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giovedì 22 ottobre 2009

FINE O REVISIONE DELL'ORA DI RELIGIONE?


- di Saso Bellantone
Di fronte alla crescita degli immigrati nel nostro paese, il viceministro allo Sviluppo Economico, il finiano Adolfo Urso, propone, per le scuole pubbliche e private italiane, l’insegnamento di un’ora di religione islamica alternativa a quella cattolica…e scoppia il putiferio. Fini e D’Alema approvano la proposta; Calderoli, Cota e Maroni la bocciano; la Chiesa, ovviamente, si schiera a favore del cardinale Bagnasco il quale, appellandosi al Concordato, definisce l’insegnamento della religione cattolica “parte integrante della nostra storia e della nostra cultura”.
È importante tenere a mente che siamo ormai nel nuovo millennio e che stiamo scrivendo le pagine di una nuova epoca dell’umanità, al grido della “diplomazia, dialogo, globalizzazione, diritti, pace”. In questo scenario, da un lato, la chiusura di buona parte della politica italiana nei confronti della proposta-Urso evidenzia quanto siamo bigotti e barbagianni. Dall’altro, il fondamentalismo cattolico che si ispira al cardinale Bagnasco, dimostra che siamo ancora troppo radicati nel passato e che affrontiamo l’avvenire in modo conservativo piuttosto che progressista.
Tutto questo fa rilucere, al di là delle apparenze e del falso profetismo propagandistico, la strettezza culturale che caratterizza la nostra politica; l’ignoranza e la mansuetudine delle masse che vanno dietro agli ecclesiastici; il paradossale atteggiamento dei ministri di dio nei confronti dell’unico comandamento cui da millenni si ispirano, introdotto dal Messia Gesù, celebrato dagli evangelisti e dallo stesso Paolo di Tarso: “ama il prossimo tuo come te stesso”.
Personalmente, credo che nella nuova era sia assurdo continuare a porsi il problema dell’ora di religione nelle scuole, sia cattolica, islamica, ebraica, buddista, taoista, are krishna, indiana o di qualsiasi altro tipo. L’educazione e la formazione scolastica dei giovani è qualcosa che non ha nulla a che vedere con la fede. Viceversa, la convinzione religiosa, nonché la sua pratica e il suo studio, è una scelta che ognuno compie individualmente e razionalmente, a meno che non la si erediti dai propri genitori.
L’intromissione dell’elemento religioso nelle scuole, come dimostra la storia, non è altro che un escamotage utile ad opera dei gestori delle religioni per fare proseliti e assicurarsi non solo la sussistenza, ma anche autorità, rispetto, considerazione negli affari politici e diplomatici dei paesi che abitano questo pianeta. Per questa ragione, le scuole dovrebbero essere prive di qualsiasi ora di religione e di qualsiasi segno d’appartenenza cultuale, sia il crocifisso, il burka, la mezza luna, la stella di david, il kippà, i dipinti indiani, i piccoli buddha ecc.
Il credo di una persona, in particolar modo di un giovane, è qualcosa che si decide nel proprio intimo o, al massimo, all’interno dei propri nuclei familiari. Anche le strade, le piazze, insomma qualsiasi spazio sociale dev’essere inteso come un luogo dove vigono le regole e gli ordinamenti giuridici che ogni singolo Stato si dà per il quieto vivere. Lo spazio della fede resta soltanto la propria intimità e i luoghi adibiti per svolgere i culti: chiese, monasteri, moschee, pagode, templi e così via.
In questo senso, una delle ragioni del calo dei cosiddetti “praticanti”, ossia i fedeli e i giovani, cattolici in particolare, che vanno a messa, è proprio il fatto che la religione cattolica è svolta nelle scuole e considerata una disciplina pari alle altre. Se lo studio di questa fede si svolgesse direttamente nelle chiese, negli oratori ecc. e non a scuola, forse assisteremmo a una crescita di praticanti.
I genitori dovrebbero essere i primi a sostenere e a realizzare l’idea di una scuola “religiosamente neutrale”, vale a dire di uno spazio, indipendente dalla fede, nel quale ciò che và coltivato, difeso e studiato è la storia e l’evoluzione dei popoli e di tutte le rispettive produzioni artistiche, letterarie, scientifiche e chi più ne ha più ne metta. Al limite, se proprio non si può fare a meno di considerare la religione una disciplina scolastica, sarebbe opportuno, dal momento che le religioni sono produzioni dello spirito umano, considerare l’ora di religione come uno spazio d’informazione, comprensione e dialogo. Questo significa che gli studenti italiani dovrebbero “studiare” davvero le religioni dei compagni provenienti da altre nazioni e, viceversa, quest’ultimi dovrebbero studiare la religione cattolica.
La fine dell’ora di religione esclusivamente cattolica o la sua reinterpretazione come momento di confronto tra popoli che, coi propri giovani, mirano alla costruzione di una grande società multiculturale e multietcnica, è una delle sfide decisive che caratterizzano il nostro tempo. Si tratta di educare i giovani, e con questi gli adulti, a considerare lo spazio pubblico un luogo nel quale si vive secondo le regole di ogni Stato (liberal-democratiche possibilmente); le scuole e le università una zona neutrale nella quale si coltiva il passato dell’umanità e si perfezionano i saperi, le scienze, le arti e le tecniche; la vita e la pace fra i popoli strettamente dipendenti dal rispetto di ogni singola persona, a prescindere dal credo che pratica.

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