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sabato 30 giugno 2012

OLTREWEB Scudo anti-spread… pro-Leviatano


- di Saso Bellantone
Buon meriggio web,
l’uomo del monte è soddisfatto per l’approvazione dei meccanismi anti-spread approvati in questi giorni a Bruxelles. Si è creato uno scudo, un fondo salva-Nani di 120 miliardi di (ze)Leviatan, capitalizzato dai Nani membri del Grande Levitano del Nord, con il quale, qualora un Nano dovesse trovarsi in difficoltà. Più esattamente, se lo spread tra un Nano e l’altro dovesse crescere a dismisura, la BCL (Banca Centrale Leviatanica) comprerebbe i titoli di Nano del Nano in difficoltà. I fondi ricevuti con tale acquisto, servirebbero per rivitalizzare l’economia nanica in crisi e per abbassare lo spread, cioè la differenza tra il tasso di interesse tra un Nano e l’altro per ricapitalizzare il proprio debito pubblico. Per esempio, se prima un Nano aveva un tasso d’interesse per ricapitalizzare il proprio debito pubblico pari a 120, adesso tale tasso scenderebbe a 90, 80 e via dicendo, a seconda del caso.
Un’altra manovra prevista da tali meccanismi è la ricapitalizzazione diretta delle banche dei Nani in difficoltà. Mentre prima il Grande Leviatano del Nord faceva prestiti ai Nani e applicava a questi ultimi i tassi di interesse per restituire indietro la somma ricevuta, adesso il Titanico Mostro Settentrionale può prestare delle somme direttamente alla banche dei Nani in difficoltà e applicare a quest’ultime i tassi di interesse per la restituzione delle somme prestate.
Sul breve periodo, tali meccanismi sono una conquista, non soltanto per quanto spiegato sopra ma anche perché in questa maniera, crescerebbe la credibilità degli altri titoli di Nano, per esempio dello Stivale, da quest’ultimo posseduti ancora e si riattiverebbe l’economia dello Stivale mettendo in circolo maggiori capitali, da investire nella produttività e nella crescita, prima assenti o sottratti a causa del debito pubblico. Ma sul lungo periodo potrebbero risultare un fiasco.
Innanzitutto, ogni titolo venduto ha una scadenza entro la quale o giunta la quale il Nano che ha venduto quel titolo deve restituire il capitale precedentemente ottenuto, con un determinato tasso di interesse. Il Titanico Mostro Settentrionale potrebbe decidere più avanti di vendere quel titolo ad altri – e guadagnarci sopra, dal momento che ha più credibilità del Nano di partenza – e lo Stivale, per esempio, potrebbe vedersi costretto a restituire la cifra iniziale ricevuta ad altri. Inoltre, dal momento che sono le banche a indebitarsi con il Grande Leviatano del Nord, per poter restituire la somma ricevuta più l’interesse potrebbero decidere di mettere mano ai propri pacchetti e servizi a svantaggio economico dei propri clienti, lasciando così una somma costante di capitali in circolo, utili per investire e crescere come Nano, oppure una somma sempre più minore. Infine, se con i capitali ricevuti per coprire il proprio debito pubblico e se con quelli ricevuti dalle banche non si riuscisse “veramente” a fare buoni investimenti per lo Stivale e a farlo dunque crescere, cioè a metterlo in condizioni di pagare titoli e debiti contratti, si potrebbe correre il rischio – in questi giorni costante – di un default. Di conseguenza, chi possiede i titoli stivalici ed è in credito nei confronti delle banche stivaliche diverrebbe il proprietario di ciò che rappresentano quei titoli, dunque dello Stivale, e di quelle banche. A meno che, lo Stivale non decidesse di arroccarsi entro i propri confini sempre più labili e immaginari, di tornare alla precedente moneta e di prepararsi al peggio, conflitto armato compreso.
Naturalmente il Grande Leviatano del Nord non venderebbe mai i titoli stivalici ad altri, perché qualora le cose dovessero andare male, è questa la sua aspirazione e la sua volontà, ne diverrebbe il proprietario. Inutile dire che – si veda l’immaginaria crisi economico-finanziaria – farà in tutti i modi per impossessarsi anche delle banche stivaliche e diventarne il signore.
È evidente, mio caro web, che lo scudo anti-spread non è altro una manovra pro-Leviatano. L’uomo del monte, lo sa ma lo spaccia messianicamente come una salvifica conquista per lo Stivale, per la Terra del Flamenco e per tutti i Nani che potrebbero trovarsi nelle stesse difficoltà avute in questo periodo, per esempio, dalla Culla dell’Occidente, allo scopo di guadagnarsi un pezzo di potere all’interno del devastante totalitarismo continentale che si sta costruendo in questi giorni. È chiaro anche in questo caso, mio caro web, che non tutto quel che luccica è oro. Ma tu, mio caro web, sei capace per una volta di scorgere il diavolo dietro quella che apparentemente sembra acqua santa?
Medita web, medita…

