IN QUESTO BLOG NON SI PUBBLICANO COMMENTI ANONIMI.

martedì 28 febbraio 2012

OLTREWEB Altro che concordia e allegria

- di Saso Bellantone
Buon meriggio web,
la tragedia della Concordia e l’avaria dell’Allegra sembrano rappresentare simbolicamente, sigillandolo, il nostro tempo, dove per la concordia e per l’allegria, evidentemente, non c’è più posto. Crisi economico-finanziaria, dominio delle banche, debito pubblico stellare, aumento delle tasse, del carburante, dei beni di prima necessità, disoccupazione giovanile, fuga di cervelli, imprenditori suicidi, aziende trasferitesi all’estero, operai cassaintegrati, licenziati, sottopagati, sfruttati o senza stipendio, padri e madri che uccidono i propri figli, figli che uccidono i genitori, genitori e figli o pensionati che rapinano per sopravvivere, giovani che stuprano, che si uccidono e che tolgono la vita altrui nei sabato sera di Bacco e Narcosi, pedofilia, discriminazione razziale, truffe ai danni dello stivale o dei poveracci che non arrivano a fine mese, Calciopoli, Vallettopoli, Paparazzopoli, Riciclaggiopoli, Politicopoli, Massonopoli, Tuttopoli, insomma è la follia generale. I Titani si muovono per la conquista del pianeta – vedi l’espansionismo Multistelle nella Terra del Sole Medio, l’espansionismo Del Sole Levante nelle società occidentali, l’espansionismo ex-Rosso nelle irrigate lande dell’Est, l’espansionismo del Grande Leviatano del Nord nella Culla d’Occidente, l’espansionismo capitalistico nella Culla Nera del Pianeta – si producono armi atomiche, continuano le guerre (religiose e pecuniarie), l’oppressione dei popoli, la schiavitù, la grande separazione tra ricchi e poveri, potenti e impotenti, dominanti e dominati, e tu, mio caro web, sei ancora convinto, come recita il testo di una canzone vincitrice di un celebre Festival, che “Non è l’inferno”?
È vero, l’inferno non esiste, in quanto è un’invenzione delle religioni e dei movimenti mistico-cultuali allo scopo di incutere terrore sulle masse, di dominarle psicologicamente e di avere il potere. Perché però quello che, secondo quelle credenze religiose, doveva accadere esclusivamente nell’oltretomba, cioè la sofferenza eterna, avviene qui e ora? Perché l’effettiva tragedia del genere umano è di non riuscire a trovare un’alternativa al capitalismo? Perché sono i capitalisti che impediscono al genere umano di abbandonare il capitalismo, mandando in avaria non soltanto gli Stati (i Nani) ma anche la tua mente?
Tu badi alle farfalle-tattoo, ai piccoli panda da salvare, alle ricette, ai reality, al gossip da social network e da rivista-vip, alle celebrità che si lasciano schiacciare dalla loro stessa popolarità, alla pizza, all’hamburger, all’happy hour, al calcio, all’automobile, alla discoteca, al cinema, ai bei vestiti, al sesso e quant’altro, e intanto non ti accorgi che i capitalisti continuano ad affamarti, a istupidirti, a rubare la tua identità e i tuoi diritti? Presto sarà persino modificato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che attualmente costringe i datori di lavoro, qualora vogliano licenziarti, di presentare giusta causa, altrimenti sono costretti a riassumerti e a pagarti le mensilità arretrate, e tu non fai nulla? Non ti opponi? La tua è paura, mio caro web, oppure sei stato resettato a tal punto da non accorgerti nemmeno di soffrire?
Ma certo che non soffri, mio caro web, dal momento che credi ancora che l’inferno sia da un’altra parte e che la vita sia un paradiso in Terra, quello inculcato nella tua mente dai mezzi di comunicazione di massa e dalle mode. Se svanissero, non dico dall’intero pianeta o dalla società, ma semplicemente dalla città o dal paese in cui vivi, tutte le farfalle-tattoo, i panda da salvare, le ricette, i reality, il gossip da social-network e da rivista vip, le celebrità, la pizza, gli hamburger, gli happy hour, il calcio, le belle automobili, la discoteca, il cinema, i bei vestiti e ogni forma di piacere che ancora puoi provare – credi che resterai della stessa opinione? Credi che ti accorgerai di soffrire davvero? E se ci fossero già migliaia, milioni di persone per le quali tutto questo è già evaporato da un pezzo? Credi che tutta questa gente stia già soffrendo?
Ti auguro, mio caro web, qualora non sei tra questi, di vederti privo di quanto elencato sopra e di capire tre cose: che l’inferno non esiste né nell’al di là né sulla Terra; che la diabolica sofferenza che proverai in quel momento è un progetto umano, inventato dai capitalisti, per giocarsi a dadi l’intero pianeta e tutte le persone che vi abitano; che il tempo della armonia e della letizia è già finito da parecchio, e tu sei in ritardo.
Medita web, medita…

