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venerdì 30 novembre 2012

DISsud: le foto 8

- di Stefania Guglielmo
Veduta, Passo del Diavolo (Sant'Elia).

lunedì 26 novembre 2012

Attualità di ieri


- di Saso Bellantone
"La voce del tempo andato lievemente riecheggia dagli abissi della memoria, per tutti. Pochi la ascoltano e pochissimi capiscono che le sue parole non sono meri ricordi. Sono, invece, gli elementi fondanti il tempo presente e la superficie della coscienza".

giovedì 22 novembre 2012

SCILLA di Oreste Kessel Pace



- di Saso Bellantone
Che senso ha la bellezza o il lavoro o finanche l'immortalità, se non si ha l'amore? È come un continuo susseguirsi di attimi senza tempo, monocromatici, insipidi, perennemente uguali a se medesimi. La vita perde il suo fascino, la sua ebbrezza, scadendo in una grigia ripetizione il cui fine è la reiterazione stessa, senza sosta né possibilità del nuovo. Si diviene schiavi di un'assidua nullafacenza o anche di una perenne operatività, nei quali ogni gesto, percezione o parola perde il gusto dell'accadere e la ragione sprofonda nelle inaccessibili dimore dell'oblio.
L'eterno susseguirsi dell'insensato ha però le gambe corte, perché il fato, o la divinità, adora giocare con la vita umana, evocando i più semplici sortilegi e muovendo il demone più potente di tutti: l'amore. Ecco che, allora, la vita torna a mostrare il suo volto più seducente ed euforico, e il tempo fa la sua comparsa per misurare l'esordio di ogni istante, nel quale ogni avvenimento, sensazione o discorso, tessuti dai fili invisibili della causalità, acquista una sola traiettoria verso un'unica meta: l'amata/o.
Nel disperato tentativo di far breccia nel cuore di quest'ultima/o, la ragione s'inabissa doppiamente nella dimenticanza e diviene folle, compiendo numerosi prodigi e superando qualsiasi ostacolo. Ma il destino, o il dio, come assaporando il frutto più prelibato della pianta dell'esistenza, ha già stabilito l'epilogo. Deviando gli ultimi passi che portano alla felicità, condanna gli esseri umani a un dolore, a un terrore e a un'angoscia tali che nemmeno la morte è in grado di curare, perché l'amore resta soltanto un sogno e la propria mostruosità diviene la solitaria realtà con la quale si è condannati a vivere in eterno.
In Scilla (Città del sole Edizioni), Oreste Kessel Pace rispolvera una delle storie d'amore più avvincenti e più tragiche della letteratura mondiale, quella di Scilla e Glauco, proponendo al lettore di riflettere sull'insensatezza del procedere umano, continuamente orientato alla ricerca dell'estetismo perfetto, della ricchezza e della realizzazione del proprio desiderio della potenza (l'odierna immortalità). Senza l'amore, l'essere umano vive continuamente in una triste ciclicità fine a se stessa. Con l'amore, invece, sperimenta degli attimi eterni che danno significato a un'intera esistenza. Non è detto, tuttavia, che tali istanti conducano a felicità certa. A volte, il vortice della società ci strappa quel pizzico di umanità restante e ci trasforma in creature talmente bestiali e orrende da allontanare da noi l'amata/o. È inutile affannarsi nella speranza di conquistarla/o. Da un lato, perché con la nostra irreversibile metamorfosi, l'abbiamo già perduta/o per sempre; dall'altro lato, perché con la nostra ostinazione, rischieremmo di trasformare in un mostro persino chi ha infranto il nostro cuore.
L'amore, in definitiva, resta la perla più preziosa di un'intera esistenza. Anche se dovesse finire male e dovesse restare soltanto un ricordo, questo è quanto trasmette Oreste Kessel Pace con il suo Scilla, varrebbe la pena di essere vissuto.