giovedì 21 giugno 2012

FADANI L’opera “Oggi più che mai povera Italia” pubblicata nella rivista CRONACHE ITALIANE


- di Saso Bellantone
Nel ’79 l’artista Mimmo Fadani immortalava artisticamente la miserabile condizione in cui versava l’Italia in quel periodo, dando vita all’opera Oggi più che mai povera Italia. Perfezionata con alcuni dettagli nel maggio 2012, l’opera del maestro Mimmo Fadani è stata pubblicata dalla rivista Cronache Italiane di giugno 2012. L’opera Oggi più che mai povera Italia rappresenta in primo piano un licaone che mostra le zanne voraci, quasi sorridenti, che guarda in direzione dello stivale italiano attraversato da diversi fenomeni, la criminalità, gli attentati, i sequestri di persona, la corruzione, il traffico di stupefacenti, la disoccupazione, diverse forme di ingiustizia sociale. Tali fenomeni non sono altro che i licaoni stessi, presenti sullo sfondo, tutti raccolti attorno alla figura dell’Italia turrita, appunto la personificazione dell’Italia in una giovane donna con una corona sul capo che regge lo stendardo. Il gonfalone è stracciato e la donna piange perché i licaoni la stanno divorando fino all’osso, dissanguando, uccidendo. In lontananza, sopra la donna, ci sono degli avvoltoi in attesa di nutrirsi anche loro della carcassa della donna, una volta che i licaoni si sono saziati. Un’opera dunque ripresa dal maestro Fadani per significare come, a distanza di decenni, non sia ancora cambiato nulla per l’Italia.