sabato 25 febbraio 2012

Essere molteplice, molteplice essere

- di Saso bellantone
La molteplicità dell’essere non ha confini né freni. Ogni testa non è che una prospettiva differente sul mondo. Mondo, molteplice. Come può un unico ente mostrarsi sotto diverse inquadrature, sempre in maniera disuguale? Mostrarsi, sistema visivo, occhi. Come se l’essere fosse soltanto qualcosa che si può vedere. La tradizione del pensiero ha basato tutte le sue congetture sul senso della vista e oggi pare proprio che abbia sempre avuto la medesima, mi si passi il termine, svista. Se l’essere è molteplice non può essere uno. Se invece la molteplicità è soltanto il risultato di più prospettive coesistenti, allora l’essere ha uno stretto legame con ognuna delle singole prospettive su di esso e in esso. Ciò implica anche prendere in considerazione tutto quello che prospettiva non è, almeno apparentemente. Quindi l’udito, il gusto, l’olfatto, il tatto. Ogni testa priva anche di uno solo dei cinque sensi, costituisce comunque una prospettiva, una sfumatura dell’essere e sull’essere. Inoltre, se uno di questi sensi è alterato o funziona male, continua a costituire una prospettiva. Si pensi a uno sbronzo, a un dopato, a un malato, quest’ultimo consapevole e non. Si pensi anche allo spazio che pare trasformarsi quando si è in movimento, alle distanze che sembrano ridursi quando si va più veloci o quando si impiega uno strumento tecnologico oppure ingrandirsi quando si resta più o meno fermi. Se a tutto questo si aggiunge l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, i diversi giudizi umani e calcoli, insomma, le diverse prospettive, non se ne esce più. L’essere sembra qualificarsi come l’innumerabilmente molteplice e ciò si amplifica quando si considera l’errore, di senso e di giudizio. Hegel risolse questa questione ponendo l’accento su due fattori agenti in contemporanea, spirito soggettivo e spirito oggettivo, frammenti di uno spirito assoluto garante di ogni senso, evento, processo, anche quello conoscitivo. Al di là di ogni questione superstiziosa, paranormale o occulta, anteporre a ogni fatto toccabile con mano delle entità che non è possibile esperire, potrebbe costituire un allontanamento dall’oggetto indagato. Se così fosse, tale strada non sarebbe più praticabile. Come spiegare allora la molteplicità dell’essere, se non si può sperimentare ma soltanto immaginare? Forse il problema è proprio tale assunto? Essere/non essere, uno/molteplice, mondo/non mondo: quali prove impiegare per poter usare senza dubbio alcuno tali termini? Su quale certezza ancorarsi, per usare l’espressione “molteplicità dell’essere”? Come capì Cartesio, non si è altro che prospettive. Pensiero, sensibilità, giudizio offrono a ogni testa l’occasione, la certezza di trovarsi e individuarsi, di capire, di pensare un dentro e un fuori, un soggetto e un oggetto/tanti oggetti, un mondo e un altro mondo/infiniti mondi. E se i sensi e il giudizio sbagliassero comunque? Se tutto fosse un grande errore? Se molteplicità dell’essere fosse soltanto un’illusione volontaria per esprimere la coesistenza, la contemporaneità di più prospettive, non necessariamente saldate alla visibilità e al vedere? Si può vedere senza occhi? Si può fare con gli altri sensi? È soltanto questo che indica la molteplicità dell’essere? Beh, scoprirlo sarebbe già un passo in avanti.

