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sabato 23 aprile 2016

All'origine del domandare


- di Ernst Junger
"Ma è proprio quando sotto non c'è niente che il problema diventa più inquietante (Il problema di Aladino)".

giovedì 14 aprile 2016

COSI 'I 'NA VOTA: la consapevolezza degli eventi


- ricerca a cura di Mimmo De Pietro
"I guai d'a pignata 'i sapi a cucchjara chi 'mbiscita".

martedì 12 aprile 2016

Un'amicizia disobliata


- di Saso Bellantone

Si crede siano eterne, al pari di un nome scolpito sulla parete di roccia di una grande montagna, ritenuta incrollabile, ma a volte accadono terremoti e cataclismi capaci di livellare e cancellare anche la vetta più alta, sia quest'ultima il monte Olimpo, il Calvario o la catena del Gamburtsev. Per le amicizie è così. Vanno, e vengono, esattamente come gli amori. Un volto esiste finché dimostra la sua amicizia. Quando invece smette di farlo, non esiste più, come se non ci fosse mai stato.
Vi sono tuttavia delle amicizie che, essendo vere e sincere al pari degli amori, è difficile rimuovere, facendo finta che non ci siano mai state, malgrado per molti sia qualcosa di estremamente semplice, come il distinguere il nero dal bianco, il giorno dalla notte, il caldo dal freddo. Non si riesce ad eliminarle dalla propria memoria, conscia e inconscia, perché con esse si è vissuto tanto, anche in un misero sguardo, in una banale parola o in una manciata di istanti.
Sono quelle amicizie che ci si porta per sempre nel cuore, perché con esse si è cresciuti, si è sfidato il mistero della vita, sperimentando tante di quelle cose che costituiscono la nostra odierna identità. Insieme si è sorriso, si ha pianto, si è usciti per la prima volta di casa, ci si è iscritti alla palestra o a un corso di uno sport qualunque; si è sognato, si è guardata in faccia la realtà, si è andati in cerca di un partner facendo il più delle volte brutte figure, si è disobbedito prendendosi spesso le ramanzine degli adulti e anche gli schiaffi. Insieme si è parlato di scuola, di libri, di musica e di argomenti taboo, siano questi ultimi la sessualità, i fumetti e le notizie apocrife di qualsiasi disciplina; insieme si sono fatte quelle stupidaggini come suonare un campanello di un'abitazione e fuggire o imitare i grandi comici della televisione con le quali ci si è divertiti tanto. Insieme, si è stati in vacanza spensierati o si sono affrontati i primi seri problemi della vita. Insieme, si è vissuto tanto, molto, per la prima (si spera ce ne sia una seconda) parte della propria esistenza.
Le si reputa amicizie immortali, imperiture, al pari della Piramide di Cheope o del rompicapo tra l'uovo e la gallina. Si dà per scontato che queste amicizie ci saranno sempre, qualsiasi cosa accada... Qualsiasi cosa accada, sia un evento nefasto o uno miracoloso, gli amici non mancheranno mai. E invece, proprio nel momento in cui si vorrebbe avere al proprio fianco tutte le proprie amicizie, non si ha nessuno e ci si ritrova, forse per la prima volta, soli.
È in quel momento che si capisce qualcosa in più o che, forse, finalmente, si guarda in faccia la realtà davvero, come è sempre stata. È in quel momento che, forse, si usano gli occhi per la prima volta e si comprende come stanno le cose, come sono sempre state. È in quel momento che si ha l'occasione di stabilire, inizialmente, yin e yang, bianco e nero, dolce e salato, sogno e realtà.
È come il risvegliarsi da un sogno, o da un incubo, nel quale tutti avevano consapevolezza dell'accadere, tranne noi. È come l'emergere dal mare e ritrovarsi bagnati, mentre tutti gli altri sono a riva e all'asciutto. È come il sentirsi bruciati vivi, al rogo, mentre tutti gli altri, che credevamo compartecipi delle medesime battaglie, osservano soddisfatti nelle vesti dei castigatori, lanciandoci gli insulti più spietati.
