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venerdì 30 marzo 2018

QUALE DIO? di Antonio Signori


- di Saso Bellantone

Si è soliti esclamare “Quanto è piccolo il mondo!” quando ci si reca dall'altra parte del pianeta e si incontra, per caso o per destino, chi lo sa, un amico o un conoscente, ma è quello che ho pensato quando ho incontrato Antonio Signori. Dialogando con lui, è emerso che abbiamo in comune due caratteristiche:
  • entrambi abbiamo scritto dei libri;
  • uno di questi ha il medesimo oggetto, lo stesso interrogativo.
Pur partendo da esperienze e posizioni differenti, l'uno per via filosofica e l'altro per via scientifica, entrambi ci siamo posti la medesima domanda, rintracciabile a partire dal titolo del libro di Antonio Signori: Quale Dio? Di quale Dio stiamo parlando, dunque?
Il testo, pubblicato nell'ottobre 2012, è confortante innanzitutto, perché emerge che c'è ancora qualcuno che si pone l'interrogativo sopra citato, su posizioni e prospettive che vanno al di là degli schemi, popolari, metafisici e teologici tradizionali; è divertente, perché è accompagnato da alcune vignette di Stefano Arzuffi, ognuna delle quali riassume in maniera visiva, ribaltandolo su un piano ironico, il nucleo del capitolo appena trattato; è brillante, perché senza panegirici e “giri del mondo in 80 giorni”, come sono soliti fare gli accademici, ogni capitolo entra nel cuore della questione proposta nel titolo del capitolo stesso e fornisce rapidamente, a partire da una costellazione bibliografica di riferimento, il punto di vista sostenuto dall'autore, come già detto, al di là degli schemi e delle confezioni precostituite che si impara, generalmente, sui banchi di scuola, dell'accademia e nella società.
La “carta bibliografica” presente nelle note a piè di pagina del testo, là dove l'argomento lo richiede, evidenzia già come l'autore, così come è spiegato nell'introduzione Il senso di questo libro, non affronti in maniera banale la questione bensì sulla base delle proprie esperienze e delle proprie domande inquadrate all'interno della “cartina” appena citata. Ciò vuol dire che Antonio Signori, diversamente da quanto fa la maggior parte, prima di scrivere questo libro su questo argomento innanzitutto “legge” a proposito di tale questione, per conoscere i pareri di altri e confrontarsi con essi, dal momento che di questi temi non se ne parla facilmente o, meglio, non se ne parla affatto nella quotidianità. Per questo motivo, ci si ritrova di fronte ad alcuni pareri, opinioni, prospettive affiorate da questi “dialoghi letterari” svolti, non senza, naturalmente, i quesiti proposti dalla vita e dall'esperienza.
Sì, chi scrive ha usato consapevolmente i termini “pareri, opinioni, prospettive” perché il testo, stilisticamente, si presenta in un certo modo: non è aforismatico, se lo fosse stato avrebbe fatto parte del genere delle massime e delle sentenze, ma somiglia più a un diario, senza date e indicazioni di luoghi, certamente, però gli somiglia perché nel tempo di poche pagine testuali si condensano gli svariati quesiti provenienti da quello iniziale e perché tali questioni, specialmente oggigiorno, non hanno bisogno di quelle coordinate per essere maggiormente comprese, soprattutto alla luce della scrittura dell'autore, chiara, precisa, “pesata” in ogni singolo termine, affinché il nodo di ogni problema sia accessibile a tutti, ai più.
Lo scopo di questo libro, come scrive Antonio Signori nella già citata Introduzione, non è quello di «dare le mie risposte, ma per stimolare ognuno a trovare le proprie e, soprattutto, ancor prima di trovare le risposte, a porsi delle domande» (p. 5); in altri termini, è di fare pensare gli altri sulla/e stessa/e questione/i.
Oggigiorno, infatti, la domanda su Dio non è posta più. Si preferisce indossare la maglia della squadra del cuore, sia quest'ultima una delle tante religioni e sette esistenti o uno dei tanti ateismi, e ci si è tolti il pensiero. Dio è per la maggior parte nient'altro che diverse scatole preconfezionate e preferibili, così come la sua negazione, issando a divinità la medesima, è una scelta tra le tante irreligiosità.
Per Antonio Signori, invece, Dio è una domanda ancora aperta, non solo al di là delle “opzioni del volgo” ma anche oltre le strade finora seguite sul piano filosofico, scientifico e teologico-religioso; un interrogativo che merita di essere posto, malgrado sia impossibile indagarlo (come vedremo), perché è a partire da questo dilemma che l'essere umano può definire, storicamente e anche oggigiorno, seppur in maniera precaria, in che cosa consiste la sua umanità e in quale maniera può regolare la propria condotta.
E allora, chiediamoci: in quale maniera l'autore scioglie “il nodo di Gordio” presentato nel titolo?
