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domenica 20 settembre 2009

FIORE AVVELENATO di Giuseppe Bagnato


- di Saso Bellantone
Perché scrivere? Perché vomitare la propria anima? Con queste domande si apre Fiore avvelenato di Giuseppe Bagnato, edito per la casa editrice Il Filo, con le stesse identiche domande che riecheggiano in ognuno di noi – nelle profondità del proprio intimo baratro in cui buio e luce si danno eternamente battaglia anche per stabilire soltanto l’effettiva forma della punta di uno spillo – ogni volta che ci sentiamo posseduti da quell’antico e incontrollabile demone che ci strappa, nostro malgrado, da tutto il resto sbattendoci violentemente là, di fronte alla bianca finestra del nostro stesso abisso che attende qualche goccia del nostro nero inchiostro, che scorre tra vene e particelle elettriche, per sporcarsi di un qualsiasi punto di vista e così comprendere la propria esistenza, sentirsi viva. Sono le stesse domande che continuamente lacerano l’infinito puzzle della nostra esistenza nello stesso momento in cui, ogni volta, ci accingiamo a porre l’ultimo pezzo della schermata senza dimensioni del nostro cammino, della nostra storia, del nostro passato, per comprendere il nostro presente qui e ora e volgere sereni lo sguardo all’avvenire. Ma proprio nell’attimo in cui, curiosamente, diamo una fulminea sbirciata alla titanica immagine che si sta componendo, proprio in quell’istante siamo travolti dal gigantesco e tempestoso colosso che contemporaneamente si erge davanti e dietro di noi, e rischiamo di soffocare sotto le macerie di dolore, di rabbia, di errori, di morte che pressano sulla più piccola parte della nostra consapevolezza di essere ancora qui, come contenenti la gravità dell’intero universo.
Tuttavia, è esattamente in quel batter d’occhio che comprendiamo il “perché?”; è in quella scheggia d’eternità che afferriamo il silenzioso motivo, l’oscura chiave di violino per cui sentiamo di dover vomitare la nostra anima, di dover scrivere: perché diveniamo realmente coscienti di esserci ancora. In quel momento, l’incommensurabile peso che poco prima ci schiacciava, diventa ora la linfa vitale, l’inchiostro stesso che macchia qua e là la candida finestra della nostra intima voragine, rigenerando ancora una volta l’interminabile gioco tra le nostre mani e i pezzi del puzzle senza dimensioni della nostra vicenda proiettata nell’inesauribile cuore pulsante dell’universo. Ed ecco che il riflesso di quel gioco si materializza sui fogli bianchi – silenziosi compagni dell’uomo nel suo viaggio nel tempo, carichi dei frutti dello spirito – sigillandosi tra le righe di lettere, spazi, punti e virgole che, come note del pentagramma dell’anima, trasformano in musica la smisurata quantità di grigie macerie che abbiamo adesso dentro e al di sotto di noi.
