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venerdì 12 febbraio 2010

DALAI LAMA: L'APOLIDE INCOMPRESO INCONTRERA' BARACK OBAMA


- di Saso Bellantone
L’incontro tra il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama e il Dalai Lama si terrà il 18 febbraio alla Casa Bianca. Già nei giorni scorsi la Cina si era opposta fortemente all’incontro, intimando Obama che in questo modo avrebbe “messo a rischio” i rapporti tra Washington e Pechino, relazioni già in crisi per via della libertà di accesso a internet e della vendita di armi a Taiwan da parte del governo americano. Sembra assurdo, eppure minacciando gli Stati Uniti d’interrompere i rapporti diplomatici, la Cina si mostra disposta a intraprendere un cammino di decisioni convertibili, da un momento all’altro, in un conflitto armato. Che ne sarà del resto del pianeta, se i due titani del XXI° secolo dovessero scontrarsi militarmente? Perché tanto attrito per un solo uomo?
Il Dalai Lama incarna la storia remota e recente del popolo e della terra tibetani. In questo senso, incontrare la massima autorità del Buddismo tibetano significa far scorrere indietro le pagine del grande libro della storia delle civiltà umane e ricordare ciò che il silenzio del mondo e che le continue intimidazioni cinesi vogliono cancellare: l’invasione del Tibet ad opera della Repubblica Popolare Cinese, avvenuta nel 1949-1950.
Situato sull’omonimo altopiano, il Tibet ha una storia travagliata. Mongoli, cinesi e popolazioni limitrofe si contesero questa regione per molti anni, ma nessuno impedì ai monaci di praticare la propria religione, introdotta agli inizi del VII secolo: il Buddismo. Tra il 1670 e il 1750 il Tibet fu incorporato alla Cina e divenne uno dei principali teatri di battaglia tra Occidente e Oriente, rappresentati dall’Impero Britannico e quello Cinese. Dopo anni di conflitto, nel 1904 il Regno Unito riuscì a invadere il Tibet e a costringere il Dalai Lama a rifugiare in Mongolia: era la prima volta dal lontano 1391 – anno di nascita del primo Dalai Lama, Gedun Khapa – che la massima autorità religiosa lasciava quella regione; ma accadde un’altra volta e, questa, fu l’ultima. Con il crollo dell’Impero Cinese, nel 1912, assieme a Xinjiang e Mongolia, il Tibet dichiarò la propria indipendenza dalla Cina e il Dalai Lama tornò a Lhasa, capitale tibetana, ma morì nel 1933. Nel 1940 Tenzin Gyatzo fu nominato XIV Dalai Lama e raccontò che, in una visione profetica, un Dalai Lama del passato gli disse: “quando l’uccello di ferro volerà, verrà l’uomo e la distruzione”.
Così accadde. Il 1° ottobre del 1949 Mao Zedong proclamò a Pechino la nascita della Repubblica Popolare Cinese. L’anno dopo conquistò nuovamente il Tibet: all’inizio, le autorità cinesi non interferirono con il governo tibetano; in seguito, per via delle violenze, dei maltrattamenti e delle uccisioni ingiustificate dei propri fratelli ad opera dei militari cinesi, i monaci si ribellarono e il Dalai Lama fu costretto a fuggire e a rifugiare in India e nello Sri Lanka. Nel 1964 la Cina nominò formalmente il Tibet una “provincia autonoma della Cina”, per calmare le acque a livello internazionale. Da allora, il Dalai Lama è ancora in esilio; i monaci subiscono una repressione dietro l’altra – come ad esempio quelle trasmesse recentemente dall’emittenti televisive di tutto il mondo – e la comunità internazionale si mostra disinteressata nei confronti della questione tibetana. Tre anni fa, l’Ue afferma di dare appunto 3 anni di scadenza alla Cina per rivedere la propria posizione al riguardo, passati i quali, oggi, non si fa ancora niente.
Naturalmente, la questione tibetana è delicata e un possibile conflitto tra Stati Uniti e Cina è da evitare. C’è da chiedersi, però: perché il Dalai Lama non può discutere di questa situazione con personaggi politici del calibro di Obama? Di che cosa ha paura la Cina? Di perdere il Tibet? E in quale maniera se n’è impossessato? Ma è solo una questione politica? Non è stata la Cina a distruggere tutti i templi buddisti nel periodo della rivoluzione culturale? Non ha forse dichiarato che il prossimo Dalai Lama sarà eletto dal Panchen Lama (secondo capo spirituale buddista) di Pechino?