martedì 21 febbraio 2012

OLTREWEB La mutazione ha inizio

- di Saso Bellantone
Buon meriggio web,
la trattativa si è conclusa, la mutazione è iniziata. La Culla dell’Occidente riceverà dalla UE, BCE e FMI 130 miliardi di aiuti per scansare il fallimento, ma sarà sotto sorveglianza, cioè se non riuscirà a ripartire e a mettersi in condizioni di restituire tali soccorsi economici, il Grande Leviatano del Nord interverrà e chiederà il conto… e addio alla Culla dell’Occidente. Gli altri Nani tremano, compreso lo stivale, e chiedono al Mostro del Nord degli aiuti per rafforzare le piccole economie e scongiurare quello che accade nella terra dei filosofi. Poveri folli… È come chiedere a uno squalo una tuta anti-squalo, pur sapendo che un pescecane non potrà mai produrre una siffatta salopette. Per questo motivo, continuano le proteste, i roghi e le manifestazioni nella Capitale della Filosofia, ma non c’è via di scampo. Con la chiusura di questo contratto, comincia una grande rivoluzione nel Vecchio Continente e nel pianeta. La Culla dell’Occidente sarà divorata, pezzo per pezzo. Poi toccherà agli altri, primo fra tutti, allo stivale. Ma gli stivalati non reagiranno, non bruceranno, non manifesteranno come i fratelli filosofi. Quando i pescecani busseranno alla loro porta, li faranno entrare e accomodare, sorridendo loro, come pazzi, mentre gli ospiti inizieranno il loro affamato pasto.
I Nani perdono terreno, il Titano avanza, alla faccia dei poveri, dei disoccupati, dei precari, dei suicidi, dei disperati e degli stregati di qualsiasi nazionalità ed etnia, che vivono nel mondo apparente dei mezzi di comunicazione di massa, prossimi schiavi di signori nuovi, avidi di un cibo più antico e più saporito dell’ambrosia: il potere.
Medita web, medita…

sabato 18 febbraio 2012

OLTREWEB La fantasia esiliata al Carnevale

- di Saso bellantone
Buon meriggio web,
è bello vederti assieme ai tuoi bambini, mascherati in occasione del Carnevale, gironzolare per le strade e le piazze riversando su chiunque stelle filanti e coriandoli. Malgrado la crisi, realizzi il sogno dei tuoi figli di diventare per qualche giorno un pirata, un ufficiale della marina o della polizia, un moschettiere, un soldato, un principe o una principessa, un astronauta, una majorette, un indiana o uno dei tanto amati personaggi dei cartoon e, in questa maniera, li rendi felici. Perché però te ne dimentichi per tutto il resto dell’anno? Non leggi mai loro una fiaba o una favola, non racconti mai loro una storia prima di andare a dormire, non giochi mai con loro, non li porti da nessuna parte, non offri mai loro il tuo tempo. Ogni giorno, te ne liberi per qualche ora, accompagnandoli all’asilo o a scuola, e poi, ritrovandoteli in casa, li abbandoni davanti alla tv o a qualche giochino, li consegni alla badante o ai nonni e te ne dimentichi, pensando al lavoro, alle tasse, alle faccende di casa, a internet, a spettegolare, insomma a te stesso, a meno che non inizino a frignare. In questo caso, li sgridi perché ti hanno disturbato o li accontenti come puoi, allo scopo di liberartene nuovamente e pensare, di nuovo, agli affari tuoi. Quando non puoi proprio fare a meno di passare del tempo con loro e sei costretto ad ascoltare le loro domande a proposito di questo e quello, ecco che rispondi a ogni loro domanda con spirito freddo, calcolatore, capitalistico e iper-realistico, annullando ogni sogno e fantasia nel suo nascere. La tv è soltanto la tv, la stufa soltanto una stufa, l’orologio soltanto un orologio, la scopa soltanto una scopa e via dicendo, quando invece: la tv potrebbe essere un varco temporale capace di far visitare altri mondi; la stufa il regno di un folletto che vive dentro un vulcano e offre il suo calore ai bambini; l’orologio una macchina del tempo che pur funzionando a rilento può portare i bambini al momento della merenda, della passeggiata al mare o in montagna; la scopa, naturalmente, l’aereo preferito di streghe e fate per raggiungere qualsiasi luogo; stesso dicasi con tutti gli altri oggetti, e persone, che circondano la vita dei tuoi bambini, capaci, in un istante, di far vivere loro un sogno, gratuito e immediato. Dov’è finita la tua fantasia? Possibile che sopravviva soltanto nel Carnevale? Possono i bambini vivere la maggior parte della loro infanzia senza fantasia? E gli adulti?
Se osservi le nuove generazioni che crescono e scorgi in loro lo stesso spirito freddo, calcolatore, capitalistico e iper-realistico, la stessa incapacità di fantasticare ad occhi aperti per sorridere e rendere felice qualcun altro, la stessa tristezza e solitudine che tu hai già tempo, e ti chiedi chi è la causa di tutto questo, forse, mio caro web, non devi far altro che guardarti allo specchio.
Medita web, medita…

