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lunedì 24 gennaio 2011

IL FILM DELL'ESISTENZA: CHI CI SARA' NEI TITOLI DI CODA?

- di Saso Bellantone
Quando si pensa all'esistenza, nella sua interezza e misteriosità, e al posto dell'essere umano in essa, la mente si perde sempre in un abisso di enigmi. In un attimo si è, in un altro non si è più. In un attimo ci si ritrova catapultati in essa, in un altro svanisce tutto: pensieri, parole, emozioni, percezioni, incontri, decisioni, convinzioni, materia, spirito, sostanza, forma, essere e avere, fare e apparire, saperi, scienze, arti e invenzioni. La vita umana non è che un battito di ciglia, un'apparizione fugace e irrisoria rispetto all'incommensurabile movimento del Tutto. Lo stesso tempo umano non è che un niente in confronto a quello del cosmo. Ma quale tempo possiede il Tutto? Quanto? Come fare, inoltre, a definire il Tutto?
L'idea del Tutto è certamente una congettura indimostrabile. Per dirla con Wittgenstein, per giudicare il mondo e definirne un'immagine dettagliata, occorrerebbe trovarsi al di fuori del mondo, ma ciò è impossibile, dunque la stessa idea di mondo, di Tutto è insensata. Ciononostante, l'essere umano tende, non si sa per quale motivo, a pensare al Tutto e a porsi il problema della sua temporalità, della sua durata. Ma non è sempre stato così. Nell'antica Grecia, per esempio, non ci si poneva questo problema. Si credeva infatti che il Tutto fosse eterno e che accadesse alla maniera di una rotatoria a senso unico che ritorna continuamente sui propri passi. In questo senso, i Greci ritenevano che del/nel Tutto niente si perde, niente si aggiunge. La stessa morte, ai loro occhi, non è che un cambiamento di stato e tutti i defunti, un giorno, ritorneranno a vivere, ripercorrendo la vita allo stesso modo di quella precedente per tutta l'eternità. La concezione greca dell'eternità del Tutto è molto simile a quella induista (che precede la grecità) ma è priva, per esempio, dei concetti di trasmigrazione delle anime e di karma. Con l'avvento del cristianesimo, che nasce in seno all'ebraismo per opera dell'apostolo Paolo, si comincia a parlare di durata del mondo (Tutto). Il mondo perde il carattere d'eternità e inizia a essere considerato alla maniera di un rettilineo unidirezionale che ha un inizio (creazione) e una fine ultima (parousia). In questo movimento a senso unico, tutte gli enti, compreso l'essere umano, tendono a un punto finale che coincide, religiosamente, con il Giorno del Giudizio. In questo luogo, il Messia che torna nel mondo per la seconda volta deciderà chi è condannato alla morte definitiva e chi, invece, è destinato a ricevere la salvezza: una nuova vita. La morte, allo stesso modo della vita terrena, non è che un momento d'attesa per il Giudizio finale. Ma è soltanto nella vita che l'essere umano può giocare le sue carte per conquistare la salvezza. Nella prospettiva ebraico-cristiana, il Tutto possiede un tempo soltanto, quello cronologico che conduce al punto finale. Ma al suo interno, esiste anche il tempo cristiano – per l'esattezza, messianico – che scandisce la fede e la speranza nel Messia e nel disegno provvidenziale di Dio, e l'amore tra i Suoi figli. Soltanto questo tempo è importante per il cristiano: la durata di quello cronologico, malgrado sia incalcolabile, è irrilevante perché la posta in gioco è la salvezza, la nuova vita che si guadagna nel tempo cristiano.
Portando alle estreme conseguenze la concezione ebraico-cristiana del mondo, la scienza moderna propone una visione secolarizzata dell'universo (Tutto), intendendolo alla maniera di un ammasso di enti ora organizzato ora no, che da un punto iniziale (Big-Bang) procede inevitabilmente e cronologicamente a un punto conclusivo: la fine del mondo. Oltre al carattere d'eternità, in questo caso scompare anche l'elemento salvifico celato nel tempo cronologico, introdotto dalla parentesi ebraico-cristiana. Svanisce, insomma, l'idea di un Dio che disegna, organizza e produce il mondo per i propri scopi. Liberandosi dell'idea di Dio, la scienza moderna tenta d'investigare il movimento dell'universo per comprenderne la durata, ma ciò comporta l'interrogazione dei momenti iniziale e conclusivo dell'universo, un'indagine utile anche per capire cosa c'era prima e cosa ci sarà dopo. Tuttavia, potendo svolgere soltanto congetture indimostrabili, preferisce proporre che prima dell'universo e che dopo di esso vi è soltanto il niente. La morte, la scomparsa di un ente nel lasso di tempo che separa inizio e fine, è già la fine ultima, un tornare cioè nel niente divenendo niente stesso. Stesso dicasi per la vita: è l'unica e sola vita che quell'ente, compreso l'essere umano, possiede prima di diventare niente.
Pensare all'esistenza secondo una simile prospettiva, così come avviene per molti oggigiorno, è enigmatico e inquietante. Per capire dove si trova e rispondere alla sue domande fondamentali, l'essere umano osserva l'universo inventando sempre nuove tecnologie. Ma quanto più osserva il cosmo tanto più si rende conto che un'osservazione definitiva dell'intero universo è un compito infinito. Per questo motivo, pur continuando a svolgere quest'indagine, non riesce a scorgere il significato dell'esistenza (Tutto) né quello della vita umana e si sente vagare nel vuoto o in un sogno. Quando si giunge a considerarla in questo modo, l'esistenza comincia a somigliare, coincidendovi in modo sconvolgente, a un film di proporzioni titaniche. Ci sono gli attori, i paesaggi, le musiche, gli effetti speciali, le tecnologie, c'è tutto quello che si ritrova in un film. Soltanto un ostacolo paralizza la mente umana: i titoli di coda, i quali narrano tutte le informazioni relative al film. L'essere umano è sicuro che alla fine del film cinematografico ci sono i titoli di coda ma non sa se lo stesso vale per la fine del film dell'esistenza. Per questo motivo, forse, si pone il problema della durata del tempo del Tutto, della fine del tempo e di ciò che ci sarà dopo. Egli si pone questi interrogativi, chiedendosi metaforicamente se ci saranno i titoli di coda del titanico e tragico film dell'esistenza, intitolato il Tutto che diviene Niente, e se sarà citato. Ma si domanda anche se sarà menzionato il regista, se ce n'è uno. Ma intanto è condannato a recitare la sua parte, pensando malinconicamente che non c'è né ci sarà alcuno spettatore pronto ad applaudirlo o a fischiarlo. Ma anche questo interrogativo, resta un mistero per ora impenetrabile.

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