Si perde il senso dell'orientamento, il capo e la coda; si perde anche il cane, che non ha più modo di rincorrere alcunché. Si perde tutto: il sentiero da cui si è venuti, il luogo nel quale si è arrivati e la direzione verso cui ci si stava dirigendo. Si Smarrisce la propria identità. E nella maggior parte dei casi, senza neanche un perché.
Ma per quanto profondo e straziante possa essere il baratro, senza fondo, nel quale ci si sente precipitare, il cammino prosegue. Nostro malgrado. Si fanno nuove conoscenze e si incontrano persone davvero splendide, speciali, delle quali non sapevamo l'esistenza e delle quali, adesso, non possiamo farne a meno. Anche nella distanza, nel tempo e nello spazio, noi siamo costantemente “con” queste persone e “siamo” queste persone. Siamo un volto di noi stessi del quale non sapevamo nulla. Siamo l'etere, l'astratto, l'idea e la consapevolezza silente che ci lega ad esse. Siamo un passeggiata, un'escursione nuova, in un mondo che è sempre stato lo stesso e che adesso è anche qualcos'altro. Siamo, gli amici della conoscenza che abbiamo appena incontrato, portando nel cuore il ricordo, e la speranza di ritrovare, gli amici persi o che ci hanno abbandonato.
Siamo disobliati. Amici disobliati, ma soltanto assieme ai nuovi compagni di viaggio.
Tenaci lottatori contro quelle mode di pensiero e di comportamento con le quali i potenti e gli opportunisti di ogni razza e casta stabiliscono il proprio dominio, gli amici disobliati sono tanti, pur essendo in pochi. Silenti e colloquiali quanto basta, vivono il mondo che può ancora essere dentro il mondo degenerato che purtroppo già è. Amano la letteratura, l'arte, il cinema, la musica, la scienza e svariate discipline di cui si compone lo scibile umano. Amano la buona cucina, quella fatta di prodotti tipici locali, i paesaggi incantevoli ammirabili nella nostra terra, i paesini sperduti nell'Aspromonte e le spiagge mediterranee. Amano gli incontri, le passeggiate, le conversazioni, il frequentare gli eventi culturali o organizzarne di propri. Amano la compagnia, perché passano il resto della loro vita in maniera solitaria, studiando, leggendo, osservando, scrivendo, dipingendo, componendo, creando. E soprattutto, amano restare qui, al sud, alla ricerca di quei punti di vista e di quelle lenti d'ingrandimento capaci di scuotere le coscienze, e le anime se ci sono, e di determinare un beneficio per i più. Per gli ultimi, i deboli, gli schiavi della nuova era.
Basta uno sguardo, un sorriso, un bacio, un abbraccio o una stretta di mano con questi amici disobliati, basta soltanto la loro presenza o il ricordare la loro esistenza e il loro umile operato, per sentirsi più luminosi. Perché si comprende che noi siamo molto simili a loro e loro a noi. Folli, decisamente. Sognatori e illusi, di certo, di poter contribuire al cambiamento e al risanamento delle menti atrofizzate e narcotizzate che abitano la nostra terra.
È probabile che questi amici riusciranno nel loro intento così come è probabile che non ce la faranno mai. Eppure, è importante che questi sforzi ci siano, è fondamentale che loro ci siano. Perché senza di loro, oggi, non ci saremmo neanche noi.
E allora non resta che augurare agli amici disobliati, di continuare il loro viaggio nella conoscenza, perché con il loro persiste il nostro e si addensa la consapevolezza di essere davvero qui, davvero vivi.
Anche se ognuno di loro, di noi, non riuscirà a realizzare il sogno di vivere in un mondo completamente diverso da quello attuale, potremmo dire almeno, alla fine, di avere avuto tante tra le più belle amicizie che si possano mai desiderare: un'amicizia, appunto, disobliata.