mercoledì 21 novembre 2012

lunedì 19 novembre 2012

Polvere d'oro


- di Nadia Caruso
Brancola.
L’uomo brancola, incerto, striscia per le strade, rifiuto del mondo.
Non si erge, non vive... Strattonandosi sulle esuli braccia, rincorre una vita che il più delle volte non è altro che conservazione, scarnificazione della realtà.
Teme il mondo, fugge la luce quanto il buio, terrorizzato dall’idea di divenire preda di uno e dell’altro, esaltandosi o serbandosi rancore, riservando agli altri quel briciolo di umanità che dovrebbe smettere di negare a se stesso, vittima incauta della propria disumana crudeltà.
L’uomo brancola e, così facendo, si chiude gli occhi, condannandosi alla pura e semplice sopravvivenza.
Intrappola la visione di sé, degli altri, smarrisce pian piano i confini di quel mondo che, fumo in dissoluzione, gli sfugge tra le dita, come i granelli di una sabbia troppo sottile da trattenere volontariamente.
Ma la sabbia è fastidiosa, si sente in bocca, sulla pelle, negli occhi arrossati di pianto, tra i denti digrignati da falsi sorrisi, sulle mani sporche del sangue di ogni ideale massacrato dolcemente ed ha il retrogusto agrodolce della contaminazione.
La sabbia sinuosa subdolamente s’infila tra le crepe dello specchio, che riflette nient’altro che una vanità incrinata. Ogni granello è uno sguardo malato, osserva la direzione del divenire dell’uomo, il fiorire di ogni sua idea, di ogni esperienza che lo rende uno ed unico e, attratto da quella unicità, lo spinge a deviare il proprio percorso, in favore di quella direzione che è anche il vettore guida dell’esistenza umana, la necessità di essere uno al pari dell’altro, sempre più simili, sempre più uguali.
I confini svaniscono, svanisce ogni linea di demarcazione e omologandosi alla morale comune l’uomo non percepisce più le differenze né il dolore né la gioia, semplicemente continua ad andare avanti, sbattendo contro quella figura che imperterrita gli va incontro e che ormai stenta a riconoscere come propria, nonostante sia confinata nella cornice lucida di uno specchio.
Continua a camminare, quasi per inerzia, confondendo perfino il rumore dei propri passi, ovattati dalle schegge di quel vetro nel quale si è ormai perso ogni riflesso, confuso in mille altri simili e speculari.
La percezione muta, senza che se ne abbia il minimo sentore, e lo sdegno per ciò che una volta era anormale si smussa. La volontà levigata e corrosa non si oppone più, preda e schiava dell’abitudine.
Scivola, viscida e appiccicosa, l’accettazione, rifugiandosi tra le pagine buie dell’animo umano.
Titaniche lotte vengono intraprese da chi, ingenuo superstite, tenta di opporsi a quel mare di sabbia per non restarne affascinato e poi sommerso, mentre già le orecchie risuonano di melodiose carezze, trappole ipnotiche delle sirene del nostro tempo.
Oasi del pianto, colme di lacrime mai versate, le macerie dei corpi si riversano su spiagge di morbida sabbia, briciole di convenzione sociale che assorbono personalità e precisione, fagocitando tutto ciò che la mente rappresentava in tempi passati, nella sola attesa di tramutare in aridità quei relitti di carne ormai a un passo dall’oblio.
E allora si aprono gli occhi, nonostante la sabbia, ci si lava la bocca, lasciando scivolare via insieme alla sabbia le parole non sentite e i gesti di convenienza. Si scrolla di dosso quella sabbia che è dannatamente appiccicata ad ogni angolo, con le mani, le braccia e poi le labbra le unghie e i denti, tentando di fuggire quell’imposizione di unità che brilla ancora sulla superficie deturpata dello specchio rotto.
Ma ogni sguardo è ormai spezzato, ogni gemito soffocato, e risulta enormemente difficile anche solo tentare di proferire parola dal momento che tutto, respiro compreso, è inesorabilmente soffocato dalla sabbia.
E tu, sconsiderato spettatore, sei cambiato.
Scrollandoti di dosso tutta la sabbia inizi ad assottigliarti, apprendendo così la realtà dalla quale vorresti fuggire. Trovi il punto fermo all’incompletezza di quella frase di cui ti riscopri ombra.
Il tuo corpo, il tuo volto, il tuo cuore si sbriciolano in pezzi sempre più piccoli, svelandoti orrore e disperazione in una pioggia dorata, frutto delle contaminazione delle quali ti stai liberando, ma anche dei frammenti di te che, per esse, hai sacrificato.
Tu, omuncolo insignificante, ti sei venduto al miglior offerente ed ora, tra nugoli di polvere splendente, ti riveli per ciò che sei: un lurido piccolo granello di sabbia dorata.