venerdì 17 febbraio 2012

Pensieri visivi: L’URLO di Edvard Munch

- di Saso Bellantone
Un uomo fermo su un ponte. È vestito di nero e urla, gli occhi fuori dalle orbite, coprendosi le orecchie per non sentire. L’urlo sconvolge i lineamenti del suo volto e sembra liquefare il paesaggio circostante, mentre due passanti, sullo sfondo, si avvicinano ignari di quel che accade. L’urlo di Edvard Munch immortala l’attimo della scoperta della “morte di Dio”.
Nel corso della propria storia, l’essere umano ha vissuto regolando le proprie condotte mediante l’idea di Essere, di verità, di valore, in una parola, di Dio. Quando però si scopre che il supremo garante dell’esistenza e di ogni certezza, di un ordine intrinseco nelle cose, di uno scopo del mondo (l’altra vita) e della possibilità di conoscerlo non è altro che un errore di giudizio o una produzione umana, troppo umana, come direbbe Nietzsche, un’invenzione allo scopo del potere, non si riesce a contenere il terrore, l’orrore che si prova. C’è bisogno di urlare, di gridare con tutta la forza che si ha in corpo per liberarsi da questo gelido ospite che invade mente, carne, ossa e sangue. Ma la voce non fa che accelerare il processo di liquefazione degli enti e di se stessi.
Morto Dio, l’essere umano si trova senza stelle fisse né punto di riferimento alcuno per disciplinare la propria vita né per orientare il proprio pensiero o le proprie speranze. L’esistenza diviene insicura, le certezze s’infrangono, svanisce ogni sogno ultraterreno. Il mondo inizia a perdere la sua fissità, il suo ordine, la sua chiarezza e tutto appare disordinato, effimero, inutile, impenetrabile, pericoloso. Il mondo si liquefa, l’essere umano perde la propria fisionomia perché ogni fondamento è in decomposizione. Ogni ente diviene storpio, priva di senso e di scopo, indicibile, indefinibile, impossibile. La vita, il mondo, l’essere umano, tutto viene avvolto dal mistero e dal dubbio, anche il passato. Ci si aggira come spettri nel puro niente e nello sgomento senza salvezza alcuna, inconsapevoli se ciò accadrà per sempre o soltanto per pochi istanti, perché anche il tempo, ormai, non è che un’illusione. Ma nel vagabondare irrequieti senza direzione alcuna, in quel che appare soltanto un inganno della mente irresolubile, ecco che si avvicinano alcuni passanti, ancora abbagliati dall’idea di un Dio. Per il solutore della Sfinge dei millenni, non c’è solitudine peggiore se non quella d’incontrare chi tenta di convincerlo che un Dio ancora vive.

