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giovedì 22 dicembre 2016

Ciao Natalino...


- di Saso Bellantone

Alcune persone fanno pensare ad Edward Bloom, protagonista del film diretto da Tim Burton, tratto dall'omonimo romanzo di Daniel Wallace, Big fish. Le storie di una vita incredibile (2003). Quando racconta le storie assurde e fantastiche che ha vissuto – ha conosciuto un uomo alto 5 metri, un uomo lupo, una strega dall'occhio di vetro e ha catturato un grande pesce che nessuno è mai riuscito a pescare –, Edward non viene creduto da nessuno e viene considerato un pazzo ma quando si ammala e, alla fine, se ne va, ecco che tutti si ricredono, scoprendo che dietro quei racconti fantasiosi si celavano davvero delle verità.
Così come per Edward, allo stesso modo è per molte persone quando se ne vanno via, come nel caso di Natalino Tripodi. Un uomo d'altri tempi, contrassegnato dalla garbatezza dell'essere, da sani principi, onestà, bontà, spirito di sacrificio e amante della semplicità, decisamente fuori posto, anzi fuori tempo, in quest'era marchiata della mera e vuota apparenza, dalla sfrenata follia social e virtuale specchio di quella concreta, dall'avido arrivismo voltafaccia, dalla “professorite acuta” che ha infettato, ormai, tutti quanti.
Tutti chattano, commentano, sia al bar sia sul social, muniti della propria laurea in (in)competenza generale, lavandosi così la mani e la coscienza e lasciando che il mondo cada, mentre Natalino si assumeva umilmente le sue responsabilità, senza vantarsi dei suoi studi, firmando sui giornali, sul blog personale, nelle trasmissioni radiofoniche o nei libri il proprio pensiero, le proprie analisi e i propri suggerimenti per cambiare le cose, per contribuire al cambiamento, per le future generazioni.
Tra musica e parole, trasmissioni radiofoniche, articoli, interviste, libri e, per chi ne ha avuto la fortuna, conversazioni reali, Natalino ha fatto la differenza. Ha inteso il suo essere nel mondo come una compagnia da donare agli altri, una disposizione d'animo senza pretesa alcuna se non quella di servire l'altro nel rispetto totale della sua persona, informando o fornendo prospettive alternative su fatti, eventi e questioni locali e internazionali, oltre che esistenziali, capaci di far crescere sul piano intellettuale il proprio interlocutore.
Natalino ha raccontato di mercanti, di principi, di appuntamenti galanti, di ricordi, di amore, speranza, coraggio, amicizia – storie inventate e per questo motivo irreali, che nulla servono al mondo di oggi, basato su calcioscommesse, paparazzi, delitti irrisolti, previsioni meteo e quattro salti in padella. Così ha sempre pensato la gente. Quella stessa gente vanitosa, affarista e piena di sé assente durante le presentazioni dei suoi libri “perché non c'era pesce fritto o arrostito”, che ha “chiesto” i suoi libri non per leggerli ma per tenerli parcheggiati in qualche mensola o cassetto di casa propria “per favore” o in quanto moda del momento, che ha rifiutato la sua compagnia e di fargli compagnia, specie nel momento di estremo bisogno, segnato dalla scomparsa dell'amata moglie.
Un evento tragico e improvviso che ha fatto scattare un conto alla rovescia, conclusosi giorni fa con la scomparsa dello scrittore per male d'amore. Per cinque anni Natalino ha combattuto la solitudine aumentando la mole dei suoi scritti, alcuni ancora inediti, altri pubblicandoli nel blog “Ut unum sint”, una pagina di diario internet che riflette la visione della vita della scrittore. “Che siano una cosa sola”, questo il significato del latino, Natalino ha vissuto nella speranza di contribuire all'unità di tutti i popoli nell'amore e nel rispetto dei valori umani, filtrati dalla conoscenza e dal dialogo.
