- di Saso Bellantone
Dalla fine del XVIII secolo e nel corso dell’Ottocento e del Novecento, si è assistito a una serie di avvenimenti epocali – le Rivoluzioni Industriale, Francese, Bolscevica, l’Indipendenza Americana, la dissoluzione degli Stati-Nazione, il crollo dell’Impero Ottomano, del Muro di Berlino e dell’Unione Sovietica, le due Guerre Mondiali – che ha generato una radicale metamorfosi onnicomprensiva del mondo umano. Questa rivoluzione è ancora in atto. Ogni giorno annienta il vecchio mondo edificandone uno nuovo nel quale la vita in generale (privata, sociale, naturale) assume dei connotati economico-lavorativi. Ogni giorno smantella i confini spazio-temporali, continentali, statali, privati, legislativi, linguistici, informatici, mediatici, etnico-culturali, morali, religiosi e aziendali. Ogni giorno l’amore, l’amicizia, la fede, la fiducia, il tempo libero, lo sport, le arti, i saperi, le scienze e le tecniche, la politica, l’informazione, i mestieri, la famiglia, la salute, le tradizioni – tutto è incanalato nell’unico binario che porta alla realizzazione di un villaggio globale, di una società cioè esclusivamente capitalistica, consumistica, iper-tecnologica, massificante e nichilistica. Il sogno di una globalizzazione totalmente compiuta, di una realtà che mantiene in stretta connessione tutto con tutti, si avvicina sempre più. Questa trasformazione planetaria, però, non è un progresso bensì una degenerazione, a causa della spersonalizzazione, dell’omologazione, della mercificazione, della svalutazione e della dissacrazione totale che comporta. È un’illusione inquietante.
Dalla fine del XVIII secolo e nel corso dell’Ottocento e del Novecento, si è assistito a una serie di avvenimenti epocali – le Rivoluzioni Industriale, Francese, Bolscevica, l’Indipendenza Americana, la dissoluzione degli Stati-Nazione, il crollo dell’Impero Ottomano, del Muro di Berlino e dell’Unione Sovietica, le due Guerre Mondiali – che ha generato una radicale metamorfosi onnicomprensiva del mondo umano. Questa rivoluzione è ancora in atto. Ogni giorno annienta il vecchio mondo edificandone uno nuovo nel quale la vita in generale (privata, sociale, naturale) assume dei connotati economico-lavorativi. Ogni giorno smantella i confini spazio-temporali, continentali, statali, privati, legislativi, linguistici, informatici, mediatici, etnico-culturali, morali, religiosi e aziendali. Ogni giorno l’amore, l’amicizia, la fede, la fiducia, il tempo libero, lo sport, le arti, i saperi, le scienze e le tecniche, la politica, l’informazione, i mestieri, la famiglia, la salute, le tradizioni – tutto è incanalato nell’unico binario che porta alla realizzazione di un villaggio globale, di una società cioè esclusivamente capitalistica, consumistica, iper-tecnologica, massificante e nichilistica. Il sogno di una globalizzazione totalmente compiuta, di una realtà che mantiene in stretta connessione tutto con tutti, si avvicina sempre più. Questa trasformazione planetaria, però, non è un progresso bensì una degenerazione, a causa della spersonalizzazione, dell’omologazione, della mercificazione, della svalutazione e della dissacrazione totale che comporta. È un’illusione inquietante.
Questo movimento globalizzante trae la propria forza e legittimazione dalla rapida trasfigurazione delle Corone in Stati-Nazione e di questi ultimi in Repubbliche democratiche e liberali fondate sul lavoro e organizzate con le altre in una o più Confederazioni di Stati. Ma dietro questo cambiamento, se così si può dire, geo-politico del mondo, vi è un avvenimento ben più importante: la crisi dei fondamenti. Tutto ciò che prima si credeva derivasse da Dio, in una parola la verità (valore), adesso si mostra proveniente dall’uomo stesso. Per questo motivo, come per tacito consenso, l’umanità ha preferito (o gli è stato imposto?) una nuova verità/valore rispetto alla vecchia: il denaro. La riduzione della vita in generale in termini di lavoro e di denaro in associazione all’informatizzazione e tecnicizzazione della natura dà vita al fenomeno della globalizzazione, ma quest’ultima somiglia sempre più a un tecno-totalitarismo economico-lavorativo, il cui scopo è assicurare a pochissimi il potere, cioè il dominio della Terra. Prima soltanto i re avevano l’autorità per governare e questa era concessa loro (o conquistata con la forza o acquistata da altri) da Dio. Adesso, la stessa autorità dei re è nelle mani dei capitalisti. Se prima erano i re a comandare gli scopi di un regno con scettro e corona, simboli dell’origine divina del loro potere, adesso sono i capitalisti a creare gli scopi del pianeta, mediante il denaro e il lavoro. I capitalisti sono le divinità che stanno al di sopra, al di sotto, dentro e fuori a un tempo del tecno-totalitarismo economico-lavorativo. Il lavoro è lo scopo creato per governare, per dominare terre e persone. Con il lavoro, al pari dei vecchi comandi dei regnanti, la vita di ogni cittadino acquisisce senso e valore: denaro. Vivere vuol dire lavorare e lavorare significa fare denaro. Dunque, vivere è fare denaro. Chi ha più denaro, produce lavoro per gli altri e si colloca ai vertici della scala globale. Chi ne ha meno, lavora e si trova agli ultimi gradini. Chi sta sopra, continua a capitalizzare denaro e a inventare lavoro; chi sta sotto, continua a esserne privo e a lavorare. Traducendo tutto l’esistente nel linguaggio dell’economia e del lavoro, i capitalisti sono diventati i nuovi re del mondo, le nuove divinità, mentre i lavoratori sono i loro sudditi, i loro fedeli.