lunedì 13 febbraio 2012

OLTREWEB Mutazioni all’orizzonte

- di Saso Bellantone
Buon meriggio web,
siamo a una svolta. Una nuova era si avvicina per il Vecchio Continente e per il pianeta, preceduta tuttavia da un’età di transizione e di mutazione. Questa età ebbe inizio con la fine delle Grandi Guerre e la nascita di leghe divenute successivamente prima comunità e poi unione di Stati. Bastò andare avanti con la creazione di un parlamento, di una banca centrale, di una moneta unica, di un corpo militare e avviarsi alla chiusura del cerchio, provocando una crisi economico-finanziaria globale, con il pretesto della quale sbarcare nella fase delle costrizioni legislativo-economiche o, a seconda delle prospettive, delle proposte di scambio, di baratto. “Vuoi salvarti dal fallimento? Io ti do il vile denaro se tu mi dai in cambio un mero consenso, un semplice sì legislativo, ed il gioco è fatto”. Ma di quale gioco stiamo parlando? In un tempo nel quale “potere” è un sinonimo di ricchezza, di capitale, non c’è modo migliore per giocare al potere se non mediante la moneta (dollari, euro, qualsiasi valuta) e la logica creditore/debitore.
Se un’azienda spende più di quanto ricava da ciò che produce, per sopravvivere ed evitare il fallimento, è costretta a coprire le spese chiedendo prestiti ad altri. In questa maniera, però diviene debitrice del proprio creditore – colui o coloro ai quali ha richiesto tali mutui – e rischia di perdere la propria autorità e libertà. Per mantenerla, deve quindi restituire al creditore quanto ha ricevuto (più interessi), ma a tal fine deve sperare o fare il possibile per mettersi in tali condizioni, vale a dire deve fare in modo che il ricavato di ciò che produce sia maggiore di quanto spende per una certa durata di tempo, evitando naturalmente, qualora ci riesca, di trovarsi punto e a capo. Se non ci riuscisse, l’azienda perderebbe la propria autorità e libertà e si trasformerebbe in una proprietà del creditore.
Osservando quanto accade nella Culla dell’Occidente, sembra di trovarsi di fronte a uno scambio. Il governo infatti, trovandosi il paese sull’orlo del fallimento, ha dovuto valutare una chance proposta dal Grande Leviatano del Nord: approvando legislativamente una manovra economica utile per riformare il mercato del lavoro e dunque regolare l’andamento del PIL, la Culla dell’Occidente avrebbe ottenuto 130 miliardi di euro per affrontare la crisi e la cancellazione di 100 miliardi dal proprio debito pubblico – che ammonta a 350. Alla fine, il governo ha approvato il cosiddetto piano di austerity, dichiarandosi dunque favorevole alla proposta di scambio che le era stata sottoposta e apponendo su un contratto immaginario con il Grande Leviatano del Nord la propria firma. Una volta che quest’ultimo le avrà erogato i fondi, il contratto sarà chiuso, sigillato con la firma dell’altro contraente. Quando ciò accadrà, la Culla dell’Occidente diventerà debitrice del Grande Leviatano del Nord, il quale, a sua volta, diventerà creditore. Di conseguenza, la Culla dell’Occidente, nei giorni, mesi, anni a venire, dovrà mettersi in condizioni di restituire al Grande Leviatano del Nord quanto ha ricevuto, allo scopo di mantenere la propria autorità e libertà. E se non ci riuscisse? Se la crisi, volontariamente o involontariamente, dovesse peggiorare? La Culla dell’Occidente perderebbe la propria autorità e libertà? Diventerebbe forse una proprietà del Grande Levitano del Nord? Possibile che il gioco al potere mediante la moneta e logica creditore/debitore abbia raggiunto proporzioni tali da coinvolgere gli Stati? Dal momento che si parla di potere, possibile che dietro la logica creditore/debitore si celi quella tra signore/schiavo?
Quando il Grande Leviatano del Nord erogherà i fondi, cioè apporrà la sua firma sul contratto immaginario con la Culla dell’Occidente, l’età di transizione e di mutazione giungerà all’inizio del suo compimento. Tale passaggio e alterazione riguarda il Vecchio Continente e i paesi che vi sono in esso, e coinvolge il pianeta. Smantellando uno a uno gli antichi nani, il Grande Leviatano del Nord stringe la sua morsa per divenire un Titano realmente ed effettivamente vivente, che si prepara allo scontro con gli altri Fratelli.
Occhi dunque, mio caro web, al Grande Leviatano del Nord. Il conto alla rovescia è iniziato anche per lo stivale. Presto anche il governo stivalico dovrà valutare la stessa chance offerta alla Culla dell’Occidente. Ma il debito dello stivale ammonta a oltre 1900 miliardi di euro e la chance non è detto che possa portare speranze di salvezza.
Medita web, medita…

