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giovedì 9 dicembre 2010

L'ALBERO DELLA CUCCAGNA

- di Saso Bellantone
In questi giorni se ne sentono di tutti i colori: il governo non ha la maggioranza; il governo ha fallito la sua missione; bisogna andare al voto; occorre creare un governo tecnico per attuare le riforme; “l’Italia ha bisogno di me”; “Non mollerò mai”; “Siamo pronti per governare”; terzo polo, polo nord, polaretto, Pollicino, polenta… per farla breve, chiacchiere di svariata natura tornano alla moda allo scopo di confondere le idee degli italiani e tenerli occupati con altro, mentre tutti i boscaioli e i cavalieri dell’UDC, FLI, PDL, PD, PIPI, P8, COLPITO E AFFONDATO, insomma tutti i parlamentari si preparano per tornare al giardino dell’Eden, chi con asce e motoseghe, chi con scudo e lancia, e decidere le sorti del governo. La preparazione psicologica di questi taglialegna e paladini per stabilire il destino dell’albero della conoscenza del bene e del male è così seria che è paragonabile a quella di un fachiro che è allergico agli spilli del letto sul quale dovrà sdraiarsi o a quella di un asceta che, allontanatosi da ogni fonte di peccato della società industrializzata per raggiungere la purezza spirituale, contempla i misteri della natura e del Creatore studiando a fondo un giornale erotico.
Ricorrendo all’arte divinatoria del sospetto generato da decenni di governi fatti sempre con le solite teste, gli italiani cominciano a scorgere visioni premonitrici di quello che accadrà il 14 dicembre (fortunatamente non è il 25 dicembre, altrimenti queste vedute avrebbero anche assunto un significato mistico-religioso). Tra le quali, la seguente.
Al centro del paradiso terrestre-Italia, s’intravede solitaria la pianta con i frutti proibiti che più di una volta i parlamentari hanno addentato: il potere. A un certo punto, molti guerrieri valorosi, difensori del monopolio finora gestito, cominciano a disporsi innanzi all’albero della conoscenza del bene e del male con fare deciso. Da lontano, invece, si scorgono arrivare gli spaccalegna con denti aguzzi e la bava alla bocca, lisciando l’ascia e oleando la motosega, i quali non vedono l’ora di gustare nuovamente il frutto vietato e tenerselo tutto per sé. È il silenzio. I due schieramenti si osservano immobili con gli stessi avidi sguardi. Tutto è fermo. Poi le lance cominciano a percuotere gli scudi, una dopo l’altra, finché riproducono all’unisono il ritmo del loro cuore impavido che batte all’impazzata. Di pronta risposta le lame delle motoseghe iniziano a girare e il rumore del motore di ognuna riverbera nell’atmosfera la stessa sete vampira che corrode il loro spirito. È un frastuono quasi apocalittico. Tutto incomincia a vibrare. Fino al momento in cui una mela cade dall’albero e, rotolando, finisce proprio in mezzo alle due divisioni. Quando questa si ferma, le prime linee delle rispettive armate partono all’attacco, lanciando grida battagliere. Ma a un passo dal nemico, avviene quel che era prevedibile: tutte le lance e tutte le motoseghe si fermano. Nessuno riesce a colpire. Tutti iniziano a tremare e lasciano cadere in terra le armi. Tutti i cori da battaglia si deprimono per lasciare posto al suono di un pianto che si diffonde in ogni dove. Taglialegna e Paladini si abbracciano, si stringono forte l’un l’altro, in lacrime, decidendo di smettere di guerreggiarsi. Poco dopo, si siedono tutti quanti, amici come prima, intorno all’albero della conoscenza del bene e del male e mangiano insieme il frutto proibito, promettendosi la pace, per un’altra legislatura.
“In fondo – dice uno – che cos’è l’albero della conoscenza se non un albero della cuccagna?! Un’Eldorato tutta per noi, da spartirci noi e soltanto noi?!”.
“Hai ragione! – replica un altro – Anzi, per commemorare questo momento, perché non sacrifichiamo qualche migliaio di schiavi, cioè di lavoratori, disoccupati e inoccupati?”.
“Sìììììììì!” – urlano tutti, invasati dal sapore del potere.
E nel bunga bunga generale, di destra di sinistra e di centro, i parlamentari si riconobbero come un’unica tribù, costituita da un’unica casta sacerdotale devota al dio Potere, in guerra contro il resto degli italiani.

Morale della favola: l’avidità di potere della classe politica dirigente, trova sempre il modo per fare miracoli a proprio esclusivo vantaggio. Il 14 dicembre, non cambierà nulla per gli italiani.

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