OLTREWEB Un’occasione sprecata


- di Saso Bellantone
Buon meriggio web,
il 17 giugno la Culla dell’Occidente ha sprecato una buona occasione per dare origine a uno smantellamento del Grande Leviatano del Nord. Votando per un governo filo-leviatanico non ci sarà nessun terremoto né alcun effetto a catena. I Nani resteranno intrappolati dietro le sbarre della prigione sotto forma di moneta unica, sbarre più forti e più opprimenti di prima. Tonificato il progetto di un dominio economico del Vecchio Continente, adesso il Titanico Mostro Settentrionale guarda all’egemonia fiscale e politica della vecchia urbe continentale. Non trema più. Adesso sa che ogni campanello d’allarme può essere spento con la semplice manipolazione della scelta, facilmente corruttibile, con la falsa promessa di fondi salva-Nani nel contesto di una crisi economica globale, inventata e provocata allo scopo del potere. E così è stato con i Cullici. Convinta della convenienza di restare nella zona-Leviatano per scansare il default, la Culla dell’Occidente crede che con i fondi che riceverà dall’Immensa Arpia Nordica riuscirà a coprire il debito pubblico, a riassestare il proprio PIL, a creare lavoro, dunque a contrastare la disoccupazione, la cassa integrazione e i licenziamenti forzati, a ricostituire tutte le piccole e medie aziende fallite e, quindi, a rilanciare la propria economia e la propria posizione di prestigio all’interno della zona-Leviatano. Crede. Ma ce la farà? O meglio, il Grande Leviatano del Nord le concederà di rinascere dalle proprie ceneri?
Il Titanico Mostro Settentrionale non concede a nessun Nano di risorgere dalle vecchie spoglie economiche, politiche e istituzionali. È Lui stesso a incenerirli con il marchio unico di una moneta e di una economia surreale: lo (ze)Leviatan. L’Immensa Arpia Nordica si mostra continuamente come un Messia secolarizzato che non conosce punizioni ma soltanto premi. Presta fondi ai Nani, illudendoli della salvezza economico-finanziaria, li ammansisce, li anestetizza e così, mentre il loro debito cresce e la loro economia peggiora nuovamente, si abbandona in una diabolica risata. Ormai sa di stringere i Nani in un pugno. Decidendo di restare nella zona-Leviatano anziché tornare alla propria moneta, così come ha fatto la Culla dell’Occidente perché narcotizzata dai premi leviatanici, i Nani accettano, inconsapevoli, di perdere la propria autorità per riconoscerne una soltanto: quella del Titanico Mostro del Nord.
La Culla dell’Occidente crede di essere salva, di aver scampato il pericolo e nel suo letargo provocato dalla chimera della moneta unica non si rende conto che è pronta a tornare punto e a capo. Non c’è salvezza per la Culla dell’Occidente né Redenzione. Sotto le acque dello (ze)Leviatan, gli squali dell’Immensa Arpia Nordiaca divorano pezzo dopo pezzo le sua membra finché non sarà ridota all’osso. Soltanto allora i Cullici capiranno quale occasione hanno perso il 17 giugno 2012. Ma in quel momento, sarà troppo tardi, perché saranno già diventati i primi schiavi della mefistofelica macchina di potere continentale, in ottica planetaria, dal nome Grande Leviatano del Nord.
Una volta spolpata la Culla dell’Occidente, sarà sazia la voracità degli squali leviatanici? Oppure procederà con altre squisitezze del menù continentale, vedi Terra del Flamenco e Stivale? E se stessero gustando già, come antipasto, questi due Nani, mentre tutti continuano a guardare alla Culla dell’Occidente? C’è solo un modo per capirlo, mio caro web: osserva la Terra del Flamenco e lo Stivale e verifica se già si intravedono le loro ossa.
Medita web, medita…

lunedì 18 giugno 2012

L’ARTE PERIFERICA: intervista a Ivan Rocco Iannì


- di Saso Bellantone
Nato a Reggio Calabria, Ivan Rocco Iannì si dedica alla creazione artistica fin da giovane, utilizzando diversi tecniche e stili. Frequenta il Liceo Artistico a Reggio Calabria, con il quale partecipa al concorso artistico “La Grande Guerra”. Finiti gli studi, partecipa a un concorso d’arte organizzato da un’associazione reggina, intitolato “La donazione degli organi”. Attualmente, vive a Bagnara.