È chiaro a tutti che la Cina, usando le proprie forze militari, vuole ampliare il proprio territorio per trasformarsi negli “Stati Uniti Cinesi”. Dopo il Tibet, toccherà alla Mongolia, poi a Taiwan, al Butan, al Bangladesh, all’India, al Nepal e via via fino al Medio Oriente. La questione tibetana è importante ed è lo strumento col quale la Cina misura l’Occidente: se quest’ultimo non farà nulla, la Cina interpreterà questo menefreghismo nel senso di un’autorizzazione ufficiale a espandersi con l’uso della violenza. Ammesso che il Tibet resti nelle mani della Cina, c’è da chiedersi: perché usare tutta questa ferocia nei confronti dei monaci tibetani? Perché imporre che l’elezione del prossimo Dalai Lama sia svolta dal Panchen Lama pechinese, che nulla ha a che vedere con il buddismo tibetano?
L’incontro tra Obama e il Dalai Lama è un esempio che molti altri presidenti, religiosi e politici dovrebbero seguire. Questo non vuol dire, naturalmente, che in questi anni nessun altro nel mondo ha incontrato il Dalai Lama: ad esempio, a livello internazionale spiccano i nomi di Sarkozy, della Merkel, di Bush; in Italia, il premio nobel per la pace Tenzin Gyatso è stato ricevuto recentemente dal cardinale Tettamanzi, da Fini, dai sindaci Alemanno e Cacciari – che gli hanno conferito, rispettivamente, la cittadinanza onoraria a Roma e a Venezia, mentre la Cina ha commentato: “Offeso il nostro popolo”. Molti, però, si sono rifiutati di farlo, tra cui le massime cariche dello Stato Italiano e Vaticano.
Si spera che, dopo il 18 febbraio, altri leader politici trovino il coraggio d’incontrare il Dalai Lama e di opporsi con la forza della pace, della diplomazia e del dialogo – che, molto probabilmente, devono imparare dal Dalai Lama e da chi ha avuto il fegato d’incontrarlo – al genocidio etnico, culturale e religioso che la Cina opera da parecchi anni contro i tibetani.

giovedì 4 febbraio 2010

SUICIDIO ANNUNCIATO SU FACEBOOK: NESSUNO FA NIENTE

- di Saso Bellantone
Un ragazzo di 17 anni di Ponte di Piave (Treviso) s’iscrive nel gruppo di Facebook “Hai mai pensato di farla finita?” e nessuno prende provvedimenti. Qualche giorno dopo invia le fotografie di una doppietta, appartenente al padre, ad un gruppo dedicato ai fucili a due canne e nessuno si allarma. Alla fine, proprio come aveva meditato, si toglie davvero la vita con il fucile del padre, lasciando ai genitori un bigliettino nel quale spiega il proprio mal di vivere. Ma ci rendiamo conto?! In questi giorni si discute assiduamente della questione riguardante internet e la libertà di opinione: per quale ragione? Perché si ritiene che il web è utilizzato per disinformare, per ingiuriare, screditare e diffamare personaggi politici e non, per istigare al crimine e alla violenza, per dare libero sfogo a ogni genere di idiozia e volgarità, per programmare reati nella vita out-door (o meglio out-web) e così via. Per questi motivi, molti sono convinti che è necessario censurare tutti quei siti, quelle factory e quei portali di discussione che sono usati nel senso citato sopra. C’è da chiedersi, tuttavia: che cosa si risolve? Oscurando tutte le pagine web che sono usate in questo cattivo modo e impedendo alle persone di esprimere liberamente la propria opinione tramite internet, siamo convinti che tutti diverremo buoni cittadini, onesti, votati alla giustizia, all’informazione documentata, all’uso sensato della ragione e del linguaggio?
Non credo che diventeremo, improvvisamente, tutti quanti degli angeli. Se c’è un problema, questo non è da imputare al web, ma a chi ne fa un cattivo uso. Più esattamente, a chi già nella vita out-door è abituata a fare tutto ciò che ora fa anche su internet. Vale a dire: quanto detto sopra. In questo senso, internet non è altro che lo specchio della vita reale, del modo di pensare e di vivere di chi è connesso. Ma chi, in termini di quantità, è connesso? Facile: una massa di ignoranti, cafoni, volgari, criminali, violenti, stupratori, rapinatori, truffatori, potenti ma soprattutto idioti.