lunedì 11 aprile 2016

L'ARTE PERIFERICA: Intervista a Giusy Staropoli Calafati


- di Saso Bellantone
Giusy Staropoli Calafati, Vibo Valentia 1978.
Vive e opera a Briatico. Ha terminato i suoi studi nel ’97 e ha poi coltivato la sua passione per la letteratura con uno studio da autodidatta. Il suo “genio” creativo, viene sempre più riconosciuto ed annoverato nella grande tradizione letteraria calabrese che spazia da Alvaro fino al suo amato Saverio Strati. É vincitrice di importanti concorsi e premi letterari in Italia. Ha inoltre conseguito diversi riconoscimenti per il merito di narrare con impeto un Sud che è un destino dentro al cuore che ti prende e non lo sai lasciare. Presente in varie antologie di poesia contemporanea, ha pubblicato: “La mia terra”, Sabinae 2008, (prefazione di Gerardo Sacco); “Pensatori e Poeti”, Leonida 2010; “Natuzza Evolo due chiacchiere con Maria”, Falco 2013 (prima edizione); “SUD –La terra di Costabile”, Thoth 2014, (pref. a cura del prof. Luigi M. Lombardi Satriani); “ A passioni, canto in dialetto calabrese”, Thoth 2015; “SAVERIO STRATI non un meridionalista ma il Meridione in sé che parla”, Disoblio 2015.

Come ti sei avvicinata alla scrittura?
Senza voler tralasciare quella parte di verità che più mi si addice e che vede innata in me la passione per la scrittura, confermo di essermi avvicinata ad essa, e con passione, più o meno in terza elementare, quando, grazie alla mia maestra, ho avuto la possibilità e la fortuna di dare ampio spazio alla scrittura creativa con la formulazione di testi di ogni genere, durante la stesura dei quali io riuscivo senza inibizioni alcune, a liberare i miei pensieri, vivendo uno stato assai benefico.

Che cos'è la scrittura?
Per me la scrittura è la più ampia forma di libertà.
Più della parola, è scrivere che mi rende libera. Anche al Sud.

Cosa pensi riguardo al senso, allo scopo e agli usi della scrittura, sia a livello individuale sia sociale, nel mondo contemporaneo?
Essendo per me uno stato libero la scrittura, penso essa abbia sensi e scopi imprescindibili.
Comunicare, dire, affermare, denunciare, fare, amare…
Nel mondo contemporaneo ha certamente un ruolo fondamentale sia a livello individuale che sociale. Resta una forma d’arte raffinata e autentica allo stesso tempo, alla quale anche i giovanissimi ricorrono con sempre più assiduità, riscoprendola come una seconda forma di vita.

I Greci impiegavano il termine “poiein” per significare “creazione”. Poi questa parola, nel corso del tempo, si è trasformata di linguaggio in linguaggio, fino a diventare in italiano per esempio, la parola “poesia”. Quando un poeta comunica se stesso, cioè scrive una poesia, è un creatore di mondi, riproduce il mondo, crea nel senso pieno della parola. Puoi definire i tuoi scritti “poesie”, opere d'arte, creazioni nel senso pieno del termine?
Non sono io a dover definire i miei scritti “poesie”. Non potrei mai.
I miei sono tutti semplicemente ‘scritti’. Spetta al lettore, in tutta la sua crudezza, tradurre uno scritto in poesia, opera d’arte, creazione. E questo per fortuna avviene spesso e mi dà immensa soddisfazione.

Perché scrivi? Perché senti l'esigenza di comunicare mediante l'arte della scrittura?
Scrivo per soddisfare un ‘piglio’ forse?
Ma no!, la scrittura è un’esigenza che ho dentro. Una forma d’arte che mi permette di raccontare me stessa raccontando gli altri.