Ricordo ancora quando assieme ad un amico lo agevolammo ad aprire e a curare il blog: era felicissimo, perché adesso poteva riprendere ad aiutare il mondo stesso a migliorarsi, per mezzo della riflessione, del ragionamento, dello scambio di prospettive. E da allora ha scritto davvero tanto, su qualsiasi argomento, illuminando ogni questione con la luce del buon senso. Ricordo ancora il primo libro: era felicissimo, perché ora poteva trasmettere ai più giovani i valori essenziali su cui fortificarsi e con cui guidare i propri passi. Ricordo ancora quella volta in cui a casa sua mi suonò e mi cantò la canzone dedicata a Nuccia: era emozionatissimo, sembrava fosse ancora lì assieme a noi e stesse dicendoci di non cantarla perché si vergognava.
Oggi che non c'è più, tutti – specie chi non ha letto nemmeno un post del suo blog – parleranno di lui, della sua intervista a Mimì, della sua grande vena artistico-letteraria e di quante cose hanno fatto insieme, prendendosi dei meriti “davvero immaginari” rispetto a quanto Natalino scriveva e pensava. I suoi scritti non sono altro che la sua anima, rinnegata da quella stessa gente che in vita Natalino ha voluto servire gratuitamente, per trasmettere quelle “verità” solide oltre il tempo e dietro le parole, di cui qualsiasi civiltà o comunità ha bisogno. L'amore vero, provando il quale tutto è pura poesia, l'amicizia e il rispetto veri, anche nei confronti di chi, come Zanna, manca soltanto della parola, il coraggio di combattere quotidianamente contro il male senza comunicati stampa e striscioni, la speranza in un mondo migliore possibile nella fermezza nelle proprie convinzioni e nella perseveranza nelle proprie azioni con coerenza, umiltà e rispetto delle leggi, la memoria della condizione umana nel fluire del tempo e nel cambiamento dei costumi.
Così come nei suoi scritti, stare con Natalino ti faceva sentire bene. Qualsiasi pensiero fuggiva via innanzi alla pacatezza e all'allegria che lui aveva, nonostante la difficoltà degli ultimi cinque anni. Era come trovarsi nel mondo vero, dove non vi era traccia della degenerazione totale della società e dove vi era posto soltanto per la bellezza della relazione, per l'amicizia vera e sincera, con e senza parole, nella totale comprensione e nel reciproco rispetto, nel piacere della consapevolezza. Non volevi nient'altro.
Con lui se ne va un titano, un uomo vero, una mente brillante e un cuore puro; una quercia secolare le cui radici, assieme a quelle di pochi altri uomini come lui, hanno finora tenuto salda la terra su cui camminiamo, malgrado nessuno se ne fosse accorto.
Ora invece tutto si sgretola, frane e smottamenti cancelleranno definitivamente la società passata e, forse, tutti se ne accorgeranno.
Speriamo non sia troppo tardi.
Ciao Natalino,
grazie per la “stoffa preziosa” che mi hai donato: la tua amicizia.
Continuerò a custodirla gelosamente.

sabato 3 dicembre 2016

Un giorno NO


- di Saso Bellantone

Avete presente quei giorni in cui non avete voglia di fare nulla? In cui vorreste restare a letto per tutto il tempo e, invece, siete costretti ad alzarvi? In cui, una volta alzati, tutto va storto?
Bene. Questo è uno di quelli. Un giorno no.
È domenica mattina. Oggi non si lavora. Si può oziare serenamente tra le coperte o continuare a dormire, lasciando tutto alle proprie spalle.
E invece no!
