- di Saso Bellantone
Scienza,
vera figlia ti mostri del tempo annoso,
tu
che ogni cosa trasmuti col penetrante occhio!
Ma
dimmi, perché al poeta così dilani il cuore,
avvoltoio
dalle ali tarde e grevi?
Come
potrebbe egli amarti? E giudicarti savia,
se
mai volesti che libero se ne andasse errando
a
cercar tesori per i cieli gemmati?
Pure,
si librava con intrepide ali.
Non
hai tu sbalzato Diana dal suo carro?
E scacciato
l’Amadriade dal bosco,
che
in più felice stella trovò riparo?
Non
hai tu strappato la Naiade ai suoi flutti,
l’Elfo
ai verdi prati e me stesso infine
al
mio sogno estivo all’ombra del tamarindo?
La scienza è nel tempo e viene col
tempo. La poesia ne è al di fuori e avviene all’improvviso. L’atteggiamento della
scienza è freddo, disincantato, analitico, metodico, sperimentale, basato sulla
riproducibilità. Tale modo di manifestarsi le consente di osservare i fenomeni
con una tale chiarezza e precisione da offrirne, col passare del tempo, una
spiegazione sempre più dettagliata, sicura, esatta, una visione definitiva. Con
questo suo atteggiamento, simile a un avvoltoio dalle ali lente e pesanti, la
scienza lacera il cuore del poeta. Come un avvoltoio dalle ali lente e pesanti la
scienza ha scacciato dalla natura Diana, dea della caccia, l’Amadriade, ninfa
dei boschi, la Naiade, ninfa delle acque dolci, l’Elfo, spirito genio della
terra, e lo stesso poeta che, adagiato all’ombra di un tamarindo per
proteggersi dal cocente sole d’estate, sognava di volare nella natura e di
coglierne con sguardo lesto, passionale e magico, i tesori in essa celati. Il
poeta non potrà mai amare la scienza e considerarla vera saggezza perché rimuovendo
la poesia, in fin dei conti, essa sfratta dalla natura le emozioni, i sogni, l’essere
umano stesso.
In Sonetto
alla scienza, E. A. Poe critica l’atteggiamento calcolante dello scienziato
che cancella quello poetante del poeta. Ma
la questione che l’autore sottopone al lettore, retroattivamente, non consiste
nell’inconciliabile dissidio scienza/poesia bensì nella posizione umana
rispetto alla natura in relazione al linguaggio scientifico da un lato, e a
quello poetante dall’altro lato.
La poesia e la scienza costituiscono
infatti le due colonne d’Ercole del linguaggio umano: del pensiero. Con
entrambe, infatti, l’essere umano colloca nel caos le proprie
interpretazioni/spiegazioni, allo scopo di organizzarlo, di dargli un senso e, quindi,
poter vivere/sopravvivere in esso. Con questi due linguaggi, poetico e
calcolante, l’essere umano imprime dei significati nelle cose in maniera
diversa: con la poesia in modo repentino, aleatorio, emozionale, sognante; con la
scienza in modo lento, scrupoloso, disilluso e basandosi sul metodo
analitico-sperimentale, ossia incentrato sulla ripetibilità dei fenomeni. In altri
termini, la differenza tra il linguaggio poetico e quello calcolante consiste
nel fatto che mentre con il primo l’essere umano è consapevole che, assieme ai propri
significati, sta installando nella natura anche il riferimento a se stesso, con
il secondo, invece, impianta i propri significati nelle cose ma non il
riferimento a sé. Detto ancora più brevemente, con il linguaggio poetico l’essere
umano s’installa dentro la natura, con quello calcolante si rimuove da essa, se
ne allontana.
Poe dichiara che gli è impossibile amare
la scienza e che non può considerarla saggezza, proprio perché la scienza annienta
la presenza umana nella natura. mentre
la poesia offre una visione antropomorfica della natura, la quale cioè
manifesta una perfetta simbiosi tra l’essere umano e gli enti, la scienza
fornisce una concezione della natura al di là di ogni antropomorfismo, vale a
dire nella quale ogni elemento simbiotico tra essere umano e natura è infranto,
sciolto, annullato.
Con il suo fare gelido e in braccio alla
dimensione del tempo, nel cancellare ogni mitologia dalla natura, la scienza
tronca ogni legame intimo che vi è tra questa e l’essere umano, stabilito da
fare afoso della poesia, che è, diversamente da quello della scienza, al di
fuori del tempo, perché considera la stretta relazione tra essere umano/natura
come qualcosa di indissolubile, una realtà che deve resistere al tempo.
Certamente, con le sue scoperte, la
scienza consente all’essere umano di sopravvivere ma lo svincola dal suo legame
ancestrale con l’universo, evidenziato e mai messo in dubbio invece dalla
poesia. Dal momento che la poesia ricalca con forza e senza tempo questo
vincolo inscindibile tra essere umano/natura, può, proprio per questo motivo,
sviluppare un’azione salvifica, dell’essere umano e della natura, in questi
tempi in cui il delirio del progresso scientifico fa temere una fine di
entrambi? La poesia di Poe, a suo modo, fa riflettere su questo interrogativo, dimostrando,
appunto, che i significati trasmessi col linguaggio poetico sono davvero senza
tempo e proprio per questo motivo, eternamente attuali.
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