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martedì 19 aprile 2011

Dalle antiche civiltà alla civiltà planetaria: la questione della globalizzazione

- di Saso Bellantone
La storia umana può essere interpretata come il racconto di una tragedia, vale a dire della progressiva nascita e scomparsa di numerose civiltà. Sumeri, egizi, babilonesi, ittiti, fenici, celti, vichinghi, islamici, indù, tibetani, mongoli, greci, romani, inca, aztechi, maya, khmer – sono soltanto alcuni nomi delle civiltà svanite, ognuna delle quali ha sviluppato e condiviso storicamente propri linguaggi, leggi, ordinamenti, culti, miti, saperi, arti, tecniche, usi, costumi, tradizioni, insomma una propria cultura. La cultura è l'interpretazione della vita che ha una civiltà, scaturente dall'insieme degli elementi che la costituiscono. È più della somma delle sue parti. In questo senso, ogni civiltà è una sola cultura e, viceversa, ogni cultura è una sola civiltà. La morte di una civiltà coincide con la dissoluzione di una cultura. È la fine di coloro che hanno condiviso, convissuto, creato e sviluppato quella cultura, quell'interpretazione della vita, quell'insieme di elementi unici e irripetibili: questa è la tragicità della vicenda umana.
Una civiltà sorge, storicamente, in due modi: nel passaggio dal periodo selvaggio a quello tribale, quando gli uomini-animali – cioè coloro che hanno ormai sviluppato una comprensione di sé, degli altri e dell'ambiente circostante, diversa da quella degli altri animali – iniziano a consolidare quell'insieme di fattori che già condividevano e convivevano – che diventeranno poi una cultura – per organizzarsi in comunità o tribù; nel periodo civile, a causa dello smantellamento delle precedenti civiltà (i sopravvissuti, fondendosi in un unico gruppo, ne formando una nuova). Una volta costituitasi mediante il consolidamento della propria cultura, ogni civiltà comincia a considerarsi eterna e tuttavia, a posteriori, si dimostra transitoria, passeggera, mortale. Dal momento che è l'insieme degli individui che la costituiscono, qualsiasi civiltà vive storicamente per mezzo dei suoi componenti e, proprio per questo motivo, muore. Il grado di sopravvivenza di ogni civiltà dipende dalla capacità di sopravvivenza dei suoi membri, ma quest'ultima può essere a sua volta condizionata da uno o da tutti i seguenti fattori: dalle situazioni climatico-ambientali nelle quali si vive; dalla cultura sviluppata e dalla capacità di mantenerla e aggiornarla per risolvere problemi di varia natura; dall'incontro con altre civiltà. Una civiltà può estinguersi a causa di una carestia, di un'epidemia, di una catastrofe naturale (terremoti, tzunami, eruzioni vulcaniche, glaciazioni, meteoriti ecc.), di un clima troppo gelido o torrido, a causa di scelte politiche, agricole, alimentari sbagliate, ma può anche sopravvivere a tutto questo. Tuttavia, inevitabilmente, così come sorge, alla fine, svanisce.
La ragione principale della scomparsa di una civiltà consiste nell'impronta culturale che si è data, la quale può manifestarsi in due modi: pacifica (o statica), quando stabilisce un'armonia con la natura e impone perciò di vivere entro precisi limiti, territoriali e non (si pensi per esempio alla civiltà tibetana); aggressiva (o dinamica), quando vuole sopraffare la natura e impone di oltrepassare i propri limiti, territoriali e non, finché non coincidano con l'intero mondo conosciuto (si pensi per esempio alla civiltà romana). L'impronta culturale che una civiltà si dà ne stabilisce il destino, specialmente quando quest'ultima ne incontra delle altre. Due civiltà pacifiche possono giungere a una pacifica convivenza; una pacifica e una aggressiva difficilmente; due civiltà aggressive mai. La storia umana è il racconto della progressiva nascita e scomparsa delle civiltà, causato dall'incontro/scontro con altri. È una vicenda nella quale le civiltà aggressive hanno cancellato quelle pacifiche con l'uso della forza, delle armi, con le battaglie e le guerre, allo scopo di estendere la propria cultura su scala planetaria. Anche se più lentamente delle altre, nel corso del tempo persino le civiltà aggressive, alla fine, sono svanite, lasciando oggigiorno il totale vuoto di civiltà che caratterizza la nostra era nichilistica.
