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martedì 22 maggio 2012

Versieri: SONETTO ALLA SCIENZA di E. A. Poe


- di Saso Bellantone

Scienza, vera figlia ti mostri del tempo annoso,
tu che ogni cosa trasmuti col penetrante occhio!
Ma dimmi, perché al poeta così dilani il cuore,
avvoltoio dalle ali tarde e grevi?
Come potrebbe egli amarti? E giudicarti savia,
se mai volesti che libero se ne andasse errando
a cercar tesori per i cieli gemmati?
Pure, si librava con intrepide ali.
Non hai tu sbalzato Diana dal suo carro?
E scacciato l’Amadriade dal bosco,
che in più felice stella trovò riparo?
Non hai tu strappato la Naiade ai suoi flutti,
l’Elfo ai verdi prati e me stesso infine
al mio sogno estivo all’ombra del tamarindo?

La scienza è nel tempo e viene col tempo. La poesia ne è al di fuori e avviene all’improvviso. L’atteggiamento della scienza è freddo, disincantato, analitico, metodico, sperimentale, basato sulla riproducibilità. Tale modo di manifestarsi le consente di osservare i fenomeni con una tale chiarezza e precisione da offrirne, col passare del tempo, una spiegazione sempre più dettagliata, sicura, esatta, una visione definitiva. Con questo suo atteggiamento, simile a un avvoltoio dalle ali lente e pesanti, la scienza lacera il cuore del poeta. Come un avvoltoio dalle ali lente e pesanti la scienza ha scacciato dalla natura Diana, dea della caccia, l’Amadriade, ninfa dei boschi, la Naiade, ninfa delle acque dolci, l’Elfo, spirito genio della terra, e lo stesso poeta che, adagiato all’ombra di un tamarindo per proteggersi dal cocente sole d’estate, sognava di volare nella natura e di coglierne con sguardo lesto, passionale e magico, i tesori in essa celati. Il poeta non potrà mai amare la scienza e considerarla vera saggezza perché rimuovendo la poesia, in fin dei conti, essa sfratta dalla natura le emozioni, i sogni, l’essere umano stesso.
In Sonetto alla scienza, E. A. Poe critica l’atteggiamento calcolante dello scienziato che cancella quello poetante del poeta.  Ma la questione che l’autore sottopone al lettore, retroattivamente, non consiste nell’inconciliabile dissidio scienza/poesia bensì nella posizione umana rispetto alla natura in relazione al linguaggio scientifico da un lato, e a quello poetante dall’altro lato.
La poesia e la scienza costituiscono infatti le due colonne d’Ercole del linguaggio umano: del pensiero. Con entrambe, infatti, l’essere umano colloca nel caos le proprie interpretazioni/spiegazioni, allo scopo di organizzarlo, di dargli un senso e, quindi, poter vivere/sopravvivere in esso. Con questi due linguaggi, poetico e calcolante, l’essere umano imprime dei significati nelle cose in maniera diversa: con la poesia in modo repentino, aleatorio, emozionale, sognante; con la scienza in modo lento, scrupoloso, disilluso e basandosi sul metodo analitico-sperimentale, ossia incentrato sulla ripetibilità dei fenomeni. In altri termini, la differenza tra il linguaggio poetico e quello calcolante consiste nel fatto che mentre con il primo l’essere umano è consapevole che, assieme ai propri significati, sta installando nella natura anche il riferimento a se stesso, con il secondo, invece, impianta i propri significati nelle cose ma non il riferimento a sé. Detto ancora più brevemente, con il linguaggio poetico l’essere umano s’installa dentro la natura, con quello calcolante si rimuove da essa, se ne allontana.
Poe dichiara che gli è impossibile amare la scienza e che non può considerarla saggezza, proprio perché la scienza annienta la presenza umana nella natura.  mentre la poesia offre una visione antropomorfica della natura, la quale cioè manifesta una perfetta simbiosi tra l’essere umano e gli enti, la scienza fornisce una concezione della natura al di là di ogni antropomorfismo, vale a dire nella quale ogni elemento simbiotico tra essere umano e natura è infranto, sciolto, annullato.
Con il suo fare gelido e in braccio alla dimensione del tempo, nel cancellare ogni mitologia dalla natura, la scienza tronca ogni legame intimo che vi è tra questa e l’essere umano, stabilito da fare afoso della poesia, che è, diversamente da quello della scienza, al di fuori del tempo, perché considera la stretta relazione tra essere umano/natura come qualcosa di indissolubile, una realtà che deve resistere al tempo.
Certamente, con le sue scoperte, la scienza consente all’essere umano di sopravvivere ma lo svincola dal suo legame ancestrale con l’universo, evidenziato e mai messo in dubbio invece dalla poesia. Dal momento che la poesia ricalca con forza e senza tempo questo vincolo inscindibile tra essere umano/natura, può, proprio per questo motivo, sviluppare un’azione salvifica, dell’essere umano e della natura, in questi tempi in cui il delirio del progresso scientifico fa temere una fine di entrambi? La poesia di Poe, a suo modo, fa riflettere su questo interrogativo, dimostrando, appunto, che i significati trasmessi col linguaggio poetico sono davvero senza tempo e proprio per questo motivo, eternamente attuali.

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