giovedì 9 febbraio 2012

OLTREWEB La mobilità del lavoro e il Nuovo Grande Leviatano

- di Saso Bellantone
Buon meriggio web,
la polemica innescata da “l’uomo del monte” a proposito della monotonia del posto fisso ti ha proprio accecato. Non riesci a mandar giù l’idea che il posto fisso, oggigiorno, è soltanto un lontano ricordo e ti arrabbi, quando invece quello che dovrebbe preoccuparti seriamente sono altre parole de “l’uomo del monte”, ossia di non escludere la possibilità di fare esperienza lavorativa all’estero.
Il posto fisso è stato il baluardo di quelle generazioni vissute a partire dal secondo dopoguerra fino all’entrata dello “stivale” nelle “ben irrigate” lande a nord di esso. In quel periodo, occorreva ricostruire il paese in ogni sua dimensione pubblica, la popolazione era inferiore rispetto a oggi, si rivitalizzava l’agreste e il periferico in modo poliedrico – agricoltura, industria, strade, ferrovie, infrastrutture, istituzioni, scuole, attività commerciali, banche, forze armate e via dicendo – per creare le future metropoli dell’economia e del potere, e consentire allo stivale di rinascere dalle proprie ceneri, con una propria costituzione, propri ordinamenti, una propria autorità e una propria moneta. Il posto fisso è stato il punto di ripartenza dello stivale per riaffermarsi come uno Stato di diritto, autonomo e indipendente rispetto agli altri Stati, dai confini territoriali, costituzionali, monetari, legislativi ben definiti.
Una volta risorto, lo stivale è entrato in una seconda fase della sua storia. Con la stabilizzazione onnilaterale della dimensione pubblica, la crescita della popolazione e il funzionamento a pieno regime delle metropoli dell’economia e del potere, il posto fisso ha iniziato a scarseggiare, specie nelle periferie dello stivale, che hanno iniziato ad attraversare un periodo di stasi. Per questo motivo, la gente, specie quella del Mezzogiorno, ha iniziato a trasferirsi nelle regioni più a nord o addirittura all’estero, per poter sopravvivere e/o di aiutare economicamente i familiari rimasti nella terra natia, facendo qualsiasi lavoro. Queste generazioni sono passate insomma da un’idea del lavoro di tipo unico e statico a una di tipo molteplice e dinamico. In altri termini, anziché fare sempre il medesimo lavoro nello stesso luogo per gli anni utili ai fini del pensionamento, hanno svolto diversi lavori in località differenti fino alla pensione (e oltre). La mobilità del lavoro, dunque, è qualcosa che queste generazioni hanno già vissuto, sperimentando il lato oscuro che si cela nel lavoro mobile: l’insicurezza, il sacrificio, il pericolo.
Trasferitasi altrove per lavorare, questa gente meridionale ha sfidato l’ignoto senza punti di riferimento né aiuti, in balia dell’incertezza. Non sapevano se avrebbero trovato lavoro né, qualora la fortuna li avesse baciati, quanto sarebbe durata la loro occupazione. Tuttavia, ha dedicato la vita esclusivamente al lavoro, con molti sacrifici, allo scopo di sopravvivere e di crearsi un domani una casa, una famiglia, un futuro. Alcuni ci sono riusciti, altri sono stati meno fortunati. Una delle peculiarità che tali precursori meridionali hanno vissuto, è stato il mescolarsi ad altri individui originari delle regioni settentrionali, occidentali e orientali dello stivale. Gente diversa, ognuno con una propria storia, una propria cultura, un proprio linguaggio, una propria terra natia, una comunità d’appartenenza, insomma una propria identità. Insieme, tali individui hanno affrontato il medesimo pericolo: quello di perdere i legami con le proprie origini, un rischio provocato, anzi insito, nella dedizione che necessariamente hanno dovuto sviluppare nei confronti del lavoro, allo scopo di sopravvivere. Per loro, non c’era altro a cui pensare: lavorare o morire.
