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venerdì 17 febbraio 2012

Pensieri visivi: L’URLO di Edvard Munch

- di Saso Bellantone
Un uomo fermo su un ponte. È vestito di nero e urla, gli occhi fuori dalle orbite, coprendosi le orecchie per non sentire. L’urlo sconvolge i lineamenti del suo volto e sembra liquefare il paesaggio circostante, mentre due passanti, sullo sfondo, si avvicinano ignari di quel che accade. L’urlo di Edvard Munch immortala l’attimo della scoperta della “morte di Dio”.
Nel corso della propria storia, l’essere umano ha vissuto regolando le proprie condotte mediante l’idea di Essere, di verità, di valore, in una parola, di Dio. Quando però si scopre che il supremo garante dell’esistenza e di ogni certezza, di un ordine intrinseco nelle cose, di uno scopo del mondo (l’altra vita) e della possibilità di conoscerlo non è altro che un errore di giudizio o una produzione umana, troppo umana, come direbbe Nietzsche, un’invenzione allo scopo del potere, non si riesce a contenere il terrore, l’orrore che si prova. C’è bisogno di urlare, di gridare con tutta la forza che si ha in corpo per liberarsi da questo gelido ospite che invade mente, carne, ossa e sangue. Ma la voce non fa che accelerare il processo di liquefazione degli enti e di se stessi.
Morto Dio, l’essere umano si trova senza stelle fisse né punto di riferimento alcuno per disciplinare la propria vita né per orientare il proprio pensiero o le proprie speranze. L’esistenza diviene insicura, le certezze s’infrangono, svanisce ogni sogno ultraterreno. Il mondo inizia a perdere la sua fissità, il suo ordine, la sua chiarezza e tutto appare disordinato, effimero, inutile, impenetrabile, pericoloso. Il mondo si liquefa, l’essere umano perde la propria fisionomia perché ogni fondamento è in decomposizione. Ogni ente diviene storpio, priva di senso e di scopo, indicibile, indefinibile, impossibile. La vita, il mondo, l’essere umano, tutto viene avvolto dal mistero e dal dubbio, anche il passato. Ci si aggira come spettri nel puro niente e nello sgomento senza salvezza alcuna, inconsapevoli se ciò accadrà per sempre o soltanto per pochi istanti, perché anche il tempo, ormai, non è che un’illusione. Ma nel vagabondare irrequieti senza direzione alcuna, in quel che appare soltanto un inganno della mente irresolubile, ecco che si avvicinano alcuni passanti, ancora abbagliati dall’idea di un Dio. Per il solutore della Sfinge dei millenni, non c’è solitudine peggiore se non quella d’incontrare chi tenta di convincerlo che un Dio ancora vive.

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