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martedì 5 aprile 2011

Dentro il capitalismo: l'ideologia del potere

- di Saso Bellantone
Il capitalismo è l'intangibile uniforme che domina la nostra era. È un modo di pensare la cui vocazione, al pari di ogni altra ideologia, è totalitaria. Il capitalismo mira a estendere il proprio spazio vitale in modo planetario. Tale ideologia consiste nella riduzione della vita in generale in merce. La merce è ciò che può essere prezzato, il cui valore cioè è stabilito in termini economici. L'economicità della merce costituisce il carattere instabile della merce stessa. Quest'ultima non vuole star ferma, vuole muoversi, vuole circolare di mano in mano: a tal fine, ha bisogno di essere scambiata con altra merce “di pari valore economico”. La mercificazione generale della vita, in questo senso, è anche una economizzazione di essa. Tutto, in quanto è mercificato, acquisisce un valore economico. L'instabilità intrinseca di ciò è merce, comporta il movimento della merce stessa, la sua volontà di circolare. Tale circolazione avviene secondo un doppio movimento focalizzabile mediante l'idea dello scambio: si scambia la merce da un lato, per accumulare, tesaurizzare, ammassare altra merce; dall'altro lato, per investire, impiegare, usare la merce appena ottenuta per accumulare altra merce ancora, e così via. Si genera in questo modo una circolazione generale delle merci, che coincide con una instabilizzazione generale della vita.
Tale instabilizzazione/mercificazione totale della vita si manifesta mediante il gioco dello scambio economico operato dagli esseri umani. Lo scambio, come per esempio quello di doni, è una pratica che le civiltà umane hanno svolto nel corso della propria storia per svariate ragioni: per sopravvivere, per acquisire maggiore/minore autorità comunitaria, sociale, magico-cultuale, per piacere e via dicendo. Ma quando si è cominciato a scambiarsi della merce, vale a dire ciò che possiede un valore economico e che è ottenibile mediante il lavoro, specie quello salariato, la pratica dello scambio ha acquisito un significato diverso, nuovo.
Il lavoro, quello salariato, è quella prassi con la quale si ottiene una merce scambiabile con altra: il denaro. Quest'ultimo è il principale diffusore di un'illusione di massa: l'idea cioè che nel capitalismo si è tutti sullo stesso piano. Non è così. Malgrado tutti lavorino, non tutti fanno lo stesso lavoro, non tutti sviluppano lo stesso salario, vale a dire una precisa quantità di merce (il denaro) pari al lavoro svolto in un determinato periodo. Il lavoro salariato stabilisce già delle differenze sociali, ma la vera diversificazione tra i lavoratori/produttori di merce (denaro) si evidenzia nel gioco dello scambio economico dove il salario si trasforma nel capitale, ossia in merce che può essere scambiata con altra. Lo scambio del capitale, della merce avviene sì secondo la logica dell'accumulare e dell'investire, ma questa pratica si svolge, oltre che per motivi voluttuari, addizionali e accessori, per un'altra ragione in particolare: per la sopravvivenza. È questo il significato dello scambio quando diviene “economico”, quando cioè ci si scambia della merce. Il capitale che si possiede stabilisce chi è in grado di sopravvivere, chi no. La sopravvivenza dipende dalla capacità singolare di gestire il rapporto consumo/investimento della quantità di capitale che si possiede.
Nel suo passare di mano in mano, infatti, la merce si consuma, si logora, si degrada fino a svanire o a non essere più scambiabile. Inoltre, l'essere umano è costretto a consumare alcuni tipi di merce per la propria sussistenza ed è obbligato a sostituire quella appena consumata per accumularne dell'altra da consumare in seguito per la stessa ragione. Per questo scopo, deve lavorare, deve ottenere un nuovo salario da trasformare in capitale utile per lo scambio, con il quale procurarsi la merce necessaria per la propria sussistenza. Ed è qui che trapelano le differenze.