Sì cari lettori! È così! La maggior parte di noi che usiamo il web per riprodurre (o amplificare in peggio) la personalità che abbiamo nella vita reale, siamo ottusi. C’è poco da dire per giustificarci: questa realtà è dimostrata dall’ennesimo suicidio annunciato via internet, poi compiutosi nel silenzio assoluto dei connessi. Nessuno si è preoccupato, nessuno ha denunciato la cosa alle forze dell’ordine, nessuno degli “amici” – non dico quelli reali, ma almeno quelli interattivi – ha informato i genitori né si è recato dal povero 17enne di Ponte di Piave, per perdere qualche minuto a discutere del perché voleva farla finita. Sicuramente chi ha letto il preannuncio di suicidio si è messo a ridere, a scherzarci su o magari a invogliare il ragazzo a compiere quanto aveva segnalato. Proprio come il 19enne Abraham (Florida 2008) che, davanti alla web-cam, diceva di uccidersi e tutti gli altri “connessi” – che lo osservavano in diretta – ridevano, lo incoraggiavano e gli davano addirittura dei suggerimenti per suicidarsi: e alla fine Abraham si è tolto la vita davanti a tutti, incompreso e solo in un mondo di deficienti. La stessa fine, oggi, è toccata al 17enne di Ponte di Piave.
Se questo è vero, se cioè siamo tutti una massa di ebeti, allora cosa si otterrebbe oscurando e censurando il web? Niente. Noi ebeti restiamo lo stesso e quello che non potremmo fare più su internet continueremmo a farlo indisturbati nella vita reale. Tanto, nessuno dice niente a nessun altro: ci piacciamo così, rimbambiti. Ma io non mi piaccio così e vi spiego il perché.
Qualche mese fa, proprio su Facebook, ho letto un annuncio di un tale che voleva “farla finita”: come mi sono comportato, vi chiederete? Non ci vuole un’arca di scienza per capirlo (forse per qualcuno, invece, è necessario spiegare come ci si comporta in questi casi): appena letto, ho risposto a quell’annuncio di un’ora prima chiedendo simpaticamente delucidazioni. Dal momento che dopo qualche minuto l’interessato non rispondeva, ho iniziato a telefonare al suo numero di cellulare: il telefono squillava più e più volte ma nessuno rispondeva. Mi sono preoccupato. Ho continuato a chiamare quel numero e, attendendo che qualcuno rispondesse, controllavo su Facebook se l’interessato rispondeva alla mia richiesta di chiarimento. Mentre ancora facevo squillare il telefono del “presunto suicida”, visualizzo e leggo il “commento” di un altro ragazzo che risponde al messaggio del probabile suicida con le parole: “Sì! Fai bene! Ora mi ammazzo pure io!”.
Di fronte al commento di questo “scimunito” – che ho immediatamente mandato al paese dove si mandano molti ogni dì – tolgo il pigiama, mi cambio, esco di casa e mi rivolgo subito alle forze dell’ordine. Dopo un giro di telefonate tra un commissariato di polizia e l’altro e lasciate tutte le informazioni utili, mobilito le forze dell’ordine per far luce sulla faccenda segnalata: vale a dire, per accertare se si tratta di un “possibile suicidio in corso” o di una burla. Alla fine, dopo qualche minuto di attesa – sono passate quasi due ore dalla data di pubblicazione del preannunciato suicidio – finalmente, viste le mie chiamate senza risposta, l’interessato mi telefona e mi spiega di essere stato contattato dalla polizia. Che cosa è successo? Il presunto suicida chiarisce che è andato a lavoro (dove non può rispondere al cellulare) e che, avendo dimenticato il proprio profilo connesso, i suoi “amici” hanno deciso di impiegare il tempo libero per fare questo scherzo di cattivo gusto. Una volta assicuratomi dell’ottima salute dell’interessato, ho preso la licenza poetica di mandare anche lui e i suoi amici nel paese dove mandiamo molti ogni giorno e sono tornato ai miei impegni. Totale tempo perso: meno di un’ora della mia intera vita.
Perché nel caso del 17enne di Ponte di Piave nessuno si è allarmato? Perché nessuno ha fatto nulla? In breve: perché preferiamo essere tutti quanti come quei deficienti che hanno fatto quello scherzo di cattivo gusto che vi ho appena narrato.