Come ti sei avvicinato all’arte?
Fin da bambino ho sempre avuto, più che una voglia artistica, una voglia di sperimentare. Quando andavo a scuola elementare si parlava di San Rocco ed io l’ho disegnato sul quaderno senza neanche guardarlo. Ricordo di averlo visto solo una volta a Cetraro e in quell’occasione dimostrai di avere una grande immaginazione e memoria. La maestra e i miei genitori sono rimasti stupefatti perché ricordavo tutti i particolari e mi hanno spinto a frequentare il Liceo artistico. Il Liceo più che un aiuto è stata una distrazione. Però grazie al Liceo ho avuto modo di imparare le tecniche, la modellazione, le strutture in gesso e ho avuto modo di appassionarmi sempre di più all’arte. In che senso il Liceo è stato una distrazione? Quando si pensa a un artista si pensa a un Leonardo o a un Michelangelo, a un qualcuno insomma che è abbastanza possente di immaginazione, di arte e via dicendo, e non a un ragazzo che con un palloncino pieno di pittura macchia un muro. Però dagli un nome a questo ragazzo e anche lui diventerà qualcuno. Questo scoraggia molti ragazzi che hanno molta qualità. Ma in alcuni casi lo fanno anche gli insegnanti. A un ragazzo che sa tirare una linea dritta gli si dice che è un artista, se invece la fa storta – e cioè molto più artistica di una linea dritta – allora gli si dice che non sa disegnare. In questo senso il Liceo è stato una distrazione. Per fortuna, però frequentandolo ho anche imparato qualcosa. Nel corso della crescita disegnavo quando mi veniva chiesto oppure quando avevo un’ispirazione talmente forte da istigarmi a farlo. Per esempio se vedevo una lumaca, pensandoci continuamente prendevo matita, penna e pittura e giocavo sull’idea della lumaca incontrata. Spesso, però, quello che mi frenava era il giudizio, la comprensione di quello che realizzavo. Allora preferivo andare a giocare con gli amici anziché restare a casa per creare. Tuttavia, non riuscivo a frenare il mio istinto di creare o meglio di fantasticare con le cose. Se per esempio andavo in spiaggia con gli amici, prendevo delle pietre e facevo un disegno sulla sabbia. Quindi, pur frenando la mia passione la esprimevo in una maniera diversa. Col tempo questa passione si è evoluta. È passata dal voler vedere al vedere per voler pensare. Cioè una volta finito un disegno, poi mi fermo a guardarlo, immagino altre cose dentro quel disegno e le metto dentro. In un certo senso non è solo uno sfogo mentale ma anche uno studio. Io riesco a dare un titolo a un disegno soltanto dopo averlo visto, non quando lo sto realizzando. Per esempio questo dipinto che abbiamo davanti rappresenta il passaggio dall’infanzia alla maturità. Sono partito disegnando un bambino poi prima di finirlo, dopo aver messo qualche sfumatura e ombreggiatura, ho aggiunto la figura della donna. Il bambino vede sott’acqua questa donna nuda e i suoi occhi non sono più dolcissimi occhi ma due pesci, i quali simboleggiano il passaggio dall’infanzia alla maturità, simboleggiato anche da una bolla dove ci sono due gambe aperte e avviene un’erezione, provocata appunto dal vedere una sirena sott’acqua. I due pesci pagliaccio simboleggiano invece l’infantilità. I pesci disturbano la sirena dal suo sonno, uno le mordicchia la coda l’altro gioca con lei. Poi c’è una grande maschera che rappresenta la fragilità che cade dal bambino, appunto, con la maturità. Quindi, una volta finita l’opera ricordo le sensazioni che avevo mentre la realizzavo e quest’ultime mi suggeriscono il senso dell’opera e il suo titolo.

Che cos’è l’arte?
Non giudico un’opera pittorica arte, la parola stessa arte vuol dire “fare qualcosa”. Dipingere, disegnare sono tecniche artistiche. Per me l’arte è fare o rifare qualcosa con quello che si ha disposizione o sotto mano. Per esempio, quando ero piccolo mi trovavo in Villa Comunale assieme a mia sorella, e lei si era accorta che prendendo dei semi e dei rametti avevo fatto un’ape. L’arte è la capacità di guardare un oggetto e vederne un altro, oppure di prendere un oggetto e di trasformarlo o di ripensarlo mostrando per suo tramite qualcos’altro, ricontestualizzarlo. Per esempio, prendere uno spremiagrumi e farlo diventare un centro tavola o una trottola. L’arte è la comunicazione che avviene esponendo qualcosa. È la traduzione di alcune sensazioni, di alcuni pensieri che inconsciamente si conoscono ma non si hanno ben chiari. Quindi è la comunicazione chiara di quelle che sono le cose astratte, i pensieri, le sensazioni, le immaginazioni. Un artista naturalmente ha chiaro che cosa vuole comunicare con la sua opera rispetto a un osservatore che la vede per la prima volta. Naturalmente un artista può preferire una tecnica rispetto a un’altra o più di una, un linguaggio rispetto a un altro o più di uno, ma quando fa arte comunica sempre qualcosa ad altri.

