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martedì 4 ottobre 2016

Versieri: ALLA SERA di Ugo Foscolo


- di Saso Bellantone
“Forse perché della fatal quïete
Tu sei l'imago a me sì cara vieni
O sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni,
E quando dal nevoso aere inquïete
Tenebre e lunghe all'universo meni
Sempre scendi invocata, e le secrete
Vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
Delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
Quello spirto guerrier ch'entro mi rugge”.

La sera è sempre toccante. Dà sempre da poetare e da pensare. Perché se la chiarezza del giorno rende ciechi, determinando tutto ciò che è nella sua apparenza, la penombra della sera, invece, mostra anche tutto quello che non è e non appare. Lascia vedere, persino dentro di noi e oltre l'orizzonte conosciuto.
Come un fiore sbucato dal mare o un demone appena uscito da un tempio, la sera viene inattesa e coglie sempre alla sprovvista. Ci trova sempre impreparati, vittime e carnefici a un tempo del mistero della vita in cui ci troviamo e delle errate decisioni e delle stagnanti incertezze che siamo.
Il suo arrivo è sempre ammaliatore. Come un miracolo per scienziati o un'equazione per sacerdoti, la sera attrae alla sua invisibile bellezza, rendendo una volta per tutte folli o savi.
Nel suo grembo si manifestano pensieri, emozioni e percezioni inaspettate, ricordi obliati e visioni inconcepibili, assurde intuizioni e molteplicità di prospettive prima ignorate e scartate inconsciamente perché ovvie e banali. Ma anche il bisogno di essere un tutt'uno con il proprio respiro e le proprie palpitazioni, di colmare il vuoto che dallo stomaco corrode la nostra coscienza, di conoscere su un piano universale e particolare come stanno le cose e qual è, davvero, la nostra identità e il nostro ruolo nell'esistenza; il nostro bisogno di ricominciare.
La sera parla un linguaggio svincolato da segni grafici e vocali. Guarda dentro di noi, come in una lastra priva di pellicola, e risponde semplicemente per quello che è e così com'è in quell'istante, donandoci esattamente quello che cerchiamo e cerchiamo da tempo. E noi, ci lasciamo accarezzare dai suoi consigli e travolgere dalle sue verità, trovando, finalmente, quell'ambiente, quello stato d'animo necessario per sopportare i tragici segreti di un cosmo, di una durata, di un incontro e scontro con l'alterità che spingono continuamente alla resa.
Così, grazie alla sera, proseguiamo il nostro viaggio nell'enigma che noi stessi siamo assieme a tutto il resto e a tutti gli altri, portando con noi quell'unica sensazione in cui sono racchiuse le parole della nostra fedele compagna.
Adesso, come scrive Foscolo nella poesia Alla sera, siamo legati alla sera, ci è cara. Forse perché è una metafora o un'anteprima di quella pace, di quel destino inesorabile cui tutto è soggetto, la morte definitiva, sia nel momento in cui cala nel mondo assieme alle nuvole estive e ai soffici venti di zefiro, sia quando proietta nell'universo le lunghe e agitate oscurità invernali, entrambe a loro volta allegoria dei nostri stati d'animo, della serenità e dell'agitazione che proviamo quotidianamente. Quando la chiamiamo, la sera scende, viene sempre a trovarci sostenendo con dolcezza i segreti sentieri smistati dentro di noi. Camminando con noi, ci fa seguire quelle orme che conducono al nulla eterno, all'inizio e alla fine di tutto, facendo svanire la caducità e i nostri tormenti. Avvolti nella sua pace, preludio di quella vera e definitiva, trova finalmente riposo e ristoro quel desiderio di conoscere che dentro di noi scalpita per tutta la vita, senza tregua.

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