Che cosa racconti nei tuoi scritti?
Nei miei scritti racconto la vita. Quella che va e quella che viene. Racconto storie e memorie antiche ma non vecchie. E ancora racconto la mia terra. Un Sud che è un destino dentro al cuore che ti prende e non lo sai lasciare.

Una scrittrice può sentirsi tale senza i lettori?
I lettori completano l’opera di una scrittrice.

Che cosa significa oggi vivere come una scrittrice e vivere esclusivamente della propria scrittura? Quali sacrifici comporta accettare questo incarico, questa missione?
Vivere come una scrittrice è bello, ma porta con sé un grande carico di responsabilità. Tocca dare al lettore ciò che questo, di volta in volta, si aspetta e vuole, e non è sempre così semplice.
Vivere della propria scrittura, di questi tempi è certamente dura. Ma scrivere è una missione e come tale vi sono sacrifici da sopportare. E io per la gioia di scrivere, sopporto!

Cosa ti spinge a restare nella tua terra natia?
Le radici. Ché sono più forti delle mie ali.

Puoi definirti una sognatrice? Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Non mi definisco sognatrice. Sognatrice lo sono. Ho un grande sogno nel cassetto: “il riscatto culturale e sociale della mia terra”. E scrivo perché questo sogno si realizzi.

Parlaci del tuo ultimo libro, “Saverio Strati. Non un meridionalista ma il Meridione in sé che parla”.

Il mio ultimo libro riporta alla luce la figura pragmatica del grande scrittore calabrese, Saverio Strati, con il quale si ha la possibilità di entrare con sensibilità ed efficacia nel vero stomaco della Calabria.
Un libro che nasce dalla volontà di negare al maestro Saverio il diritto all’oblio che altri prima di me gli hanno gratuitamente dato.
Un dovere nei confronti di un uomo e di uno scrittore che a Ponte Vecchio, guardando l’Arno, pensava al suo Ionio e piangeva.
Un autore di spessore, tradotto nel mondo, premio Campiello, pubblicato dalla più grande casa editrice italiana, che le nuove generazioni hanno l’obbligo di conoscere per conoscersi meglio. Perché, i libri di Strati sono veri lezionari di vita quotidiana; una sorta di Bibbia calabrese con parabole più d’una.
Un segno di riconoscenza dunque, a Saverio Strati, che grazie a questo libro, ritorna e con dignità e orgoglio in Calabria, nelle scuole, tra i calabresi suoi di sempre.


Chi desidera seguirti e saperne un po' di più sui tuoi scritti, dove può rivolgersi?
Può farlo attraverso i social: Facebook, Twitter; Instagram. O anche attraverso il mio blog personale all’indirizzo: giusystar.myblog.it

Alcune parole per i giovani.
Ai giovani il messaggio che mi sento di dare, è quello di darsi, in questa terra, nuove opportunità. Sono loro il futuro del Sud e del mondo intero.
“Lottate per le vostre idee, i vostri sogni. Non sentitevi offesi tutte le volte che altrove vi chiameranno ‘i calabresi’, o i ‘terroni’. Siatene fieri. Noi del Sud veniamo, e orgogliosamente, dalla terra. La terra tempra, ragazzi!
Difendete i valori che vi hanno trasmesso i vostri padri e le vostre madri. Salvaguardate la loro e la vostra lingua. Custodite come fosse memoria, sempre, la vostra identità. Date valore al senso dell’appartenenza e a quello dei luoghi. Pretendete che ‘i grandi’, siano questi le scuole, le chiese, la politica, la cultura, vi diano l’opportunità di scegliere se andare o restare nella vostra terra. Perché questa non è terra di nessuno. È la vostra (nostra) terra, appunto!

sabato 9 aprile 2016

L'ideazione traditrice


- di Oscar Wilde
"C'è qualcosa di tragico nel fatto che appena l'uomo inventò una macchina capace di sostituirlo nel lavoro, cominciò a patire la fame".