Il vuoto causato dal progressivo declino delle civiltà, paradossalmente, non consuma il bouquet di possibilità di organizzarsi in questo modo. Gli individui possono ancora creare, sviluppare, condividere e convivere una medesima cultura, generando in questo modo una nuova civiltà. Questa possibilità, però, non è più operabile da gruppi di individui diversi e separati dagli altri ma è impiegabile da tutti gli individui esistenti, contenuti in un unico grande insieme: il pianeta. Tale chance è un fenomeno già in atto, la globalizzazione, che nel coinvolgere la totalità degli individui esistenti, offre loro l'occasione di organizzarsi in modo nuovo, e cioè alla maniera di una sola civiltà planetaria contrassegnata da un medesima cultura, caratterizzata da medesimi linguaggi, leggi, ordinamenti, culti, miti, saperi, arti, tecniche, usi, costumi, tradizioni. La globalizzazione, però, è un fenomeno che sfugge di mano alla totalità degli individui, attuandosi secondo una cultura decisa da pochissimi e non tutti: il capitalismo.
Il capitalismo è la forma di globalizzazione in atto resa possibile sì dall'annientamento delle precedenti civiltà/culture, ma soprattutto pianificata passando per alcuni avvenimenti epocali quali l'industrializzazione, l'introduzione del lavoro salariato, il crollo degli Stati-nazione e dei totalitarismi, la nascita delle Repubbliche democratiche fondate sul lavoro, l'economizzazione e monetizzazione dell'ente in generale. Il capitalismo è quella forza anticristiana che, oltrepassando ogni confine, coinvolge l'ente nella sua totalità riducendolo e interpretandolo alla maniera del lavoro, della merce, del denaro. È quell'ideologia dall'inclinazione globale, che destabilizza l'ente in generale, lo aggredisce per coincidervi totalmente, per essere un tutt'uno con esso, per dominarlo. È quella forma di pensiero, quella cultura che nell'estendersi sul scala mondiale per mezzo di tutti gli individui, evoca una nuova civiltà, appunto, planetaria. All'interno della globalizzazione capitalistica, i termini lavoro, merce, denaro rappresentano i simboli della nuova civiltà/cultura, del linguaggio che si parla, della legge che si rispetta, della divinità che si venera, dei saperi che si possiede, delle arti che pratica, delle tecniche che impiegate, degli usi, dei costumi e della tradizione che si consolida giorno per giorno. Sono gli emblemi della rivoluzione capitalistica che ha aggredito il pianeta, imponendo a tutti gli individui, consciamente oppure no, di pensare tutti nello stesso modo, di essere già una nuova civiltà.
Come ogni cultura e ideologia aggressiva, anche il capitalismo mira a estendersi al di là di ogni confine fino a combaciare totalmente con l'intero mondo conosciuto. La globalizzazione ha anticipato i tempi e lo ha già diffuso su scala planetaria. Per questo motivo, oggi il capitalismo si trova di fronte a un bivio: trovare nuovi mondi in cui sfogare la propria impronta aggressiva; rivolgere quest'ultimo contro il mondo già dominato. Il destino degli esseri umani e del pianeta, dunque, è legato a quello del capitalismo. I viaggi nell'universo, alla scoperta di altri pianeti e di altri mondi sconosciuti così come l'impazzito sviluppo tecnologico per raggiungere queste mete, sono da intendersi in questa prospettiva. È una ricerca che ha lo scopo di consentire un giorno al capitalismo, di poter sfogare la propria aggressività. Che accadrebbe però se questo giorno non arrivasse mai? Se la prepotenza della nostra cultura capitalistica si sfogasse contro se stessa, cioè contro di noi e contro il pianeta? Non sarebbe forse l'inizio della nostra fine? A ben vedere, stiamo già sfogando l'aggressività della cultura capitalistica contro noi stessi e contro il pianeta. Per questo motivo, oltre che prendere coscienza di quel che già accade, occorre iniziare a chiedersi se può esistere soltanto una globalizzazione in senso capitalistico. La speranza di evitare il peggio, è nel rispondere a questo interrogativo.

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