Cosa pensi riguardo al senso, allo scopo e agli usi dell’arte, sia a livello individuale sia sociale, nel mondo contemporaneo?
Ogni cosa, dunque anche l’arte, può essere osservata da diversi punti di vista. Ogni persona trovandosi a ricevere comunicazioni da opere d’arte prova sensazioni comuni a tutti, ma in un modo diverso. L’arte dovrebbe essere uguale per tutti: dovrebbe comunicare la stessa cosa a tutti in modo diverso, perché ognuno ha la sua esperienza, i suoi ricordi, i suoi pensieri e i suoi modi di percepire le cose. C’è chi usa l’arte per accomunare tutti su alcune sensazioni, pur provate in maniera diversa, c’è invece chi la usa per manipolare gli altri e le loro stesse sensazioni. Quindi, c’è chi la usa in maniera positiva e chi la usa in maniera negativa. Per esempio, nel markentig si usa l’arte in modo negativo. La pubblicità è manipolante. Per vendere una macchina, per esempio, si mette di fronte alla macchina una donna che si comporta in una precisa maniera per indurti, subliminalmente, ad acquistare la macchina. Ma la manipolazione avviene anche per mezzo di colori, forme, oggetti, tutto quello che può tornare utile per lanciare messaggi subliminali e indurre gli altri a comportarsi in un preciso modo anziché un altro. Io uso l’arte per comunicare l’arte stessa, non per lanciare messaggi subliminali o per manipolare la gente.

I Greci impiegavano il termine “poiein” per significare “creazione”. Poi questa parola, nel corso del tempo, si è trasformata di linguaggio in linguaggio, fino a diventare in italiano per esempio, la parola “poesia”. Quando un poeta comunica se stesso, cioè scrive una poesia, è un creatore di mondi, riproduce il mondo, crea nel senso pieno della parola. Puoi definire le tue opere “poesie”, opere d'arte, creazioni nel senso pieno del termine?
Le mie opere, se con creazione intendiamo qualcosa che nasce dal nulla, non sono creazioni. La creazione dal nulla non esiste. Ogni cosa nasce sempre da qualcos’altro. Ogni pensiero o fatto materiale è relativo, nasce da altro che ha istigato quella cosa. Se intendiamo creazione nel senso di modifica di qualcos’altro, allora le mie opere possono essere intese come delle creazioni. Dipende dalla prospettiva con cui si guarda o si rappresenta qualcosa o la si usa, per farla diventare qualcos’altro e manifestarsi come una creazione, cioè come un’opera d’arte. A scuola per esempio i professori ci mettevano sempre in posizione frontale rispetto a un vaso sul tavolo che dovevamo rappresentare. Io cambiavo prospettiva, mi spostavo finché, per esempio, al primo vaso non si accostava un secondo e tra i due non veniva fuori un volto. Per essere più precisi, quindi, con la mia arte non creo nulla, offro soltanto agli altri diverse prospettive con cui osservare pensieri, sensazioni, oggetti e quant’altro.

