- di Saso Bellantone
Nato a Reggio Calabria, Ivan
Rocco Iannì si dedica alla creazione artistica fin da giovane, utilizzando
diversi tecniche e stili. Frequenta il Liceo Artistico a Reggio Calabria, con
il quale partecipa al concorso artistico “La Grande Guerra”. Finiti gli studi,
partecipa a un concorso d’arte organizzato da un’associazione reggina,
intitolato “La donazione degli organi”. Attualmente, vive a Bagnara.
Come ti sei avvicinato all’arte?
Che cos’è l’arte?
Cosa pensi riguardo al senso,
allo scopo e agli usi dell’arte, sia a livello individuale sia sociale, nel
mondo contemporaneo?
Ogni cosa, dunque anche l’arte,
può essere osservata da diversi punti di vista. Ogni persona trovandosi a
ricevere comunicazioni da opere d’arte prova sensazioni comuni a tutti, ma in
un modo diverso. L’arte dovrebbe essere uguale per tutti: dovrebbe comunicare
la stessa cosa a tutti in modo diverso, perché ognuno ha la sua esperienza, i
suoi ricordi, i suoi pensieri e i suoi modi di percepire le cose. C’è chi usa
l’arte per accomunare tutti su alcune sensazioni, pur provate in maniera
diversa, c’è invece chi la usa per manipolare gli altri e le loro stesse
sensazioni. Quindi, c’è chi la usa in maniera positiva e chi la usa in maniera
negativa. Per esempio, nel markentig si usa l’arte in modo negativo. La
pubblicità è manipolante. Per vendere una macchina, per esempio, si mette di
fronte alla macchina una donna che si comporta in una precisa maniera per
indurti, subliminalmente, ad acquistare la macchina. Ma la manipolazione
avviene anche per mezzo di colori, forme, oggetti, tutto quello che può tornare
utile per lanciare messaggi subliminali e indurre gli altri a comportarsi in un
preciso modo anziché un altro. Io uso l’arte per comunicare l’arte stessa, non
per lanciare messaggi subliminali o per manipolare la gente.
I Greci impiegavano il termine
“poiein” per significare “creazione”. Poi questa parola, nel corso del tempo,
si è trasformata di linguaggio in linguaggio, fino a diventare in italiano per
esempio, la parola “poesia”. Quando un poeta comunica se stesso, cioè scrive
una poesia, è un creatore di mondi, riproduce il mondo, crea nel senso pieno
della parola. Puoi definire le tue opere “poesie”, opere d'arte, creazioni nel
senso pieno del termine?
Le mie opere, se con creazione
intendiamo qualcosa che nasce dal nulla, non sono creazioni. La creazione dal
nulla non esiste. Ogni cosa nasce sempre da qualcos’altro. Ogni pensiero o
fatto materiale è relativo, nasce da altro che ha istigato quella cosa. Se
intendiamo creazione nel senso di modifica di qualcos’altro, allora le mie
opere possono essere intese come delle creazioni. Dipende dalla prospettiva con
cui si guarda o si rappresenta qualcosa o la si usa, per farla diventare
qualcos’altro e manifestarsi come una creazione, cioè come un’opera d’arte. A
scuola per esempio i professori ci mettevano sempre in posizione frontale
rispetto a un vaso sul tavolo che dovevamo rappresentare. Io cambiavo
prospettiva, mi spostavo finché, per esempio, al primo vaso non si accostava un
secondo e tra i due non veniva fuori un volto. Per essere più precisi, quindi,
con la mia arte non creo nulla, offro soltanto agli altri diverse prospettive
con cui osservare pensieri, sensazioni, oggetti e quant’altro.
Perché fai arte? Perché senti
l'esigenza di comunicare mediante l'arte?