Naturalmente, le condizioni storiche nelle quali hanno vissuto questi precursori della mobilità del lavoro, erano diverse da quelle attuali. Oggi, il paese è ricostruito, il periferico è all’abbandono, le metropoli dell’economia e del potere sono sature, la popolazione è cresciuta: sia quella originaria dello stivale sia quella proveniente da altri paesi. Quest’ultima, trovando occupazioni lavorative che gli stivalati disprezzano perché troppo locali o umili, mischiandosi con gli stivalati, vive in terra stivalica quello che le generazioni del Mezzogiorno hanno vissuto alcuni decenni fa: fa esperienza che la sopravvivere consiste nel lavorare o morire. La popolazione stivalata, romanticamente illusa dall’idea del posto fisso, pur mobilitatasi e trasferitasi altrove – allo scopo di concretizzare la fatica di tanti anni di studio, di tasse universitarie e di sacrifici sostenuti in proprio o con l’aiuto della famiglia –, è tuttavia incapace di metter radici nei centri dell’economia e del potere, fuorché in maniera statistica, raccomandata e/o sfruttata, contrattualmente e in nero. A questa, non resta alternativa, come dice “l’uomo del monte”, se non di trovare fortuna e sopravvivenza nelle “ben irrigate” lande a nord dello stivale. Là, dovrà esperire (se non lo ha già fatto) che sopravvivere è una scelta tra il lavoro (qualsiasi) e la morte.
Quello che accomuna i precursori stivalati trasferitisi al nord, gli immigrati giunti nello stivale e gli attuali disoccupati stivalati costretti a guardare alle “ben irrigate” lande del nord, non è meramente la mobilità del lavoro ma quel che si cela in essa: la schiavitù del lavoro. Perché quando il lavoro si manifesta insicuro spazio-temporalmente e la sopravvivenza diviene una questione lavorativa, si diventa schiavi. Ricordi, mio caro web, che cosa accadde l’ultima volta che apparve la schiavitù del lavoro, prima della formazione dello stivale, prima dei precursori, nei tempi della jüngeriana “mobilitazione totale”? Allora dalla mobilità e schiavitù del lavoro, prova a osservare quale grande avvenimento è in atto nelle “ben irrigate” lande del nord, dove “l’uomo del monte” suggerisce di andare, che accade anche nello stivale.
Un nuovo Leviatano sta sorgendo, a causa del quale i confini dello stivale cominciano a traballare. Caduti sono già quelli territoriali e monetari, quasi precipitati sono quelli legislativi, pronti a crollare sono quelli costituzionali. Il Grande Leviatano del Nord è quella macchinazione che si compie alla maniera di un Nuovo Titanico Stato di diritto autonomo e indipendente rispetto agli altri Mostruosi Contenitori situati ad est, in medio oriente e oltreoceano. A tal fine, però, così come accadde per lo stivale nel secondo dopoguerra ma all’inverso, sta già intessendo ogni sua dimensione pubblica devitalizzando l’attuale periferico – i vecchi Stati – e creando gli snodi cruciali della propria economia e del proprio potere. Per evitare di trasformarsi in una nuova Babele, il Colossale Progetto Settentrionale compie se stesso, sorreggendosi nell’idea della mobilità del lavoro, che produce schiavitù. Ossia, installando in se stesso tutta quella forza-lavoro disoccupata proveniente dai vecchi Stati, nei quali non ha trovato occupazione, cancellando ogni singola identità e impiantando a tutti una nuova: quella della tecnica. Ma a quale scopo sorge questo nuovo Immenso Leviatano? Per la futura lotta per il potere tra Poderosi Titani che si sorgono all’orizzonte, preannunciando nuovi pericoli. La mobilità del lavoro, e la schiavitù che genera, non sono altro che la premessa, rievocante antichi totalitarismi, dei capitoli oscuri della storia a venire.
Medita web, medita…