Perché fai arte? Perché senti l'esigenza di comunicare mediante l'arte?
Se nessuno mi avesse detto che esiste l’arte, la pittura, Leonardo, gli artisti e via dicendo, avrei continuato a disegnare, a raccogliere rametti al parco per poi produrre qualcosa e a fare tante altre cose. Sento l’esigenza di fare arte perché se non facessi niente è come se non esistessi. Ognuno di noi per poter dire di esistere deve fare qualcosa. Io sento l’esigenza di fare arte, di tradurre in arte quel che mi accade o mi passa per la testa ma anche quel che mi viene chiesto da altri. Come ho spiegato prima, nel momento in cui creo un dipinto per esempio, non mi pongo il problema di comunicare ma mi lascio andare nella creazione. Dopodiché, osservo l’opera e comincio a ritoccarla, ad aggiungere o a togliere degli elementi, ricordando le sensazioni che avevo mentre lo dipingevo e, quindi, a comunicare dei significati precisi con quell’opera. Quindi, la comunicazione è indipendente nel momento creativo. Certamente, chi vedrà immaginerà per forza qualcosa guardando una mia opera. A volte, mi capita di spiegare un mio dipinto a qualcuno e questi mi dice di ritrovare i significati appena spiegati. Come avviene leggendo un libro, e cioè che tutti usano le stesse parole ma comprendono in modo proprio il significato di quello che hanno appena letto, lo stesso avviene con l’arte. I colori, le forme, i soggetti sono uguali ma ognuno poi li comprende a modo proprio.

Che cosa racconti con la tua arte?
Le sensazioni, quello che penso in quel momento. È come una persona che vede una cascata o una spiaggia e comincia a pensare oppure quando torna a casa, dagli amici o dai parenti e ha il desiderio di raccontare quello che ha visto. Quindi io racconto pensieri o emozioni suscitati da quel che vedo realmente o in maniera astratta. Naturalmente li racconto in maniera inconscia altrimenti rischierei di somigliare a coloro che usano l’arte per manipolare gli altri.

Un artista può sentirsi tale senza i pubblici?
Sì. All’inizio per esempio non mostravo le mie opere per timore di quello che pensa la gente. Poi ho capito che occorre che gli altri vedano quello che fai. Magari, non mostri loro tutto. Qualcosa la tieni per te, chiusa nel cassetto. Naturalmente mi farebbe piacere che gli altri vedessero le mie opere ma non è il nome o il pubblico che ti rende un artista. Ovviamente se centinaia di persone passassero dritte davanti a un mia opera, mi dispiacerebbe. Se tra queste persone, invece, una si fermasse e restasse a guardare la mia opera, provando delle emozioni, mi farebbe molto piacere, e ciò mi incoraggerebbe nella mia arte.

Che cosa significa oggi vivere come un artista e vivere esclusivamente della propria arte? Quali sacrifici comporta accettare questo incarico, questa missione?
In un certo senso, l’artista è un messaggero, qualcuno che vuole dire delle cose, che si esprime e che riesce a far capire ad altri quello che vuol dire. In questo senso, Leonardo Da Vinci, per esempio, non era abbastanza artista. Aveva cioè lo spirito del messaggero ma produceva la sua arte in maniera tale da non farla capire alla sua società. È vero anche che la società in cui viveva gli tagliava le gambe in partenza, perché non voleva che disegnasse quel che lui voleva disegnare veramente. Come lui, anche oggi la società in un certo senso ti proibisce di esprimere liberamente la tua arte, innanzitutto sul piano economico. Le tele, i colori, i pennelli costano tanto. Per vendere un quadro devi pagare delle tasse e via dicendo. Insomma ci sono tante di quelle sconvenienze economiche che, se ci si sofferma un attimo a considerarle, si decide di non fare l’artista. La società vuole che tutti la pensino nello stesso modo, non vuole pensiero libero né arte libera. Di conseguenza in una società del genere non si può vivere della propria arte, non si può vivere proprio, si può soltanto sopravvivere. Per questo motivo, finché lavoravo cercavo di risparmiare per poter acquistare tele, pennelli e quant’altro. Oggi che sto cercando un lavoro devo accontentarmi di quello che ho. È La società che ti spinge a fare tanti sacrifici ma non ti aiuta mai, specialmente se sei un artista.