Quanto più si capitalizza tanto più ci si può appropriare della merce da consumare per la propria sussistenza, viceversa, meno si capitalizza meno lo si è capaci. Chi capitalizza di più (macro-capitalizzatore), però, non investe tutto il capitale in questo modo ma soltanto una parte, investendo quella restante per capitalizzare (prima o poi) altra merce ancora da investire nuovamente in seguito. Procedendo in questa maniera, egli duplica, triplica, moltiplica all'infinito il capitale iniziale, recuperando la merce impiegata di volta in volta per la propria sussistenza (o per soddisfare la propria voluttà). Ciò avviene anche perché egli possiede un potere che chi capitalizza di meno non ha: quello di decidere il valore economico della merce.
Chi, diversamente da questi, possiede sempre meno capitale (micro-capitalizzatore), ne consuma una parte sempre maggiore per la propria sussistenza, sottraendola a quella che potrebbe investire per recuperare il capitale iniziale e la merce consumata per la propria sussistenza (oltre che, anche lui, per soddisfare la propria voluttà). Ciò avviene anche perché i macro-capitalizzatori aumentano progressivamente il valore economico delle merci utili per la sussistenza (di tutti). Quando il consumo è superiore al capitale che possiede, per sopravvivere, il micro-capitalizzatore è costretto o a lavorare di più o a indebitarsi con i macro-capitalizzatori (i creditori) chiedendo loro un prestito di capitale, di merce. Che cosa accade a questo punto? Pur continuando a lavorare, il debitore si trova in una nuova condizione: non produce più salario, merce, capitale che gli appartiene ma che appartiene ai creditori. Finché non estinguerà il proprio debito, egli sarà merce stessa dei creditori e se non riuscirà mai a estinguerlo, si trasformerà in uno schiavo, mentre i creditori diventeranno i suoi signori. In questo senso, è evidente che se il significato nuovo dello scambio, quando diviene “economico”, è la sopravvivenza, il suo scopo, invece, è la creazione di una nuova separazione di classe tra signori e schiavi, vale a dire tra chi possiede sempre più capitale e chi ne possiede sempre meno, fino a non averne del tutto.
Con l'avvento della globalizzazione, la sopravvivenza, che dipende dalla capacità singolare di gestire il rapporto consumo/investimento della quantità di capitale che si possiede, riguarda anche i singoli Stati. Ci sono Stati che producono maggiore capitale e Stati che ne producono meno, Stati che diventano creditori e Stati che diventano debitori. Se gli Stati debitori non riusciranno mai a estinguere il proprio debito nei confronti dei propri creditori, è chiaro che si trasformeranno in Stati-schiavi mentre quelli creditori diventeranno i loro Stati-signori. In questa prospettiva, il capitalismo si evidenzia come quell'ideologia bramosa di creare una nuova differenza di classe sul piano planetario, tra signori e schiavi, tra creditori e debitori, tra potenti e impotenti. Ma il gioco dello scambio economico, quando assume delle proporzioni globali, è tutt'altro che infinito. Si giungerà a un punto nel quale pochissimi diverranno i signori incontrastati di tutta la merce in circolazione, materiale e immateriale, mentre tutti gli altri ne diverranno gli schiavi. Divenendo i dominatori della totalità delle merci in circolo, tali pochissimi signori otterranno il potere di decidere il destino di tutto ciò che è merce. Dal momento che la vita in generale, non soltanto il pianeta, è ridotta a merce, allora diventare i dominatori della merce significa divenire i signori della vita, coloro cioè che hanno il potere di stabilirne il destino a proprio piacimento.
Quando saranno pochissimi a contendersi questi privilegi, il gioco dello scambio non avrà più alcun valore tra loro, perché l'unica cosa restante che sarà possibile scambiare sarà il potere e quest'ultimo non è una merce scambiabile come le altre. Il potere vuol essere esercitato, vuole dispiegarsi, vuole “potere” qualsiasi cosa stabilisca. Se uno di questi potenti, o tutti, deciderà di diventare l'unico signore della vita e di creare uno Stato mondiale dove egli stesso è l'origine della legge, dell'autorità, dove egli stesso è dio, è evidente, in questa prospettiva, che c'è da attendersi in futuro uno scenario apocalittico, tormentato da nuovi conflitti mondiali. Ma questo futuro, è poi così lontano?

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