Per assicurarsi questo potere, i capitalisti sono costretti a conservare un certo ordine del tecno-totalitarismo economico-lavorativo, piegandolo di volta in volta alla propria volontà, mediante una serie di inganni. Primo inganno: intervento. Intervengono nel sistema economico-lavorativo come deus ex machina, come burattinai invisibili e separati dalla propria creazione, allo scopo di non essere mai riconoscibili, dunque mai attaccabili e spodestati. Per questo motivo, conferiscono al proprio intervento un’origine interna al sistema stesso, riconducendola a calamità naturali o a decisioni di singoli popoli e individui. Secondo inganno: potere decisionale. Lasciano credere a chi siede nei piani più alti di una precisa realtà lavorativa del sistema, di avere potere decisionale (forza di legge). Impiegando le realtà lavorative esterne, obbligano i gestori di una precisa realtà lavorativa a prendere “alcune” decisioni anziché altre. E così, procedono con tutte le altre. Terzo inganno: controllo. Controllano ogni realtà lavorativa mediante la logica, la struttura, le regole, la gerarchia interne. Ciò vuol dire che governano tutti i lavoratori facenti parte di quella specifica realtà. Con questi tre inganni, si assicurano il dominio dell’intero sistema economico-lavorativo e decidono: il tempo di pace o di guerra; la normalità e la crisi; le mode e i desideri; la storia e la verità; il bene e il male; il destino del singolo individuo, dell’umanità e dell’intero pianeta.
La globalizzazione è la cucitura di tutti i sistemi economico-lavorativi locali, statali, continentali in un grande meccanismo globale regolato dal linguaggio tecnico-informatico, alimentato dal lavoro di tutto e di tutti, che prezza tutto e tutti: tecno-totalitarismo economico-lavorativo. Una macchina infernale comandata da chi sta con un piede dentro e uno fuori ad esso: i burattinai. Il lavoratore non è consapevole dell’esistenza di questi manovratori invisibili né si rende conto che giorno dopo giorno considera sempre più il sistema economico-lavorativo l’unica realtà esistente. Osservandolo attentamente, il suo modo di vivere all’interno di questa nuova realtà ha qualcosa di mistico-religioso. Somiglia molto alla continua relazione che intratteneva con il vecchio Dio dei testi Sacri. Soltanto che adesso questa relazione avviene con il nuovo dio: il denaro. Il lavoro è la nuova realtà, la nuova fede. È quella dimensione contemplativa e rituale a un tempo con la quale si accede nel tempo del sacro e si partecipa della divinità, per trarne beneficio, per essere miracolati (guadagnare). Rispettare e praticare i dogmi, le regole, le gerarchie, i riti, i tempi di attività, in una parola “lavorare”, è la forma di preghiera e di culto del sistema economico-lavorativo. L’azienda è la chiesa nella quale si venera il dio denaro. Il posto di lavoro è la panca nella quale si svolgono la preghiera e il culto quotidiani. Il datore di lavoro è il sacerdote che mette in comunione il lavoratore con il dio denaro. Il portamonete, la busta paga, il conto in banca, il bancomat sono i vangeli che regolano tutte le condotte umane. Lo sportello bancario è il confessionale e l’operatore è il confessore al quale ci si rivolge se (sempre) si è commesso peccato (speso il denaro). La banca è la curia che decide le sorti della nostra fede (cioè del lavoro svolto e della ricompensa equivalente), mentre la banca nazionale si occupa delle sorti della fede delle aziende. Il prestito e il mutuo sono le forme di miracolo cui è possibile accedere oppure no, in seguito alla verifica della nostra fede. Le tasse sono forme di colletta utili per il mantenimento dell’intera fede (il sistema economico-lavorativo). Gli Stati sono i contraenti terreni, credenti e non, coi quali il dio denaro stipula contratti di svariata natura, allo scopo di presenziare in tutte le cose (dare un prezzo a tutti gli enti). Gli assessori, i consiglieri, i parlamentari sono i cardinali della fede. Il Ministro dell’economia è il papa nazionale della fede. Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca mondiale sono i collegi cardinalizi che dirimono le questioni dogmatiche della fede e aiutano gli Stati più bisognosi dell’intervento divino. Tutte le lotterie e i giochi dei monopoli di Stato rappresentano le promesse di una maggiore partecipazione al dio denaro per chi ha più fede, cioè per chi più lavora, più guadagna, più spende “fiducioso” nel premio stesso. Lo scopo del dio denaro infatti non è di tenerlo per sé (come l’antico profeta Giona) bensì di annunciarlo agli altri, “spenderlo” per rendere anche gli altri partecipi della fede (per farli lavorare); per vivere (perché tutti i beni di prima necessità hanno un prezzo) e per ritrovare, ognuno, la propria fede: tornare a lavorare (guadagnare). In questo modo, il lavoratore vive in pieno nella verità del dio denaro, spera di essere degno del premio, lavorando e spendendo quanto più possibile il denaro ma, nel contempo, proprio spendendolo si macchia della colpa di non essere più con il dio denaro, fa peccato e deve riparare, deve lavorare per guadagnare nuovamente l’elezione del dio denaro. In questo modo, il cerchio si chiude e il sistema economico-lavorativo si mostra come uno strumento di oppressione e controllo psicologico delle masse, una realtà “divina” sì ma disumanizzante. L’essere umano non pensa più, non ama più, non prega più, è infelice, solitario, disperato. Non ricorda il proprio passato, non immagina un futuro. È una macchina per lavorare, per produrre denaro, nient’altro. Non vive più in società perché quest’ultima si è trasformata nel sistema lavoro-denaro. L’uomo sopravvive ma non è detto che ciò gli sia concesso sempre. La realizzazione di questa forma di globalizzazione, infatti, è pericolosa perché aggredisce la natura in modo sconfinato. Oggi tocca alla Terra, domani agli altri pianeti del sistema solare, dopodomani a quelli degli altri sistemi e galassie. Tutta la natura è intesa come una risorsa manipolabile e impiegabile per scopi artificiali, fittizi ma soprattutto dannosi, nocivi non soltanto per l’uomo bensì per la natura stessa. Sfruttando la natura per creare lavoro, per l’economia, restando indifferenti alle alterazioni dell’ecosistema che l’intervento umano provoca, prima o poi si andrà incontro a una catastrofe e sarà troppo tardi per porvi rimedio.
Il lavoratore non si rende conto che dietro questo sistema vi sono i grandi burattinai invisibili, né che tale sistema è un’invenzione e non la realtà. Anche se si accorgesse di ciò, non potrebbe tirarsi fuori perché la propria sopravvivenza dipende dai beni di prima necessità e questi hanno tutti un prezzo. Se non lavora, non accumula denaro e se non ha denaro non può sopravvivere. I marionettisti sanno che i lavoratori sono loro schiavi, così vivono al sicuro irraggiungibili sul trono del comando, giocando con le sorti di persone e cose, comandando lavoro con spirito d’onnipotenza, stravolgendo il mondo. Ma non è mai tardi per chiedersi se la vita possa essere ridotta al lavoro e al denaro, se quest’ultimi costituiscono veramente il suo scopo più alto, se l’umanità e la natura hanno un senso soltanto se interpretati come fenomeni legati al lavoro e al denaro. Porsi queste domande significa continua a interrogare la globalizzazione, non smettere di farlo. Vuol dire chiedersi se sia possibile soltanto questa forma di globalizzazione, che sfocia in un tecno-totalitarismo economico-lavorativo planetario oppure se sia possibile pensarne un’altra, che preveda degli scopi più alti del lavoro e del denaro e che non conduca al dominio terrestre dei capitalisti. Ma forse, per interrogare seriamente la globalizzazione, sarebbe necessario un blackout planetario, che interrompa per lungo tempo il congegno economico-lavorativo. Soltanto in questo modo, forse, l’umanità prenderebbe coscienza dell’estremo bisogno della luce per illuminare l’oscurità nella quale sopravvive.
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