Se nessuno mi avesse detto che
esiste l’arte, la pittura, Leonardo, gli artisti e via dicendo, avrei
continuato a disegnare, a raccogliere rametti al parco per poi produrre
qualcosa e a fare tante altre cose. Sento l’esigenza di fare arte perché se non
facessi niente è come se non esistessi. Ognuno di noi per poter dire di
esistere deve fare qualcosa. Io sento l’esigenza di fare arte, di tradurre in
arte quel che mi accade o mi passa per la testa ma anche quel che mi viene
chiesto da altri. Come ho spiegato prima, nel momento in cui creo un dipinto
per esempio, non mi pongo il problema di comunicare ma mi lascio andare nella creazione.
Dopodiché, osservo l’opera e comincio a ritoccarla, ad aggiungere o a togliere
degli elementi, ricordando le sensazioni che avevo mentre lo dipingevo e,
quindi, a comunicare dei significati precisi con quell’opera. Quindi, la
comunicazione è indipendente nel momento creativo. Certamente, chi vedrà immaginerà
per forza qualcosa guardando una mia opera. A volte, mi capita di spiegare un
mio dipinto a qualcuno e questi mi dice di ritrovare i significati appena
spiegati. Come avviene leggendo un libro, e cioè che tutti usano le stesse
parole ma comprendono in modo proprio il significato di quello che hanno appena
letto, lo stesso avviene con l’arte. I colori, le forme, i soggetti sono uguali
ma ognuno poi li comprende a modo proprio.
Che cosa racconti con la tua
arte?
Un artista può sentirsi tale
senza i pubblici?
Sì. All’inizio per esempio non
mostravo le mie opere per timore di quello che pensa la gente. Poi ho capito
che occorre che gli altri vedano quello che fai. Magari, non mostri loro tutto.
Qualcosa la tieni per te, chiusa nel cassetto. Naturalmente mi farebbe piacere
che gli altri vedessero le mie opere ma non è il nome o il pubblico che ti
rende un artista. Ovviamente se centinaia di persone passassero dritte davanti
a un mia opera, mi dispiacerebbe. Se tra queste persone, invece, una si
fermasse e restasse a guardare la mia opera, provando delle emozioni, mi
farebbe molto piacere, e ciò mi incoraggerebbe nella mia arte.
Che cosa significa oggi vivere
come un artista e vivere esclusivamente della propria arte? Quali sacrifici
comporta accettare questo incarico, questa missione?
Cosa ti spinge a restare nel
sud?
La società. Quando lavoro al nord
o all’estero, ogni tanto torno qui a trovare i miei parenti. Quando il lavoro
non ce l’ho e non riesco a trovarlo, naturalmente, torno qui, perché non ho
altre persone a cui appoggiarmi se non la mia famiglia. Se trovassi lavoro qui
e mi sentissi a mio agio con la società, cioè se quest’ultima mi permettesse di
esprimermi al massimo, allora resterei. Non trovando il lavoro qua, dunque non
potendo vivere liberamente e non potendo esprimermi in toto, preferirei
spostarmi là dove c’è il lavoro, e cioè dove posso essere indipendente e posso esprimermi
artisticamente in maniera completa.
Puoi definirti un sognatore?
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Se per sognatore s’intende chi ha soltanto sogni nel cassetto, allora non
definisco tale, vado più per istinto che per sogni. Se invece s’intende chi
immagina molto, allora sì. Naturalmente come tutti ho un sogno nel cassetto ma
nel mio caso è quello di un’indipendenza economica costante, che mi consenta di
portare avanti la mia arte.
Chi vuole seguirti e saperne un po’ di più sulla tua arte, dove può
rivolgersi?
Alcune parole per i
giovanissimi.
Fate tutto quello che volete, pensate,
giocate, divertitevi più che potete. Lasciate stare tutto quello che vi dicono gli
altri e se dovete disobbedire fatelo anche, però ragionate sempre su quello che
fate, non agite mai senza pensare. Seguite le vostre doti naturali e non
lasciatevi scoraggiare da nessuno. Avete la vita innanzi, vivetela tutta
seguendo le vostre doti, il vostro pensiero e la vostra libertà. Siate felici.



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