Antonio Signori si confronta di pagina in pagina con le scelte e le intuizioni operate dalla tradizione filosofica, scientifica e teologica, dalle quali naturalmente scaturiscono quelle popolari e in voga; ogni volta, mettendo a fuoco alcuni punti cruciali, già dibattuti storicamente o attualmente dati per scontato, propone una via alternativa, una risposta altra, utile, come chiarito all'inizio di questa recensione, per fare pensare. A tal fine, le sue risposte si palesano, appunto, come dei “suggerimenti di riflessione”.
Che cosa emerge da tali suggerimenti? Di quale Dio parla Antonio Signori?
Operando una attenta spettrografia del libro, ci si accorge che l'autore presenta due tipologie, due idee di Dio:
  • quello delle religioni e della tradizione biblica;
  • un Dio “altro”.
Il Dio delle religioni e della tradizione biblica sarebbe, agli occhi di Antonio Signori, un “idolo”, un Dio reificato, scambiato per qualcos'altro, ridotto a mera cosa dall'essere umano in vari modi: con statue, simboli, teorie, immagini, con la sua stessa professione di fede, la quale, nel convincersi di aver compreso, afferrato Dio, lo perde istantaneamente. Ciò dipende dallo stesso sguardo umano che, con la sua prospettiva e il suo relativismo, frutto della cultura, dell'informazione e del tipo di società/comunità in cui vive, tende, in maniera antropologica, antropomorfica e antropocentrica, a umanizzare tutto, persino Dio. In questo senso, quando si parla di questo Dio non si fa altro che parlare delle “proiezioni” che l'essere umano, o meglio le civiltà, a effettuato nel corso della propria storia.
Dal momento che Dio è una proiezione “umana, troppo umana”, anche la morale e i valori, solitamente associati a questa o quell'idea di Dio, promossi da tale o tal altra religione, non sono altro che delle “invenzioni” umane, dei fenomeni storico-sociali derivanti dalla creatività umana. Da questo punto di vista, l'idea di Dio che incarna una precisa morale e dei precisi valori – così come un'altra ma tutte provenienti dall'uomo – è “sufficiente” per svolgere, soltanto, una chiara funzione: regolare e limitare le condotte umane. Così infatti si mostra la storia delle civiltà, secondo una prospettiva secolarizzata, ossia come la narrazione degli eventi che hanno riguardato i popoli, aventi, ognuno, delle ben definite idee di Dio mediante le quali hanno dato una misura e dei limiti al proprio agire.
A partire da questa visione disincantata della questione di Dio, appare chiaro, secondo l'autore, che occorre prendere con le pinze anche i testi sacri perché, pur essendo stati compilati sulla base di una “ispirazione divina”, i compilatori/redattori erano comunque degli esseri umani, soggetti all'errore; i testi dunque vanno letti e indagati, per non dire in maniera scientifica, con criterio e secondo uno sguardo multidisciplinare, allo scopo di individuare i possibili errori umani presenti in essi e, inoltre, le possibili ed esclusive matrici umane.
Tutto questo non vuol dire per Antonio Signori bocciare in toto le religioni. Se nelle idee di Dio è possibile riconoscere le morali e i valori stabiliti nel tempo dall'uomo, nelle religioni è possibile individuare quei movimenti storico-concreti grazie ai quali quelle morali e quei valori – e quelle fonti sacre – sono giunti a noi. Le religioni hanno il pregio – e in ciò consiste la fortuna di esse – di parlare alle masse, all'interiorità dei cosiddetti “fedeli” e di stabilire norme, riti e simboli resistenti al tempo, con le quali, comunque, avviene una forma di comunicazione interiore, con le quali, in ogni caso, si tenta di mantenere vivo il rapporto di Dio – pur idolatrandolo e reificandolo. Il problema delle religioni è quando a regolare il loro operare sono “i se e i ma”, i secondi fini, spesso e volentieri lontani dalle stesse norme e professioni di fede che le costituiscono, distanti dal messaggio rivoluzionario annunciato da Gesù “Ama il prossimo tuo come te stesso”.
Se si esclude la Shoa, tragico evento in cui il Dio delle religioni, non interviene e non si manifesta – così come miracolosamente aveva fatto in passato (non dimentichiamo di trovarci all'interno di una visione secolarizzata della questione, secondo la quale l'interventismo divino è un'altra proiezione/invenzione umana) – secondo l'autore le religioni, oltre che mantenere “aperto” lo spazio dell'interiorità, seppur in maniera monopolistica e per secondi fini, hanno un altro merito: propongono in chiave secolarizzata un concetto di Bene molto somigliante a quella che oggi chiameremmo una “cultura della non violenza, della solidarietà e del rispetto altrui”, concetto e cultura mediante i quali è possibile essere uomini, “umani” in maniera autentica.