Tra narrazione e poesia, biografia e fantasia, Fiore avvelenato racconta parte della lucente e incolore vicenda dell’autore, parte delle emozioni che, di scena in scena, lo hanno caratterizzato nel suo ‘teatro delle opportunità’. Ci troviamo di fronte alla dolce e indimenticabile giovinezza per ricordare quanto sia bello vivere anziché morire dietro le bugie delle ragioni dei coetanei o dietro la falsa libertà acquistata a caro prezzo tra strada e farmacia; per capire di nuovo che al cuor non si comanda, che il vero amore non è quello che si vende sui marciapiedi, che le regole con le quali ci orientiamo sono sempre frutto dell’invenzione e spesso, anziché farci del bene, si ritorcono contro di noi, perfino quei principi che c’imponiamo ogni giorno finiscono per diventare le sbarre che delimitano, bloccandola dentro, la nostra ragionevolezza; per aver presente che le risposte alle nostre domande più insormontabili si celano in ognuno di noi e che il più delle volte siamo noi stessi ad auto-ostacolarci, rischiando continuamente di varcare la soglia oltre la quale potremmo tramutarci in un mostro così diverso da quanto siamo effettivamente nella parte più intima, segreta e innocente del nostro animo.
Giuseppe Bagnato vuol farci ricordare che ‘non c’è un perché’ attraverso il quale riuscire a comprendere, là dove li stiamo ancora facendo, i primi passi della propria vita; ‘non c’è un perché’ col quale capire il motivo per cui viviamo la nostra giovinezza in un preciso modo – con quelle scelte, quelle emozioni, quelle sensazioni, quelle paure, quei timori, quelle debolezze, quegli sbagli – anziché in un altro; ‘non c’è un perché’ mediante il quale scoprire la ragione dell’essere così e non altrimenti. Nonostante agli occhi di tutti sembriamo dei folli e nonostante le burle di un burattinaio spesso troppo giocoso, comprendiamo di essere vissuti in quell’esatto modo piuttosto che in un altro solo quando ci rendiamo conto che l’unica sostanza di cui tutti siamo drogati e della quale non possiamo fare a meno, è l’amore.
Di atto in atto, Giuseppe Bagnato urla a squarcia gola e ci sussurra questa consapevolezza, ossia quanto il desiderio dell’altro domini nella nostra esistenza e quanto la fiducia in chi si ama, le delusioni, la nostra testardaggine di essere completamente uguali a quelle stesse persone che amiamo, finiscano per incidere nella storia e nelle nostre scelte e a renderci facile preda della solitudine e degli errori che non è più possibile dimenticare; quanto l’accadere caotico della nostra giovinezza giunga inevitabilmente a procedere fiancheggiato dall’ombra della dama nera, che ci attende ad ogni angolo della via; quanto la propria voglia di lottare sia nulla, superato il limite concesso a ciascuno di noi, senza quell’amore, quell’amicizia, quel desiderio degli altri che abbiamo finito per dimenticare perché a volte ci ha giocato brutti tiri e ci ha spinto a chiuderci dietro le sbarre della nostra cupa gabbia, e che ora appare come l’unico varco verso se stessi e verso l’unica scelta consapevole che abbiamo in dote, di fronte alla domanda: “dobbiamo essere attori o spettatori nel ‘palcoscenico’ della nostra vita?”.

