prodotti Ogm la accrescerebbero. In che senso?
Per farla breve, si proporrà di coltivare i prodotti Ogm direttamente nei paesi sottosviluppati, per nutrire e far lavorare chi attualmente è in balia della piaga della fame. Una volta avviate le coltivazioni, si vieterà agli affamati di nutrirsi di questi prodotti, perché sono di proprietà delle multinazionali e in quanto tali devono essere esportati e venduti in tutto il mondo, per produrre capitali.
Se questo sarà l’utilizzo dei prodotti Ogm – e sarà proprio così – non si dica in giro che sono l’arma principale per combattere la fame nel mondo. Questa piaga non si combatte attraverso la logica economica, il pari in bilancio degli Stati e simili ma chiudendo la porta in faccia al modo di pensare consumistico che qualifica – sarebbe meglio dire “squalifica”, nel senso di “privazione di ogni qualità” – il nostro tempo.
Chiediamoci: quanti prodotti della terra, dunque naturali, gettiamo nella spazzatura ogni giorno perché non sono stati venduti? Questo avviene da un lato perché ragioniamo secondo il modello capitalistico, vale a dire quello di fare più spiccioli possibili; dall’altro lato, perché siamo posseduti dal demone dello spreco e del consumismo. Chi vende pensa: “Più merce ho da vendere, meglio è! Se non la vendo, pazienza! Meglio buttarla che regalarla!”. Chi compra, invece, dice tra sé e sé: “In casa dev’esserci tutto! I miei figli non devono passare quel che ho passato io!” oppure “Oggi ho ospiti! Non deve mancare nulla per fare bella figura! Se non si consuma, pazienza! Meglio buttarla che esserne sprovvisti!”. È questa la verità: siamo spreconi.
Se questo è vero – ed è così – non si presentino gli Ogm come la manna caduta dal cielo per sfamare i paesi in via di sviluppo e l’intero universo! Basterebbe soltanto cambiare modo di usare le risorse alimentari, diminuire i consumi in eccesso e gli sprechi, accontentarsi di quanto basta per sopravvivere. La bella figura, cari lettori, bisogna farla con chi non ha nulla da mettere sotto i denti, non con chi, un giorno si e uno no, viene a parassitare in casa nostra e poi se ne frega di noi. Sarebbe l’ora di cambiare modo di pensare…per quanto riguarda gli Organismi geneticamente modificati, invece…meglio che i proprietari delle multinazionali se li coltivino in casa propria.