Cosa ti spinge a restare nel sud?
La società. Quando lavoro al nord o all’estero, ogni tanto torno qui a trovare i miei parenti. Quando il lavoro non ce l’ho e non riesco a trovarlo, naturalmente, torno qui, perché non ho altre persone a cui appoggiarmi se non la mia famiglia. Se trovassi lavoro qui e mi sentissi a mio agio con la società, cioè se quest’ultima mi permettesse di esprimermi al massimo, allora resterei. Non trovando il lavoro qua, dunque non potendo vivere liberamente e non potendo esprimermi in toto, preferirei spostarmi là dove c’è il lavoro, e cioè dove posso essere indipendente e posso esprimermi artisticamente in maniera completa.

Puoi definirti un sognatore? Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Se per sognatore s’intende chi ha soltanto sogni nel cassetto, allora non definisco tale, vado più per istinto che per sogni. Se invece s’intende chi immagina molto, allora sì. Naturalmente come tutti ho un sogno nel cassetto ma nel mio caso è quello di un’indipendenza economica costante, che mi consenta di portare avanti la mia arte.

Chi vuole seguirti e saperne un po’ di più sulla tua arte, dove può rivolgersi?
rccivan@gmail.com – cell. 349/4442422 – blog: caffeecornetto.blogspot.com

Alcune parole per i giovanissimi.
Fate tutto quello che volete, pensate, giocate, divertitevi più che potete. Lasciate stare tutto quello che vi dicono gli altri e se dovete disobbedire fatelo anche, però ragionate sempre su quello che fate, non agite mai senza pensare. Seguite le vostre doti naturali e non lasciatevi scoraggiare da nessuno. Avete la vita innanzi, vivetela tutta seguendo le vostre doti, il vostro pensiero e la vostra libertà. Siate felici.