Anziché oscurare e censurare internet, se così stanno le cose, sarebbe necessario impiegare maggiori uomini delle forze armate per controllare la rete ed evitare prontamente che accadono tragedie simili a quella di Ponte di Piave. Se invece dovessero accorgersi di trovarsi di fronte a uno scherzo, gli agenti di polizia devono far capire “legalmente” agli artefici delle burle, che giochi di questo genere è meglio non farli. Stesso dicasi per ogni diffamazione, reato, volgarità e istigazione alla criminalità e alla violenza trovati sul web. Dal momento che siamo in democrazia e l’art. 21 della Costituzione Italiana afferma che “tutti hanno diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, anziché annichilire o purgare internet, basta sorvegliare e applicare al web gli stessi regolamenti che usiamo nella vita reale. Inoltre, naturalmente, bisogna ri-educare le masse riguardo al buon senso e ai valori necessari per il quieto e dignitoso vivere nella comunità cui apparteniamo. Per questo compito nessuno può ritenersi escluso.
Per finire, cari lettori appartenenti al popolo del WWW, dobbiamo capire che quello che ha valore per la vita reale, lo ha anche su internet, e cioè: ciascuno deve prendersi le proprie responsabilità per quello che fa e dice. Sia chiaro: chi farà un cattivo uso del web e si comporterà come gli “amici” del 17enne di Ponte di Piave o di Abraham, come loro finirà per avere sulla coscienza la morte di qualcuno e di non aver fatto nulla per impedirlo.

VENITE SIGNORI! VENITE! E' ARRIVATO IL ROSARIO DIGITALE...CHE ORRORE!



- di Saso Bellantone
Spesso, navigando sul web, capita di vedere immagini, bunner e spot pubblicitari di vari prodotti ma ultimamente internet è invaso da un’invenzione che, sotto forma di ovetto o di libro, rivoluzionerà la preghiera e il rapporto con dio dei fedeli: il rosario digitale!
Che meraviglia! Voce elettronica, coro di fedeli, a batteria o alimentatore, altoparlante incorporato, presa jack per auricolare o altoparlante esterno, tasti accensione, volume, scelta dei giorni settimanali per ogni mistero, led luminosi, un vero proprio gioiello per la fede, portabile ovunque! Chissà quanti quattrini si vuole fregare alla gente con quest’obbrobrio che stravolge, nel vero senso della parola, la vita spirituale e comunitaria dei fedeli!
E quanti annunci affascinanti! Mi limito al più appariscente. Si legge: “Il rosario digitale è l’amico ideale, inseparabile, l’amico che pregherà insieme a te la Vergine Maria!” – che bello! Una volta si andava in chiesa o ci riuniva privatamente assieme agli altri per pregare insieme, coi quali si diveniva, oltre che nel sociale, anche “amici nella preghiera”. Ora, invece, non ne vogliamo più di amici in carne e ossa: tanto, c’è l’inseparabile amico elettronico, ideale perché quando hai finito di pregare, se hai bisogno di parlare, di scambiare degli sguardi, delle opinioni o di sfogarti con qualcuno, c’è il Rosario elettronico che ti ripete sempre le stesse parole e se ne frega di te, abbandonandoti alla tua solitudine, alla tua disperazione, ai tuoi problemi!
Oppure si legge: “Ti piacerebbe che il tuo bambino avesse uno strumento semplice da usare, che lo aiuti ad imparare le preghiere?” – che spettacolo! Pensa! Non devi più mandare tuo figlio in chiesa o al catechismo per imparare le preghiere, leggere i Vangeli e pregare e riflettere assieme agli altri bambini sulla vita, morte e resurrezione di Gesù! Tanto c’è il Rosario digitale! Tuo figlio crescerà solo, non leggerà i Vangeli, non saprà nulla di Gesù né di Chiesa, liturgia e sacramenti, e quando pregherà o reciterà il Santo Rosario, la sua voce sarà un analogon della voce robotica, fredda, senza emozioni e consapevolezza, che ha ascoltato migliaia e migliaia di volte! Dunque non crederà in niente!
Oppure si legge: “Ti ricordi quando la sera davanti al caminetto, tutta la famiglia si riuniva a recitare il Santo Rosario?” – certo che mi ricordo! Ora non si fa più perché: 1) non c’è il caminetto; 2) di questi tempi, fortunato è chi possiede tutta la famiglia; 3) non si va più in Chiesa, ciascuno con le proprie ragioni. Figuriamoci se ci si riunisce con quest’affare tecnologico che non ti dà il caminetto, non ti rende i cari persi, non risponde ai tuoi dubbi che ti allontanano dalla fede!
