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venerdì 26 novembre 2010

BAGNARA... RARI BELLIZZI di ROCCO NASSI

- di Saso Bellantone
Per comprendere l’evoluzione poetica di Rocco Nassi, non si può fare a meno di leggere la raccolta Bagnara… rari bellizzi (2007). Bagnara… rari bellizzi non è Pe’comu parru scrivu… Amari penzeri (2010). Sarebbe un grave errore accostarsi alla prima opera di Nassi col senno della seconda. Le due opere contrassegnano due momenti differenti della poetica e della vita di Nassi. E quando si parla di Nassi, poesia e vita non sono sostanze diverse come la notte e il giorno ma un’eclisse sia di sole sia di luna a un tempo: sono profondamente unite. Nassi è uomo e poeta a un tempo: la sua vita è la sua poesia dialettale e la poesia dialettale è la sua vita. Nell’una c’è l’altra, e viceversa. Le due raccolte in esame raccontano, ricapitolandoli, due diversi periodi dell’uomo-poeta Nassi.
Pe’comu parru scrivu… Amari penzeri è l’opera per la gente, della denuncia, del radicamento. L’opera di chi è stanco di osservare un mondo che crolla sulle macerie dei precedenti disastri ma che vuole spazzare via questi rottami per far respirare di aria nuova il vecchio mondo, culla di ogni certezza. Qui incontriamo un uomo-poeta maturo, sicuro, che ha chiaro il proprio compito, la propria missione: la rima, la parola dialettale per sovvertire l’ordine costituito e restaurare quello precedente, quello passato, quello vero. Qui incrociamo un uomo antico, non nel pregiudizio ma nei valori, come la sua poesia. Un uomo che conserva la propria identità e le proprie radici nell’illusione del presente, offrendole alla gente come uno specchio nel quale ricordare, ognuno, la propria. Qui incappiamo in un verso dialettale debole sì rispetto alla forza dell’italiano ma potente e immediato, sintetico, scrupoloso e deciso come erano soltanto i Bagnaresi di un tempo. È un verso vernacolare che tuona il recupero del passato per impiegarlo oggi come una forza salvifica, che sfida l’attuale decadenza generale, colpendola là dove trae la propria linfa vitale: la lingua del potere (l’italiano). Pe’comu parru scrivu… Amari penzeri è un incrocio del quale l’uomo-poeta Nassi si fa profeta e innanzi al quale i Bagnaresi e, dopo di loro tutti i Calabresi, devono scegliere: o ritornare al passato verso la vita; o procedere avanti verso la catastrofe.
Bagnara… rari bellizzi è invece l’opera per uno solo: per Nassi. L’opera della malinconia, della solitudine, della tristezza, della critica rabbiosa, della sofferenza, del ritorno. Qui assistiamo alla contemplazione di un mondo perduto fisicamente ma custodito nella memoria. Qui partecipiamo al ritorno dell’uomo-poeta nella propria terra natìa: Nassi non la riconosce perché è cambiata, non è più quella di un tempo ma ne è ancora innamorato. E questo amore lo spinge a strappare via dai propri occhi i veli che mascherano la propria terra d’origine. Ed eccola lì, bella, raggiante, attraente come sempre: ci sono ancora le persone, gli avvenimenti, gli usi, i costumi, le tradizioni caratteristiche di Bagnara. Dietro queste visioni, l’uomo-poeta Nassi scorge gli antichi valori e il proprio passato, che osserva ora malinconico ed estasiato, ora sorridente e bramoso. Qui troviamo un vagabondo che, girando per le strade del paese, è assalito dai ricordi, memorie che ancora vivono, che parlano una lingua diversa da quella del potere, della tecnica, della decadenza (dall’italiano). Parlano il dialetto ma il dialetto è debole, insicuro, tentennante come quello del suo cantore, di chi stava per dimenticarlo. È il travaglio di chi ritorna a parlare la vecchia lingua, di cerca, sonda, scava, gira e rigira nel dialetto, per comprendere quel che vede e capire se stesso e il proprio destino. Le immagini sconvolgono, la parola è pesante, l’inchiostro deforma ancora le immagini e la voce. In una lotta senza tregua contro se stesso e contro il tempo, Nassi impara nuovamente a vedere, a parlare, a vivere e a cantare l’esperienza di questa schiarita.
U tramuntu è l’immagine di quel tramonto dimenticato, che soltanto un bagnarese può sperimentare. U cinima i Bagnara narra malinconicamente l’antica serenità e gioia per criticare l’attuale preoccupazione e infelicità dilaganti. A fuitìna bagnarota non descrive soltanto la prassi dell’innamoramento così come avveniva un tempo ma anche l’esplosione impetuosa dell’amore di Nassi per Bagnara. A randi hiumara racconta la vita che qui si svolgeva cancellata dal cuore di cemento dei politici, mentre Va crisci gioventù descrive la preoccupazione di fronte a un mondo completamente diverso da quello conosciuto nella giovinezza dall’uomo-poeta. A bagnarota è un omaggio alla donna di un tempo, difficilmente rintracciabile oggigiorno. Stesso dicasi per gli uomini, con la poesia Cumpari Carminu. Mitico Cinneju testimonia come dall’ingenuità, una volta, accadevano fatti divertenti: è un’allegria diversa da quella suscitata oggi dalla volgarità del linguaggio e dalla consapevole idiozia dei conterranei. Non simu mai cuntenti è un esempio di come la poesia nassiana sia capace di fotografare le caratteristiche fondamentali dell’essere umano. Chista t’a potìvi risparmiari è una dimostrazione dell’originale modo bagnarese nell’usare il sarcasmo per trasmettere ragionamenti molto profondi, riguardanti anche la fede. U cumpari “fina a curva” denuncia uno dei mali di questa terra, la logica politica della raccomandazione, mentre U mbrogghjuni riferisce metaforicamente dei truffatori di un tempo per parlare di quelli d’oggi. A posta e Cosi ill’autru mundu criticano la decadenza generale del mondo contemporaneo e la sofferenza sparsa nell’intero pianeta.
Queste sono soltanto alcune delle poesie vernacolari presenti in Bagnara… rari bellizzi. Se quest’ultima racconta la storia di un vagabondo che tornato alla propria terra, impara a riscoprirla e a ritrovare se stesso come uomo e poeta, siamo felici che invece Pe’comu parru scrivu… Amari penzeri narra un’altra storia: quella di un uomo-poeta radicato in Bagnara, che usa il dialetto al servizio della gente. Leggendo la poesia di Nassi, a ben vedere, oltre alla sua, si assiste alla storia di altri vagabondi in cerca di se stessi e delle proprie radici: quale? La nostra.

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