sabato 2 giugno 2012

OLTREWEB Quel 2 e 3 giugno ’46, oggi…


- di Saso Bellantone
Buon meriggio web,
il 2 e 3 giugno di 66 anni fa venivi chiamato alle urne per decidere quale forma di governo darti tra la monarchia e la repubblica. Scegliesti la repubblica, segnando così la fine del regno di Savoia, del fascismo e di un’immensa epoca continuamente belligerante, causata dallo sfrenato desiderio del dominio dell’urbe conosciuta da parte di Nani e Sovrani, culminata nei grandi e tragici conflitti mondiali. Scegliendo la repubblica ebbe inizio la rivoluzione. Dichiarasti che né monarchi né dittatori potevano decidere per te, sulla base di fittizie origini divino-nobiliari o di presunte superiorità razziali. Non più. Adesso, saresti stato tu a determinare il bene e il male esprimendoti direttamente per mezzo di elezioni, di partiti, di referendum, di rappresentanti, di deputati, senatori, presidenti e amministratori vari, di una costituzione, di statuti, di ordinamenti deontologicamente fissati e perfezionati di volta in volta al sorgere di nuove fattispecie e casistiche prima impensate.
Adesso, avresti potuto vivere libero, responsabilmente, civilmente, nell’uguaglianza e nella solidarietà con i tuoi simili.
E tuttavia, a causa di complesse ragioni storico-etno-geografiche, non ti rendesti conto della rivoluzione appena inaugurata. Superata la battuta d’arresto di ipotetici, o veritieri, chi lo saprà mai, brogli elettorali, ti lasciasti sedurre da diavoli travestiti da angeli, seguaci di vecchie lobbies infiltrati nella politica, nella giustizia, nell’economia, nelle istituzioni, ovunque, e ti lasciasti privare, con evangeli multimediali e apparentemente abbaglianti, del diritto di decidere personalmente e direttamente, in ogni singola situazione, questione o fenomeno riguardante tutti gli stivaliani, qual è il destino dello Stivale, dunque, quale è il tuo.
Guardandoti attorno, mio caro web, non vedi altro che obblighi, tasse, oligarchia, crisi economica, calamità naturali, fame, disoccupazione, disperazione, disservizi, disinformazione, debiti, scandali, sprechi, evasione, illegalità, criminalità, suicidi, omicidi, abusi, rapine, attentati e frodi, vedi un grande Stivale d’argilla disgregarsi giorno dopo giorno e ti lasci convincere, subliminalmente, di lasciarlo decomporre, sfacendoti pensare, subliminalmente, che  è la cosa migliore per tutti. Ti insinuano perfino l’idea di non commemorare la Festa della Repubblica Stivaliana, provocando il tuo rimorso e la tua compassione con le immagini delle tragedie che recentemente hanno coinvolto diversi co-stivaliani. Perché non ricordare il 2 e 3 giugno ‘46? Perché dimenticare il giorno in cui 66 anni fa conquistasti i diritti, le libertà, la democrazia, con l’attenuante delle tragedie che i co-stivaliani stanno vivendo? Com’è possibile mischiare le due cose, vale a dire un traguardo politico di tutti gli stivaliani e le tragedie sociali attualmente in atto?
Chi ti governa, mio caro web, e tesse i fili di tutti gli altri poteri Stivalici, potrebbe dimostrarsi solidale nei confronti degli stivaliani colpiti da tali tragedie, impiegando parte della propria parcella e del proprio tempo per aiutarli nel modo migliore possibile e, a un tempo, potrebbe avvalorare l’importanza di ricordare il 2 e 3 giugno ’46. Invece, tiene moneta e tempo per sé e, con la scusante di quelle tragedie, si lava le mani sia delle tragedie stesse sia della Festa della Repubblica. E intanto, mentre tu, mio caro web, ti convinci che non ha senso ricordare il 2 e 3 giugno ’46, innanzi a tutte le tragedie che vivi da diversi anni, per ultime quelle telluriche, chi ti governa e dirige i fili dei poteri usa la tua convinzione per accelerare il processo di dissoluzione dello Stivale per annetterlo, regalandolo in un pacco ben confezionato, al Grande Leviatano del Nord. Dissoluzione dello Stivale vuol dire svanimento dei diritti, delle libertà, della democrazia conquistati soltanto 66 anni fa.
Sei confuso, mio caro web, ti lasci intrappolare dalla falsa compassione, dalle promesse ingannatrici e dagli evangeli mediatici dei figli delle lobbies che, curando soltanto i propri interessi, si assicurano nuovi ruoli, posti e forme di potere all’interno del Titanico Mostro Settentrionale totalitario, con la chiara intenzione di metterti il cappio il collo e la catene.
Quando giunge il momento in cui ti rifiuti, mio caro web, o, quantomeno, tentenni nel ricordare il 2 e 3 giugno ’46, e pensi che forse è davvero l’ora che lo Stivale si frantumi una volta per tutte, allora vuol dire che hai già perso quello che 66 anni fa hai conquistato, diritti, libertà, democrazia, e che sei già divenuto uno schiavo del Grande Leviatano del Nord, ma non ancora non ne sei cosciente.
È necessario, mio caro web, solidarizzare impotente, pigro e ininfluente nei confronti degli stivaliani colpiti da ogni forma di tragedia e per questo motivo sia dimenticare il 2 e 3 giugno ’46 sia desiderare lo svanimento dello Stivale, per sperare in una soluzione di tutti i tuoi attuali problemi concreti e intellettuali? Oppure occorre farsi consapevolmente, laboriosamente ed efficacemente carico di tutte le tragedie che gli stivaliani attualmente vivono e dar vita a una rinnovata repubblica, facendo ancora una volta quel che il 2 e 3 ’46 fecero i tuoi avi, ossia spodestare chi sotto mentite spoglie, rampollo delle antiche lobbies, ti governa oggigiorno come i monarchi e i dittatori di ieri?
Medita web, medita…