CAINO, LUCIFERO E IL PICCOLO FIORAIO di Giuseppe Bagnato


- di Saso Bellantone
Chi è Caino?
Caino è il rinnegato, il maledetto, il condannato, l’esiliato, il fuggiasco; è chi deve nascondersi dagli occhi di Dio a causa della colpa che grava sulle sue spalle: il fratricidio di Abele. Ma è anche chi deve nascondersi dagli occhi di tutti, per via del marchio – che Dio gli ha impresso sulla fronte rendendolo riconoscibile, imputabile, additabile – che rinvia al suo delitto, al suo peccato, alla condanna e alla pena da scontare. Da allora, Caino si trova in una condizione paradossale, sintetizzando in sé, suo malgrado, caratteristiche contrastanti: agli occhi di tutti e per volere di Dio, è a un tempo:
- “l’assolutamente indifeso”, il più mortale, il più debole, il più esposto agli altri, al rischio, al patire e alla morte per mano degli uomini;
- “l’assolutamente intoccabile”, il più vitale, vigoroso, necessario, il più soggetto alla grazia degli uomini, nessuno può alzare la mano nei suoi riguardi perché “…chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!” (Gen. 4,15).
In questa duplice esistenza, condanna, martirio nel quale grava sulla sua coscienza il peso del fratricidio e la sofferenza tutta che ne consegue attraverso la negazione del dono della morte per mano altrui, Caino fa la vera esperienza del tempo nei suoi due volti: il tempo finito degli astri, che scorre, passa, prosegue irrevocabilmente la corsa contro se stesso, contro la sua stessa lenta distruzione e dove ogni cosa volge alla fine svanendo nel nulla; il tempo infinito di Dio, immobile, immutabile, che non passa, dove ogni cosa resta eterna vincendo la forza sgretolante del niente. La condanna di Caino – e della sua stirpe – è quella di scontare la propria colpa fino al termine del mondo, sia nel tempo finito degli uomini, del mutamento, dello svanimento, della mortalità; sia nel tempo infinito di Dio, della fissità, della stabilità, dell’eternità. Nessuno può ucciderlo per fargli pagare il prezzo più alto “agli occhi degli uomini”, oppure per liberarlo dalla sua interminabile condanna, perché pagherebbe una sorte peggiore di quella che è toccata a lui. Caino è l’essere vivente più solo del mondo creato, fino alla notte dei tempi: per lui non c’è perdono, comprensione, misericordia, amore, solo e soltanto punizione, condanna, pena, patimento interminabili.
La condizione di Caino è la stessa nella quale ognuno di noi finisce per cadere – o nella quale ognuno ricorda già di trovarsi – ogni volta che una colpa piomba con tutta la sua gravità nella nostra coscienza: ci ritroviamo a vivere nella finitezza della temporalità del mondo e del corpo l’infinità del tempo dello spirito e dell’animo, nel quale il nostro passato – con tutte le nostre colpe, i nostri errori, il nostro dolore, le nostre sofferenze – pende su di noi come spada di Damocle, rendendo un inferno il nostro presente qui e ora, facendoci patire ora dopo ora, secondo dopo secondo, attimo dopo attimo il resto della vita che ci rimane, strappandoci la stessa voglia di andare avanti alla scoperta di noi stessi, del mondo e di tutti coloro che ci stanno attorno, nella speranza e nel coraggio di fare meglio rispetto al passato, cancellando la precedente identità e le vecchie certezze.
Nel suo “Caino, Lucifero e il piccolo fioraio” – edito per la casa editrice Luigi Pellegrini – Giuseppe Bagnato ci rammenta come spesso finiamo per avere la stessa sorte di Caino. La differenza è che mentre la pena di questi è immodificabile in eterno, la nostra invece può dissolversi da un momento all’altro solo se, nell’attimo propizio, ricominciamo a guardare al mondo e alle persone che ci stanno intorno con la stessa innocenza di un fanciullo, di quel giovinetto che eravamo e che il mondo e il nostro stesso patetico passato finiscono per farci dimenticare, assieme alla nostra identità, alle nostre certezze, al nostro sorriso.
La storia di Caino è un viaggio nelle profondità del proprio animo interno, la coscienza, attraverso il proprio animo esterno che è la natura tutta e il mondo degli uomini, svolto in compagnia del male (Lucifero) e del bene (Piccolo fioraio) che albergano nelle nostre menti, costumi e tradizioni, e che ci seguono come ombre per tutta la nostra esistenza, incidendo sulle nostre scelte. È un’escursione volta alla comprensione dei propri limiti, delle proprie paure, incertezze ma anche alla riscoperta di quella semplicità, innocenza, pace, bellezza, amore, volontà di vita ormai soffocati dal nostro triste passato e dal nostro grigio io sociale, ma che ancora attendono di splendere più raggianti che mai nella nostra storia, per cambiarla dal vuoto destino di Caino in cui volenti o nolenti ci siamo ritrovati, al traboccante fato che con le unghie della nostra volontà e del nostro coraggio possiamo ancora costruire innanzi a noi. L’importante è riuscire a capire “che l’essenza non sta nel cercare, bensì nello spirito con cui si cerca. Bisogna sapere aspettare, assaporare l’attimo che precede l’evento, svuotare la mente, il cuore, l’anima, in modo che siano liberi di accogliere le risposte in tutte le loro forme”(pag. 59).

venerdì 11 settembre 2009

L'INFLUENZA A (H1N1)...ossia...SUPER-INFLUENZA-A-STICHESPIRALITOSO!


- di Saso Bellantone
Da aprile siamo col fiato sospeso a causa di questa super-influenza capace di sterminare la popolazione…”è la natura che si rivolta contro gli uomini!” dice qualcuno; “sono i maiali che si vendicano perché li abbiamo trasformati continuamente in salsicce!” dicono altri; “è uno dei segni della fine dei tempi e dell’avvento del giorno del giudizio” affermano altri ancora, collocando questa pseudo-pestilenza in atto all’interno di un preciso scenario apocalittico…cominciano col chiarire queste stupide leggende metropolitane:

1) uomini e natura sono sempre in contrasto tra loro, non perché la natura abbia lagnanze nei nostri confronti – come se, antropomorficamente, avesse una coscienza – ma perché è così che vanno le cose; in una parola: evoluzione. Per vivere il più a lungo possibile l’uomo deve andare contro-natura, forzare le sue leggi e, dove può, cogliere un di più di vita, qualitativamente e quantitativamente. Nel far ciò – e così si caratterizza la storia delle civiltà umane – l’uomo cerca di approfittarne, la usa, ne abusa, la spolpa il più possibile, distruggendola, e in questo modo si evolve. Questo atteggiamento non riguarda soltanto gli uomini, ma ogni essere vivente, dal virus ai massimi sistemi…già! Avete capito bene! Ha a che fare anche con i virus, anche con il virus influenzale denominato “A (H1N1)”…ma torneremo tra poco su questo.
2) indipendentemente da quelle credenze religiose che credono nella reincarnazione, nell’animismo e simili, nemmeno i maiali, come la natura, possiedono una coscienza. Com’è possibile pensare che i porci possano provare quel sentimento che contraddistingue gli uomini come la specie più balorda e brutale del pianeta Terra, ovvero la vendetta? Dunque non si dicano cretinate! Non è la rivolta dei suini! È vero che il luogo comune e le varie saggezze popolari considerano la carne di maiale come uno dei principali alimenti portatori di malattie, ma queste saggezze vanno comprovate scientificamente, altrimenti restano sciocchezze. Già nell’Antico Testamento si trovano divieti di consumo di questo alimento…queste prescrizioni provengono sicuramente dalla saggezza dei sacerdoti egizi e quanto più si và indietro verso altre civiltà precedenti o vicine a quella egizia tanto più si trovano taboo simili…ma per quanto vietati, non venite a dirmi che questo tipo di cibo non è stato consumato nel corso dei tempi, persino dai sacerdoti e da tanti altri…! Se si ammette questo e se è vero che la carne di maiale causa malattie, è vero anche che le civiltà che l’hanno consumata nella storia e continuano ad alimentarsene avranno pur sviluppato degli “anticorpi” capaci di proteggerli da brutte sorprese…il problema resterebbe, dunque, per quelle popolazioni che, storicamente, non hanno e non consumano questo alimento…e per coloro che hanno delle caratteristiche fisiologiche poco adatte per nutrirsene. Ad ogni modo, i suini non c’entrano con l’iper-influenza in questione. Erano là vicino al primo caso relativo e sono stati, miserabilmente, incolpati. Ma anche su questo torneremo.
3) È da oltre duemila anni che dietro ogni avvenimento climatico o politico si riconosce un segno della fine del mondo…e ancora siamo qua? E ancora rintracciamo segnali di questo genere? Ma vogliamo finirla con queste cavolate da mago merlino! In base a quale prova scientifica parliamo di fine del mondo? Quella di Damasco? Quella profetica o apocalittico-giudaica? Quella maya?! Nessuno può avere la certezza che il mondo finirà né che continuerà; questa è una di quelle domande a cui non ci è dato rispondere…per ora…a meno che non venga un John Titor dal futuro e ci dica: “Il mondo ha la forma della mia maglietta e funziona in Dos…ma intanto compratela…”! Finiamola con queste pagliacciate e poi che ce ne fotte a noi della fine dei tempi?! Se non possiamo rispondere a ciò in modo scientifico – religiosamente ognuno veda tutti i cavalli e i cavalieri volanti e gli ufo che meglio ritiene – non ci resta che vivere questa breve vita che abbiamo e quando arriverà la morte…beh…è arrivata, che ci volete fare…diverso è se arriva una mega-influenza turbo! Là bisogna preoccuparsi perché si rischia la vita…e qui torniamo finalmente all’argomento in questione.
Dal primo caso avvenuto in Messico, oggi non si riesce a stare in pace. Ci troviamo di fronte ad una
morbo-fobia provocata e amplificata dai mass-media (come l’aviaria e la sars ad esempio), che la dice
lunga su molte cose: che siamo troppo creduloni e avventati; che siamo cretini a dare con troppa
scioltezza il nome di “suina” ad un’influenza che non c’entra niente coi maiali né con costolette e salsicce;
che siamo cacasotto e irragionevoli; che siamo vera-mente ottusi; che ci sta bene continuare a vivere
secondo queste caratteristiche; che quelle immagini di un futuro totalitarismo globale, seguito a una
catastrofe nucleare o batteriologica o di qualsiasi altro genere, prima argomento da pellicola
cinematografica fanta-scientifica, adesso può divenire realtà!
Signori miei! Cerchiamo di aprire un varco nella cupola dell’idiozia che ci racchiude e di farci almeno qualche domanda, prima di farcela addosso e correre dalla mammina in camice bianco per farci iniettare la stra-super-iper-panacea…chiediamoci:
1) com’è possibile che negli ultimi cent’anni – escludendo a priori peste, colera, malaria e compagnia bella che hanno caratterizzato i secoli passati – si parla sempre di influenza sars, aviaria, cinese, spagnola, brasiliana, cubana, malese e chi più ne ha più ne metta?
2) Siamo sicuri che tutti questi morbi nascano dall’oggi al domani spontaneamente come i funghi? Oppure sono frutto o errori di esperimenti di equipe di scienziati?
3) E se fossero delle malattie inventate in laboratorio e sperimentate sulla popolazione mondiale? Magari per venderle al miglior offerente e cominciare una guerra batteriologica? E se il loro scopo fosse “far girare l’economia”, soprattutto delle industrie farmaceutiche? Ma anche alimentari, in particolare a scapito di quelle delle carne dei paesi sud-americani e a vantaggio di altri?
4) E se invece si trattasse di strumenti per testare la credulità della popolazione mondiale, sfruttando la potenza dei media? Oppure per irradiare su scala planetaria la paura, l’allarme, il delirio? E su questi presupposti, capire quanto, quando e come è possibile instaurare un governo globale?
Signori miei! Prima diamo la colpa ai maiali e la chiamiamo influenza suina; poi la definiamo influenza A (H1N1), immaginandola come una malattia di “serie A”, perché si differenzia dai semplici morbi stagionali; alla fine, non è nient’altro che un’influenza stagionale bell’e propria! Ma siamo matti??!! Il tasso di mortalità provocato da questa super-influenza, secondo gli ultimi accertamenti, è pari a quello di una semplice influenza stagionale…perciò smettiamola con questi allarmismi e queste inquietudini apocalittico-pandemiche!
Come per tutti gli esseri viventi, anche i virus si evolvono nel tempo e una cura antibiotica oggi utile per combattere una precisa tipologia di agente batteriologico, tra qualche anno o giù di lì non è più efficace come oggi. Il virus và in palestra, si allena, si fa i muscoli e si perfeziona – magari andando persino dall’estetista per manicure, pedicure, acconciatura e nuovo look – e per contrastare il suo effetto patogeno è necessario raffinare i farmaci utilizzati per il vecchio tipo-virus.
Il nuovo vaccino che nei prossimi giorni c’instilleremo nelle vene – e finalmente ci sentiremo invincibili di fronte alla stra-influenza – non è altro che un miglioramento dei vecchi farmaci usati per le comuni influenze stagionali (così dicono che si chiamano). C’è da dire, inoltre, che da anni abbiamo preso la pessima abitudine a ingozzarci di farmaci per qualsiasi sintomo percepiamo: starnuti, mal di testa o di denti, scottature, tagli, cerette, prurito e cazzonerie…In più, cresciamo i nostri bambini in questo modo e anziché fargli mettere in bocca le mani sporche per sviluppare i cosiddetti “anticorpi” (com’era per noi), gliele laviamo con amuchina, dask e cherosene…chiediamoci allora perché alcune patologie colpiscono in particolar modo i bambini e siamo costretti tre, quattro, cinque volte al mese (se non di più) a fare la fila in farmacia, dal medico o dal mago-chiromante? Stiamo diventando scemi!!! Tutto qua!
In questa prospettiva, la nostra imbecillità non ha freni! Basti pensare, per tornare all’influenza dai super-poteri, che all’inizio ce la siamo presa coi suini e con la buona, bella, tenera bistecca al sangue!!! Qual è la loro colpa? Quella di trovarsi là vicino? Magari il prossimo caso di “nuova influenza” esplode su un’isola in mezzo all’oceano, sul monte Bianco o davanti al tostapane e la denominiamo “isolana o oceanica, o montana o tostapanica”?!!!
Suvvia! Lasciamo stare questi poveri maiali e mandiamo a quel paese tutte queste voci di pandemia, fine del mondo e pericolo globale! Vogliamo vaccinarci? Bene! Ma sia chiaro: è il solito rimedio per l’influenza stagionale, non un farmaco contro il Mietitore in persona detto “H1N1”!
Mi auguro almeno che si cominci a fare luce intorno a queste maledette influenze che, ogni anno nello stesso periodo, rompono le scatole a tutti…soprattutto spero che ognuno di noi cominci a mettere un po’ di sale in zucca e allontani, se così è, la paura di voler sapere l’origine di influenza stagionale…
Vi do un indizio: non è il vaso di Pandora (a meno che qualche laboratorio dove vengono studiati, sperimentati e diffusi non si chiami proprio così).

PS: etcì!!! Ops! Devo aver preso l’influenza…va beh…qualcosa di caldo, un po’ di riposo e tutto passerà…se persiste…provo col rimedio della nonna (tra cui peperoncino o vino cotto), altrimenti…ahimé….consulterò il medico…ma restando sempre in guardia!!!