Oppure si legge: “Pensa a tua madre o a tua nonna che si ritrova tutto il giorno da sola in casa, mentre tu sei tutta presa dalle attività quotidiane…Si sentirebbe meno sola con la voce amica del Rosario…” – che commozione! Quest’invenzione mi consente l’opportunità di fare l’utile e il dilettevole! Perché non pensarci prima! Chi se ne frega della mamma e della nonna, come si dice da queste parti, poviri e pacci! Ho da fare! Devo fare pulizie, devo fare la spesa, devo andare a lavoro, a prendere i bambini, devo cucinare, farmi i capelli, la manicure, la tinta, devo chiacchierare con le mie amiche per sapere tutto e di tutti, devo rincitrullirmi davanti a Uomini e Donne, a Centovetrine, a Sentieri, a Beautiful, a Grande Fratello, devo oziare sul divano ecc.! Chi se ne frega della mamma e della nonna! Chi ha tempo per loro! Anzi, ho risolto! Ora compro loro il rosario digitale così si sentono meno sole e sventurate ed io, facendo bella figura, continuo a fare i miei porci comodi!
Oppure si legge: “Hai presente quel tuo amico che, dopo essersi allontanato dalla Chiesa Cattolica, ha riscoperto Dio? Perché non regalargli uno strumento per ricordare i misteri della vita di Gesù Cristo.” – che idea geniale! A una persona come lui (lei), che ha fatto una ricerca interiore per ritrovare la fede, che ha letto molto la Bibbia e i Vangeli, che si è confrontato con preti, monaci, suore, seminaristi, studiosi di storia delle religioni, diaconi o, molto semplicemente, che ne ha discusso con gli amici oppure ha fatto un viaggio in Terrasanta, in un Santuario o verso i paesi meno industrializzati e ora prega sia in solitudine sia in comunità, và in chiesa, segue la liturgia, prende i sacramenti, fa volontariato, beneficenza, aiuta chi ha bisogno ecc.! Bene, a questa persona non gliene frega nulla del rosario digitale!
Mi chiedo come si fa a inventare e a pubblicizzare un strumento demoniaco del genere – perché di questo si tratta – un attrezzo che invece di aiutare la vita spirituale di ognuno, la distrugge! La gente non ha bisogno di un utensile simile! Gli amici li trova in Chiesa; i figli li deve portare in Chiesa e al catechismo; il Rosario lo recita in Chiesa o nella solitudine contemplativa della preghiera; la mamma o la nonna la và a trovare (deve andare) ogni giorno, senza trovare scuse; all’amico regala una preghiera ogni giorno!
È vero, beato Bartolo Longo – citato da papa Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Rosarium Virgiinis Mariae – afferma che “chi propaga il rosario è salvo”, ma non è questo il caso, vale a dire mediante un apparecchio con una voce registrata, volto a rubare i soldi della gente per far diventare milionari altri! Il Rosario si recita con la propria voce, carica di emozione, di riflessione sui Misteri di Dio, Gesù e Maria, di fede. Questo apparecchio è spersonalizzante, omologante, un perfido mezzo volto ad annichilire la fede, le comunità, i valori, la ragione, il buon senso dei credenti.
Perciò, cari lettori, non acquistate questo arnese indecente! E se proprio volete recitare il Rosario, prendete quello tradizionale coi grani e andate a pregare in Chiesa, riunitevi in privato con gli altri fedeli o fatelo nella preghiera personale, usando la vostra voce carica del sentimento, della consapevolezza e dell’unicità che caratterizzano la vostra fede. Ogni grano che girate è innanzitutto una rosa (preghiera) che dedicate alla Vergine Maria, a Dio e a Gesù; in secondo luogo, un tramite che vi mette in comunione spirituale con tutti coloro che pregano con il Rosario, siano cattolici, induisti, ebraici, islamici o di altri credo.
Per concludere, s’invita la Chiesa a prendere provvedimenti, a denunciare questo arnese e e farlo ritirare dal mercato, per evitare la dissacrazione tecnologica di un punto cardine della fede, ossia il tradizionale Rosario, e con questo la profanazione delle fede personale, viva e unica di ogni credente.