Non solo lei ti ha costretto a dormire in posizioni circensi per tutta la notte, dicendoti “Ho freddo, abbracciami!”, non solo lei ti ha rubato le coperte per tutta la notte, trasformandoti in un pinguino, non solo lei ti ha sfrattato dalla tua parte del letto perché la sua non le bastava, costringendoti a dormire in bilico tra lo spigolo del materasso e il vuoto, lo stesso vuoto percepibile dalla terrazza di un palazzo di 50 piani, ma adesso ti prende a gomitate, calci, testate, continuando a dormire placidamente. Guardi lei e poi il soffitto, oltre il quale un dio burlone sembra darti l'ok dall'alto dei cieli e, sospirando, lasci che i tuoi timpani siano perforati dal dolce suono simile a quello di un boing 787, proveniente dal piano inferiore, dove, alle 7:00 di mattina, una brava donna ha pensato di cominciare in anticipo le pulizie extra della casa, partendo dall'aspirapolvere.
“No! l'aspirapolvere no!”
È fatta. Non puoi riposare. Sei costretto ad alzarti e a cominciare la tua giornata prima del previsto, perché sei figlio di uno zio minore, dal momento che dio ti guarda dall'alto con occhiali 3D e popcorn, incitandoti a proseguire.
Bene. Sposti le coperte e lasci che il freddo della Siberia accarezzi il tuo corpo per rassodarlo un altro po', visto che il trattamento congelante notturno non è bastato.
“No! Il freddo no!”
Ti alzi velocemente dal letto e appoggi i piedi per terra, nella speranza di raggiungere al più presto la stufa e poterti riscaldare, ma anche il pavimento è freddo e, inoltre, stranamente umido. Forse è stata un'inondazione notturna ma dal momento che abiti al terzo piano pensi di aver dimenticato qualche finestra aperta e che abbia piovuto; poi, ti chiedi come mai Bobby, quel vecchio labrador guastafeste, non sia ancora venuto a darti il buongiorno e annusando il delicato profumo simile a quello dei cessi pubblici, ti rendi conto che qualcuno ha fatto la pipì proprio di fianco al posto tuo del letto.
“No! La pipì no!”
Ti asciughi i piedi alla meno peggio con le calze di spugna e ti dirigi verso il bagno ma stamane il pavimento sembra essere stato soggetto a un'alluvione biblica – dio alza le mani, in segno che lui non c'entra nulla. Accendi la luce e noti che il tuo caro amico a quattro zampe, Bobby, ha marcato tutta la casa con i suoi schizzi. Forse perché Bobby è un discendente del cane di Picasso, forse perché non è mai stato un cane dispettoso ma ha improvvisamente deciso di diventarlo, in ogni caso per muoverti in casa hai bisogno di una gondola o di un motoscafo.
“Bobby!” – maledetto bastardo, dici nella tua mente – “Bobby vieni che ti do i biscotti!” lo chiami invano ma il labrador sembra essere scomparso, svanito come parola sulla punta della lingua.
Entri in bagno, ti lavi piedi e riempi un secchio con acqua, candeggina e straccio e ripulisci tutto il pavimento della casa, chiedendoti ancora dove sia finito il tuo amico a quattro zampe, probabilmente invisibile come l'uomo del romanzo. Poi lo vedi, dietro il portaombrelli all'ingresso dell'appartamento, in una strana posizione aerobica: fa il ponte, come quello di Brooklyn o di Sant Louis Re.
“No! La cacca no!”
“Bobby fermo che andiamo sotto!”.
Prendi il guinzaglio, apri la porta, corri giù per le scale come maratoneta, apri il portone, esci nel giardino comune, lasci che Bobby dia il meglio di sé sul prato e ti accorgi che non hai né guanti né buste.
“No! I guanti no!”
Metti le mani in tasca e ti rendi conto non solo che non hai le tasche, perché sei ancora in pigiama, ma che non hai proprio le chiavi di casa e che sei rimasto fuori!
“No! Le chiavi no!”
Suoni il campanello. Al citofono risponde lei: “Che fai fuori a quest'ora? Dove sei stato?”.
“Poi te lo spiego. Apri per favore”.