Se il Dio delle religioni e della tradizione è soltanto un idolo, una proiezione umana, un'invenzione, allora come pensare Dio?
Secondo Antonio Signori, «Dio è in quello che rappresenta lo sguardo incredulo di Isacco» (p. 25), va ricercato da un'altra parte, da un altro punto di vista. Per essere più precisi, Dio non va più reificato, ridotto a mero oggetto o idolo, non va più sottoposto e condizionato alla prospettiva umana, relativa. In questo senso, va inteso come ciò che è indicibile, indimostrabile e su questo sentiero occorre abbandonare le vecchie idee, quella creazionista classica o quella quinziana secondo cui Dio avrebbe creato il tutto, sottraendosi, perché in tal modo non faremmo altro che tornare a pensare e a immaginare Dio alla vecchia maniera. Stesso dicasi per la Cristologia. Persino la presunzione di entrare in relazione con Dio è una visione antropologica, scorretta, illusoria, reificante, di Dio. Dio va inteso come un “mistero impenetrabile”.
Se proprio si vuol salvare qualcosa delle vecchie religioni, per intendere Dio in maniera nuova, ciò consiste, secondo l'autore, nell'idea di Spirito Santo, il quale, nella sua invisibilità, è l'unico Dio accettabile (della tradizione).
Intendere Dio come un mistero impenetrabile non significa per Antonio Signori interpretarlo come un qualcosa di totalmente inaccessibile. Ai suoi occhi, infatti, Gesù, oltre che passare alla storia come un modello da imitare per vivere nel “Bene”, «è l'esempio di come di possa essere in contatto con Dio», colui che ha insegnato la possibilità «di essere portatori di messaggio divino pur essendo uomini».
Finora, Dio è stato immaginato con occhi umani ma, secondo l'autore, per cominciare a immaginarlo in maniera nuova si dovrebbe intenderlo come «natura relazionale di tutte le cose» (p. 29), come lo spinoziano deus sive natura, un Dio cioè che è la natura stessa nell'insieme delle sue relazioni, entro la quale vi è anche l'essere umano.
Quest'ultimo, in quanto parte della natura e partecipe delle molteplici relazioni che costituiscono la natura stessa, dunque Dio, è «la dimostrazione vivente dell'intelligenza cosmica» (p. 46), esprime la presenza di Dio malgrado questi sia altrove, in uno spazio autonomo e impenetrabile. In questo senso, nella preghiera di ringraziamento – altro elemento delle religioni che l'autore salva – l'essere umano può sentire, ascoltare, accettare una voce che non è la sua, egoistica ed egocentrica, e poco conta se tale voce è di Dio o del cosmo o soltanto la sua.
Immaginando Dio come insieme di relazioni naturali, come «tutto in tutto» (pp. 74-75), potremmo spingerci oltre, riconoscendone le tracce nel bello matematico, nella bellezza dei teoremi e dei calcoli legati ai numeri. Da questo punto di vista, tra l'altro, anche la religione e la scienza potrebbero procedere nel rispetto reciproco, perché – scartata la teoria evolutiva, incapace di rispondere definitivamente alla domanda se il tutto sia un caso o un disegno – la questione escatologica, alla luce della fisica quantistica, potrebbe essere posta su altri piani e la stessa morte potrebbe essere pensata come una “mutazione della vita” (p. 74), una fusione di logos e kosmos.
Alla luce della differenza tra il Dio dicibile (delle religioni e della tradizione) e il Dio indicibile (quello nuovo, ossia quello che, sulla base delle considerazioni precedenti, non è stato mai considerato), ecco che cambia, anche, l'idea di fede o, meglio, “la” fede e la ricerca di questo nuovo Dio.
Al di là di ogni idolatria e presunzione, fede e ricerca coesistono, convivono, l'una con l'altra e nessuna delle due è possibile senza l'altra. Entrambe sono, oltre ogni certezza e ansia, «una continua vigilanza a mantenere viva la nostra tensione verso la ricerca di senso» (p. 8); entrambe sono attesa, non egocentrica non egoistica, la cui vitalità è esperibile nel dubbio: il dubbio di aver trovato la fede, il dubbio di aver concluso la ricerca.
Si tratta, in definitiva, di un'opera piacevole da leggere, mai banale mai pesante, ma che nella brevità e densità delle sue trattazioni stimola davvero a pensare criticamente la domanda su Dio e a ripensarsi, oltre che come uomo, come umanità.
Forse il messaggio celato da Antonio Signori tra le pagine di questo scritto è che la speranza in una società migliore rispetto a quella attuale, non prescinde dal porsi, ancora, questo interrogativo e dal pensare diversamente, razionalmente e in maniera spiritualmente altra – che cos'è la spiritualità se non una razionalità altra, quasi invisibile, alla quale però abbiamo accesso – i nodi cruciali della fede e dell'interiorità.