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martedì 26 luglio 2016

Elham va in esilio


Amava il suo lavoro. Gli permetteva di stare a contatto con la gente, specialmente quella più bisognosa. E lei, sapeva cosa voleva dire aver bisogno d’altri, aver bisogno di aiuto. Veniva da una famiglia numerosa e povera. Quindici figli. Il padre, fin dal dopoguerra, aveva fatto i lavori più impensati per sfamare la famiglia. Era stato in Olanda, a Milano, aveva fatto il falegname, il facchino, il fruttivendolo, di tutto. Rimasto orfano da ragazzino, non voleva che i suoi figli patissero quel che aveva patito lui assieme ai suoi fratelli e alle sue sorelle. A volte era rigido, sì, ma lo faceva soltanto per educare bene i propri, mettendo al primo posto l’amore per la famiglia e il rispetto per qualsiasi altro essere vivente si trovasse al mondo e s’incontrasse. Anche la madre non era da meno. Oltre a pensare quotidianamente alla cura di così tanti figli, andava a fare le pulizie in casa d’altri, produceva il formaggio, trasportava il pesce da valle a monte. Lavorava instancabilmente fin da ragazzina, anche lei, con la speranza, un giorno, di vedere tutti capaci di badare autonomamente alla propria sussistenza e di essere felici. Malgrado non sapessero se ogni giorno era possibile nutrirsi, malgrado abitassero tutti in una sola grande stanza senza acqua corrente, malgrado usassero sempre gli stessi abiti e non avessero nessun giocattolo con cui distrarsi, erano felici. Sì, nonostante la povertà, la fame e il bisogno di qualsiasi cosa, erano felici perché si ritenevano fortunati. Fortunati, per avere giornalmente la compagnia e il sorriso dei propri cari e di pochissimi sinceri compaesani.
Per questo Elham amava il suo lavoro. Perché stando quotidianamente a contatto con la gente bisognosa, poteva offrire loro la compagnia, il sorriso, l’aiuto necessari per andare avanti e sopravvivere, specialmente in quei tempi di nuova crisi attraversati dallo Stivale.
Era entrata nel corpo di Servizio Civile intorno ai vent’anni e subito era stata amata da tutti. Aiutava gli anziani, gli ammalati, i bambini, le ragazze madri, i disoccupati, gli isolati e gli abbandonati. Il suo cuore era grande a tal punto da passare ogni giorno, dalla mattina alla sera, aiutando più persone possibili e in qualsiasi modo, senza fermarsi mai e senza badare a razza, etnia, estrazione sociale o professione religiosa. Passava la vita insomma al servizio della gente in difficoltà, e senza dimenticarsi mai della sua famiglia, alla quale, pur indebitandosi, non faceva mancare nulla.
Considerava il Servizio Civile una vera e propria missione “umana”, cioè pensava che ciò di cui tutti avessero bisogno, intendendo quasi la comunità in cui operava come una grande famiglia, fosse soltanto un po’ d’attenzione, di comprensione e di umanità. Passava il tempo con gli avvocati e gli operatori ecologici, gli ingegneri e gli operai di fabbrica, gli intellettuali e gli sportivi, i politici e gli artigiani, i giovani e gli anziani. Oltre che avere un grande cuore aveva anche infatti una spiccata intelligenza e tutti si consigliavano con lei per qualsiasi questione: lavorativa, affettiva, scolastica, commerciale, filosofica. E anche in tutti questi casi, non si risparmiava con nessuno, ritenendo il proprio punto di vista una forma di aiuto per chi ne avesse urgentemente bisogno.
Quel che però faceva più soffrire Elham e le faceva più rabbia, era la gente dimenticata dallo Stato e da tutti. Come per esempio tutti quei padri o quelle madri che avevano perso il lavoro e che si presentavano in lacrime da lei non sapendo più come dar da mangiare ai propri figli. Ogni volta che accadeva ciò, non perdeva un istante e donava loro qualcosa di propria tasca per sfamare i propri bambini. Stesso dicasi allorquando incontrava la duchessa Sembrillo, una vecchia donna proveniente da una famiglia nobile, che per vivere vendeva tutti i documenti e gli averi di famiglia. Ogni volta che si presentava a lei, Elham le dava cinquanta, cento, duecento euro, quanto aveva, dicendo alla vecchia donna di conservare i propri averi per altri momenti. La vecchia la ringraziava mille e mille volte, piagnucolando come una bambina e quando se ne andava via si voltava continuamente ora con la mano sul cuore ora mandandole baci in segno di gratitudine e di affetto. Non accettava che lo Stato potesse dimenticarsi così della povera gente, né che i familiari lasciassero sola una povera donna come la duchessa Sembrillo. E ogni volta che capitava un fatto del genere, si prometteva di fare ogni giorno di più per coloro che avevano veramente bisogno.
Elham dunque era amata da tutti, perché non si risparmiava con nessuno. Per questo motivo in paese tutti parlavano di lei: sia quelli che l’amavano sia quelli che, proprio perché era amata da tutti, la odiavano. Infastiditi dall’idea che una donna così bella e intelligente fosse amata da tutti, coloro che la odiavano cominciarono a escogitare il metodo adatto per infangare la sua reputazione, distruggerla e togliersela dai piedi. L’occasione adatta si presentò quando, scrivendo denunce anonime e architettando diabolici disegni per incastrarla, giunse nel paese un nuovo caporale dei Vigili del Fuoco: Giuditta.
Era una donna sulla trentina, bionda, occhi azzurri, non troppo alta, una bella donna anche lei. Proveniva da una famiglia disagiata al pari di quella di Elham, diversamente da quest’ultima Giuditta intendeva il proprio lavoro soltanto un lavoro. La sofferenza, la povertà, la fame provati nella propria giovinezza l’avevano indurita a tal punto da concepire il proprio mestiere non come un servizio per la comunità, votato all’amore e alla cura d’altri, ma come il sentiero adatto per la scalata sociale e per ottenere ricchezza, prestigio, potere.
Consapevoli dell’anima nera del nuovo caporale dei Vigili del Fuoco, coloro che odiavano Elham fornirono a Giuditta tutti gli strumenti, le menzogne e i pretesti necessari per spazzare via Elham e Giuditta, compreso che la propria strada per il potere passava per la rovina di Elham, non si fece scappare l’occasione. Anzi, mettendoci lo zampino di propria mano, in modo accurato e sotterraneo, si assicurò che la reputazione di Elham cadesse nel peggiore dei modi. Radiata dal corpo del Servizio Civile e accusata di aver fatto apparentemente del bene ma soltanto allo scopo di beceri interessi personali, Elham fu allontanata dal paese di Granaba e costretta all’esilio su di un’isola sperduta nell’Atlantico fino a data da destinarsi.