Torni a casa. La signora del piano di sotto, sempre con l'aspirapolvere in moto, ti dà il buongiorno. Ricambi di corsa e vai su. Liberi il dannato amico, prendi l'occorrente e lei ti chiede se hai fatto il caffè: “Lo faccio subito, il tempo di scendere e di risalire” rispondi.
Vai giù, ripulisci tutto e citofoni di nuovo, perché hai di nuovo dimenticato le chiavi: “Chi è?” dice lei.
“Buongiorno sono il lattaio... Mi apri di nuovo per favore?”
“Ma che ci fai di nuovo giù?”
“Poi te lo spiego.”
Torni di nuovo a casa e lei ti fa i complimenti per aver fatto pulizie di primo mattino e ti chiede che ne è del caffè: “Normale o macchiato?” la prendi in giro, trattenendo i nervi.
“Normale normale... Vuoi dirmi dove sei stato?”.
“Poi te lo spiego.” sbuffi.
Prendi la moka, che ovviamente ti cade dalle mani, la raccogli, la sciacqui, prendi il contenitore e scopri che il caffè è finito.
“No! Il caffè no!”
Spieghi la questione a lei, la quale disapprova perché dovevi prenderlo tu ieri, e vai in bagno per lavarti i denti, cambiarti e andare al bar.
“No! Il dentifricio no!” il dentifricio è finito così, consapevole che residui di esso rimangono nello spazzolino, provi a lavarti i denti lo stesso: apri il rubinetto dell'acqua fredda ma stranamente non scende goccia alcuna. Sei perplesso. Richiudi e apri quello dell'acqua calda. Nessuna goccia.
“No! L'acqua no!”. Non c'è acqua, lo scaldabagno è spento e non c'è luce, dunque il motorino non funziona.
Sciacqui i denti con l'acqua imbottigliata, apri l'armadio per prendere i vestiti puliti e ti accorgi che non ce ne sono: sono tutti nel contenitore degli abiti sporchi e devono essere lavati oggi.
“No! I vestiti no!”
Apri lo scatolo coi panni estivi. Metti un paio di pantaloncini, una maglietta hawaiana e, infilato il giubbotto, corri al bar sotto casa per prendere i caffè ma il bar è pieno di gente.
“No! La fila no!”
Aspetti il tuo turno prima alla cassa poi al bancone, mentre la gente ti guarda sbalordita. Sorridi, mandando tutti a quel paese, e finalmente chiedi i caffè: “Uno qui, uno da portare via”.
Il barista ti serve prontamente e prontamente il caffè ti cade addosso.
“No! Il caffè no!”
Ti asciughi come puoi, mentre barista e titolare ti fanno mille scuse, ritiri il caffè da portare via e incontri Carlo, vecchio amico d'infanzia, il quale ti ricorda che oggi si vota per il referendum. Che è un tuo diritto. Che non puoi mancare. Che devi andare a votare.
“No! Il referendum no!”
Torni a casa. Sali le scale. Saluti di nuovo la vicina con l'aspirapolvere, augurandole, dentro di te, di essere aspirata anche lei, porti il caffè alla tua donna, la quale ti chiede di portare fuori Bobby, anche se toccava a lei. “Già fatto!”, rispondi, torni allo scatolo dei panni estivi, metti un altro paio di pantaloncini, un'altra maglietta, un altro giubbotto e corri alla porta ma il tuo amico a quattro zampe è piazzato davanti ad essa come una statua. Sembra un posto di blocco: “O paghi il dazio o non ti faccio uscire” sembra dire Bobby.
Vai in cucina, prendi i biscotti, glieli dai, gli fai due carezze promettendogli che dopo farete i conti, esci e arrivi a scuola in perfetto orario per l'apertura delle urne.
“No! La fila no!”
Anche qui c'è fila e tutti ti squadrano dalla testa ai piedi, incuriositi. Aspetti il tuo turno e si mette a piovere.