sabato 17 novembre 2012

Dalla misura all'essenza


- di Saso Bellantone
"Papà - disse l'alberello - voglio diventare al più presto un albero grande come te".
"Figlio mio - rispose l'altro - non aver fretta nel diventare grande. Non importa quanto si è grandi, se e in quanto tempo lo si diviene. Quel che conta, è assicurarsi, attimo dopo attimo, di essere già un albero anziché qualcos'altro".

venerdì 16 novembre 2012

Serendipità

- di Saso Bellantone
"Che senso ha la continua ricerca di sé quando, come per incanto, ci si ritrova innanzi alla bellezza di un attimo, che ha atteso eternamente il nostro passaggio?".

giovedì 15 novembre 2012

mercoledì 14 novembre 2012

Di foglia in gemma


- di Saso Bellantone
"Quando è la sua fine, l'essere umano cade dall'albero della vita come foglia secca ma, forse, proprio in quel momento, rinasce come gemma appartenente all'albero della conoscenza".

martedì 13 novembre 2012

giovedì 8 novembre 2012

IL MAGO DI OZ di Lyman Frank Baum



- di Saso Bellantone.
Qual è il senso della vita? La vita è quel fenomeno all'interno del quale, come catapultati improvvisamente da un luogo senza origine alcuna, ci si ritrova malgrado sé. Quando si è giovanissimi non si ha affatto coscienza dell'essere, appunto, in vita. Ma ad un tratto, un brivido ci percorre la schiena o una strana scintilla accende la miccia della nostra attenzione et voila, ci accorgiamo di “esserci”. Questo avvenimento, sui generis per ognuno di noi, dura però per ciascuno pochissimi istanti. Non appena si inizia ad avere coscienza della propria esistenza, ecco che subito, come coinvolti in un vortice che ci strappa via al precedente stato d'inconsapevolezza, ci si ritrova già a vivere, gioco di parole, la vita.
Così comincia la sfida della propria esistenza, con la comprensione cioè di essere già in corsa e di non avere tempo per meditare – allo scopo di conoscerlo – sull'inizio che si è persi, perché la vita incalza ad ogni istante e in ognuno di essi occorre perseverare nella riconquista, ogni volta, del pensiero, dell'amore e del coraggio necessari per proseguire il proprio viaggio. In questo cammino, certamente, s'incontrano tanti di quegli ostacoli e imprevisti che ci distolgono dal nostro sentiero o ci fanno sbagliare direzione, ci rattristano o ci fanno perdere la speranza, ci sconvolgono o ci mettono paura a tal punto da farci arrendere. Ma nel percorso s'incontrano anche, per fortuna, quei veri amici e compagni con l'aiuto dei quali si riacquista la tenacia di proseguire nella nostra direzione e puntare dritti alla meta.
Con Il mago di Oz, Lyman Frank Baum propone a ogni lettore, sia giovane sia adulto, di sondare la propria vita per mezzo dell'avventura di Doroty e di capire che, “in fondo”, non ha importanza sapere quando e dove è cominciato tutto né diventare le persone più sapienti, autoritarie o potenti del mondo. Occorre soltanto vivere il tempo che ci è concesso, ricordandosi sempre di tornare a casa dai propri cari.