mercoledì 1 febbraio 2012

Versieri: IL TRAMONTO DEL SOLE ROMANTICO di Charles Baudelaire

- di Saso Bellantone

Com’è bello il sole quando freschissimo sorge
e come un’esplosione ci lancia il suo buongiorno!
– Fortunato colui che potrà con amore
salutarne il tramonto più fastoso d’un sogno!

Ricordo… Ho visto tutto, fiore, solco, sorgente
come un cuore in deliquio fremere sotto il suo sguardo…
– Corriamo, è tardi, corriamo verso l’orizzonte,
per afferrarne almeno qualche obliquo raggio!

Ma io inseguo invano il Dio che si nasconde;
la Notte inarrestabile stabilisce il suo regno,
nera e piena di brividi, umida, funesta;

galleggia nelle tenebre un odore di tomba
e il mio piede pauroso sull’orlo dello stagno
urta rospi imprevisti, fredde lumache calpesta.

Ne “Il tramonto del sole romantico”, Charles Baudelaire racconta metaforicamente l’atteggiamento di chi è consapevole di trovarsi in balia della crisi dei fondamenti. Il sole di cui parla Baudelaire, infatti, non è un corpo celeste ma ciò che prima stava alla base per la conoscenza del mondo, ossia il sole delle idee, l’Essere, la verità. Chi ha esperito la “morte di Dio”, considera tale sole soltanto un avvenimento passato, qualcosa che non è più e che, appunto, può essere unicamente ricordato. Sotto la sua luce, la vita era incantevole, sicura, serena perché tutto era chiarito, spiegato, compreso. Ogni ente possedeva un senso e uno scopo. Persino l’essere umano. Ma facendo esperienza del tramonto dell’Essere, si resta più ammaliata dell’alba di quello.
Alcuni hanno interpretato il tramonto della verità e il conseguente crollo delle antiche certezze, come l’aprirsi di possibilità e libertà prima impensabili, come il principiarsi di un’esistenza da vivere coraggiosamente sfidando l’ignoto, alla ricerca di un nuovo mondo. Altri, invece, hanno vissuto quell’evento nel senso di una catastrofe. Non sapendo in quale maniera sopravvivere senza verità, si sono affrettati ad afferrarla, a trattenerla finché c’è stato tempo. Ma è inutile tentare di acciuffarla, di frenarla. L’essere umano ne resta totalmente privo e tutto subisce una metamorfosi. Con il crepuscolo della verità, ogni ente e avvenimento diviene buio, inspiegabile, incomprensibile, insicuro, confuso, raggelante, fatale. Vivere diventa un incubo, nel quale non si smette mai di trasalire per via della mutamento in atto. La Terra si trasforma infatti in un immenso cimitero spettrale, nel quale si respira esclusivamente odore di morte, perché con la morte della verità crolla anche qualsiasi speranza ultraterrena. Con un piede sull’orlo di una palude, nella quale in ogni istante rischia di sprofondare, l’essere umano, in preda alla paura, si muove attraverso avvenimenti imprevedibili e inspiegabili, privi di un senso e di uno scopo, e si ritrova a schiacciare i propri simili, inconsapevoli che non c’è più sole alcuno.