“No! La pioggia no!”
Ti ripari come puoi ma passa troppo tempo, cominci a starnutire e ti rendi conto che una febbre non te la toglie nessuno.
“No! La febbre no!”
Sei dentro. La fila scorre veloce ma un'anziana davanti a te impiega 2 minuti per fare 1 metro e sono almeno 30 i metri per arrivare al seggio, più 5 andata e ritorno per firmare, votare e inserire la scheda nell'urna.
“No! L'anziana no!”
Il tempo passa lentamente, l'anziana ancora di più ma finalmente tocca a te. Ti avvicini al presidente, metti le mani nel giubbotto e ti rendi conto che non hai la scheda elettorale né il documento d'identità.
“No! I documenti no!”
Torni a casa. La vicina è ancora con l'aspirapolvere – ti chiedi che cazzo aspiri da una mattinata –, lei ti chiede l'ora e tu rispondi “No! L'ora non la so!”, prendi i documenti, Bobby ti porta la pallina “No! La pallina no!”, apri la porta e senti la voce piagnucolante di Michela, tua figlia, proveniente dalla sua camera.
“No! Michela no!”
Vai nella camera, la calmi e lei ti chiede una storia. Rispondi “No! La storia no!” e lei si mette a piangere di nuovo, così le racconti la storia e lei si addormenta di nuovo ma squilla il cellulare e lei si sveglia nuovamente, tornando a piangere.
“No! Il cellulare no!”
È un call center. Rispondi chiaramente che “No! No cambi tariffa!”, racconti un'altra storia a Michela, si addormenta ma arriva lei e la sveglia: “Amore! Svegliati amore che facciamo colazione”.
“No! Lei no!” la guardi seccato, nauseato, vorresti darla in pasto ai leoni ma ti chiedi soprattutto perché con te Michela piange e con lei no. Non lo sai, ma sai che devi tornare al seggio per votare. Mentre sciacqua la moka, lei ti chiede se fai colazione con loro e rispondi seccamente “NO!”, chiedendoti perché con lei l'acqua scende e con te no.
Esci. Dio fa il tifo per te. Arrivi a scuola. Di nuovo fila, maggiore di quella di prima. Di nuovo una vecchia prima di te, più lenta di quella precedente. Poco più avanti, la vicina con l'aspirapolvere: che cazzo ci fa con l'aspirapolvere alle votazioni? Di nuovo tutti ti guardano esterrefatti: ci sono 7 gradi al sole e tu sei in pantaloncini. Ci vorrà almeno un'ora prima che possa toccare a te e ormai sono le 11:00.
“No! Le undici no!”
Dovevi andare allo stadio, assieme a Franco e Giulio, per la partita d'eccellenza.

Finalmente sei nell'urna. Hai firmato, consegnato i documenti, ritirata la scheda e adesso, matita alla mano, puoi votare, puoi scegliere, puoi dichiarare all'universo intero con una sola parola come la pensi a proposito del referendum costituzionale.
Ci sono due quadratini. Ognuno al suo interno ha una parola: Sì e No.
Ripensi alla tua mattinata. Al freddo, all'aspirapolvere, alla pipì, a Bobby, a lei, al dentifricio, all'acqua, ai vestiti estivi, al caffè, alla fila, alla vecchia, a Michela: una mattinata assurda. Ripensi al senso della consultazione referendaria: cambiare la costituzione, accentrando i poteri nelle mani della casta e a scapito del popolo.
Guardi la scheda e i quadratini. Sai benissimo come votare. C'è solo una parola capace di esprimere tutto quello che provi. Due lettere per dire come la pensi.
Avvicini la matita al quadratino e tracci una X con tutta la rabbia che hai accumulato nel corso della giornata ma sul quadratino non rimane alcun segno.
Riprovi.
Niente, la X non si traccia.
Giri la matita.
La guardi.
Ha la punta rotta.
“No! La matita no!”.