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sabato 25 febbraio 2012

Essere molteplice, molteplice essere

- di Saso bellantone
La molteplicità dell’essere non ha confini né freni. Ogni testa non è che una prospettiva differente sul mondo. Mondo, molteplice. Come può un unico ente mostrarsi sotto diverse inquadrature, sempre in maniera disuguale? Mostrarsi, sistema visivo, occhi. Come se l’essere fosse soltanto qualcosa che si può vedere. La tradizione del pensiero ha basato tutte le sue congetture sul senso della vista e oggi pare proprio che abbia sempre avuto la medesima, mi si passi il termine, svista. Se l’essere è molteplice non può essere uno. Se invece la molteplicità è soltanto il risultato di più prospettive coesistenti, allora l’essere ha uno stretto legame con ognuna delle singole prospettive su di esso e in esso. Ciò implica anche prendere in considerazione tutto quello che prospettiva non è, almeno apparentemente. Quindi l’udito, il gusto, l’olfatto, il tatto. Ogni testa priva anche di uno solo dei cinque sensi, costituisce comunque una prospettiva, una sfumatura dell’essere e sull’essere. Inoltre, se uno di questi sensi è alterato o funziona male, continua a costituire una prospettiva. Si pensi a uno sbronzo, a un dopato, a un malato, quest’ultimo consapevole e non. Si pensi anche allo spazio che pare trasformarsi quando si è in movimento, alle distanze che sembrano ridursi quando si va più veloci o quando si impiega uno strumento tecnologico oppure ingrandirsi quando si resta più o meno fermi. Se a tutto questo si aggiunge l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, i diversi giudizi umani e calcoli, insomma, le diverse prospettive, non se ne esce più. L’essere sembra qualificarsi come l’innumerabilmente molteplice e ciò si amplifica quando si considera l’errore, di senso e di giudizio. Hegel risolse questa questione ponendo l’accento su due fattori agenti in contemporanea, spirito soggettivo e spirito oggettivo, frammenti di uno spirito assoluto garante di ogni senso, evento, processo, anche quello conoscitivo. Al di là di ogni questione superstiziosa, paranormale o occulta, anteporre a ogni fatto toccabile con mano delle entità che non è possibile esperire, potrebbe costituire un allontanamento dall’oggetto indagato. Se così fosse, tale strada non sarebbe più praticabile. Come spiegare allora la molteplicità dell’essere, se non si può sperimentare ma soltanto immaginare? Forse il problema è proprio tale assunto? Essere/non essere, uno/molteplice, mondo/non mondo: quali prove impiegare per poter usare senza dubbio alcuno tali termini? Su quale certezza ancorarsi, per usare l’espressione “molteplicità dell’essere”? Come capì Cartesio, non si è altro che prospettive. Pensiero, sensibilità, giudizio offrono a ogni testa l’occasione, la certezza di trovarsi e individuarsi, di capire, di pensare un dentro e un fuori, un soggetto e un oggetto/tanti oggetti, un mondo e un altro mondo/infiniti mondi. E se i sensi e il giudizio sbagliassero comunque? Se tutto fosse un grande errore? Se molteplicità dell’essere fosse soltanto un’illusione volontaria per esprimere la coesistenza, la contemporaneità di più prospettive, non necessariamente saldate alla visibilità e al vedere? Si può vedere senza occhi? Si può fare con gli altri sensi? È soltanto questo che indica la molteplicità dell’essere? Beh, scoprirlo sarebbe già un passo in avanti.

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