Oggigiorno, il nome di Elham viene continuamente infangato nelle strade, nelle pagine dei giornali e dei siti internet, in particolar modo da coloro che la odiavano, soddisfatti del suo allontanamento; da quanti, anziché paghi dell’amore gratuitamente donato loro, al tempo volevano soltanto appagare i propri balordi interessi personali; da quanti hanno conosciuto la donna soltanto con le voci screditanti fatte circolare diabolicamente nel paese, i quali provano piacere nell’infangare chiunque possa essere reputato la causa della propria vita infelice. Contemporaneamente, Giuditta assapora la vittoria della tappa nella scalata del potere a scapito di tutti quanti. I familiari di Elham invece attendono silenziosamente che sia fatta totalmente luce sull’oscura macchinazione contro Elham e che quest’ultima torni rapidamente nel luogo dal quale è stata allontanata.
Non si sa cosa faccia Elham in questo momento, dal momento che sull’isola sperduta nell’Atlantico non può andare nessuno. Se però potesse leggere tutto quel che si scrive sul suo conto, Elham risponderebbe:
- a coloro che la odiavano perché era amata da tutti e che ora sono soddisfatti del suo allontanamento, che sarebbe bastato amare un po’ di più il proprio prossimo, dunque chiunque, per essere amati al pari di lei;
- a quanti hanno approfittato del suo amore per appagare i propri interessi personali, che la ricchezza e qualsiasi forma di avere priva dei sentimenti di amore e lealtà, costituiscono la vera miseria esistente, quella cioè dello spirito;
- a quanti provano piacere nell’infangare lei e chiunque altro, reputandoli la causa della propria infelice vita, che la felicità o la infelicità attuali si costruiscono con le proprie mani e con la continua scelta tra spirito di sacrificio e nullafacenza.
Se scoprisse che Giuditta ha realizzato quella macchinazione per ottenere maggiore potenza, ingannando tutti i compaesani, Elham proverebbe compassione, perché reputerebbe una vita votata esclusivamente all’appagamento del proprio desiderio della potenza, soltanto una vita sprecata e insensata.
Infine, se potesse dire qualche parola ai suoi familiari e a tutte quelle persone che attendono in ogni istante il suo ritorno, Elham direbbe: “Vi voglio bene. Tornerò presto tra di voi”.
16-3-2013

sabato 23 luglio 2016

DISsud: le foto 42

- di Saso Bellantone
"Il passo del Diavolo, Monte Sant'Elia, Palmi (SUD)".

mercoledì 20 luglio 2016

Animali pensanti o pensatori animali?


- di Saso Bellantone
“Che cosa significa pensare? - si chiedono alcuni. Se l'uomo è solo un animale, allora pensare è solo un passatempo”.

martedì 19 luglio 2016

lunedì 18 luglio 2016

DISsud: le foto 41


- di Saso Bellantone

"Castello Normanno, Nicastro, Lamezia Terme (SUD)".

sabato 9 luglio 2016

Il lido dell'essere


- di Saso Bellantone
"Esistono due tipologie di stabilimenti balneari in cui abbronzarsi: del mondo e del pensiero. Mentre il primo scurisce soltanto la pelle, il secondo, invece, colora le idee, i ricordi e le prospettive".