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sabato 22 ottobre 2016

Il posto proprio


- di Saso Bellantone

Non era quello il loro posto. Bagnandosi, le foglie secche potevano far ruzzolare qualcuno giù dalle scale e rovinare la festa. Rustici, aglio e olio, vino e sott'oli erano soltanto l'antipasto di una notte da passare in allegria tra amici. Una rimpatriata, per incontrarsi dopo tanto tempo, ricordare i bei momenti vissuti assieme e rinsaldare i legami per i giorni futuri.
Non era quello il suo posto. Voleva bene agli amici, sì, ma alle riunioni spensierate, al continuo vociare e alle chiacchierate illimitate sul più e sul meno, Lazzaro preferiva l'ardua e abbondante riflessione sull'esistente, nella sua misteriosa interconnessione con tutto, e il rapimento della musica naturale, del concerto che in quella di notte di campagna sperava suonasse per lui.
Amava la campagna, la terra, qualsiasi cosa avesse un richiamo con il mondo fatato che aveva dentro e aveva accettato l'invito anche per cogliere l'occasione di starsene qualche minuto per i fatti suoi a fantasticare in mezzo al profumo della terra, degli ulivi e degli aranci.
Quella sera, però, non riusciva a lasciarsi andare. Qualcosa lo tratteneva nel mondo illusorio dei vivi, impedendogli l'accesso nel mondo vero dei sogni e degli incantesimi. Qualcosa intralciava la sua congenita predisposizione al magico, bloccandolo sulla soglia, anzi, sulla scalinata di Crono, al di qua del regno di Kairos.
Era la prima volta che gli accadeva e si sentiva impreparato, spiazzato. Dopo tutta la fatica per essere là, quella sera, i cambi di turno a lavoro, l'urgenza di trovare un passaggio, poiché la vecchia Renault 5 lo aveva abbandonato nel mezzo della statale, adesso non riusciva a sognare.
Cercò di capire il perché, di trovare in lui la ragione di quello stallo, di visualizzare la staccionata che non riusciva a oltrepassare, ma fu vano. Così, si aiutò con un esercizio per amplificare la sua concentrazione.
Cominciò a spostare, dall'alto verso il basso, tutte le foglie che il vento aveva depositato sulla scalinata. Con un piede, le raccoglieva pazientemente in un angolo, le buttava sul ripiano successivo e ripeteva la sequenza, sperando che questo lo aiutasse a trovare la soluzione, almeno, entro il tempo degli scalini e delle foglie disponibili. D'altronde, non era quello il posto delle foglie e, tra l'altro, qualcuno poteva farsi male, specialmente i bambini.
Fu allora che il silenzio divenne un boato e tutto ebbe inizio.
Lazzaro alzò gli occhi e vide una bambina vestita di edera e foglie di melograno che si muoveva nella sua direzione. I suoi passi scalzi erano talmente soffici da non far alcun rumore, come se le nuvole camminassero su un sentiero di cotone e da quest'ultimo dentro di lui. I capelli dorati erano raccolti in una treccina avvolta attorno alla testa, incoronata da fiorellini di campo. Tra le mani, unite come per trattenere dell'acqua fresca, la bambina reggeva una strana fonte luminosa.
Quando giunse innanzi a lui, la ragazzina gli sorrise e gli porse la lucetta. Incantato e senza pensiero alcuno, Lazzaro calò lo sguardo sul piccolo bagliore e il silenzio lasciò il posto alla musica e alle visioni.
Il canto di grilli, cicale e zanzare cominciò a diffondersi leggero nella fresca notte al chiaro di luna come sinfonia di un'orchestra fatta da minuscoli esseri che spuntavano da tutte le parti, da funghi, cespugli e sul dorso di gufi. Alberi autunnali, come vecchi uomini ansiosi di raccontare le loro storie, sorvegliavano immobili e rugosi l'antico rudere, ospitando tra i loro rami il sonno degli scoiattoli e la veglia delle civette. Le foglie dondolavano lentamente, cantando in sottofondo il motivo del concerto della natura notturna. In braccio a morbidi soffi d'aria, come tavole da surf per gnomi, fate e altri abitanti della fantasia, alcune di esse si staccavano dalle robuste vene delle piante e danzavano eleganti come graziose fanciulle in una pista fatta di sogni, posandosi ovunque: sulle automobili arrugginite, dimenticate anche dalla dimenticanza; sulla cuccia dei cocker, appisolati ognuno tra le orecchie dell'altro; sull'instancabile terra intenta ad alimentare la vita; sulle scale della vecchia villa, colorandole di svariate tonalità di giallo rosso e marrone; sulla testa di Lazzaro, imbambolato innanzi a quella meraviglia.
La luce che teneva tra le mani cominciò a pulsare in maniera intermittente. Poi, come bolla di sapone luccicante, si alzò piano piano in aria e raggiunse altre lucine intermittenti.
Erano lucciole, ed era davvero pieno, come se le stelle del cielo fossero scese giù per farsi ammirare da vicino.
Tutto era bellissimo.
«Chi sei?» chiese Lazzaro alla fanciullina che lo osservava silente e pacata, con quei grandi occhi colore del mare tropicale ma lei, come per incanto, svanì lentamente alla sua vista, lasciandogli un ultimo sorriso.
Lazzaro restò a bocca aperta e si strofinò gli occhi. Mise meglio a fuoco ma la bambina non c'era più.
Alzò ancora una volta lo sguardo al cielo. Le lucciole avevano invaso completamente la notte di quell'angolo di mondo, il buio di quella vecchia villa di periferia. Alcune di esse si posarono sugli alberi, sui cespugli, sul tetto e sulle pareti del rudere, sui lampioni, ovunque.
«Mamma mamma!» una vocina proveniente dal casolare ruppe l'incantesimo «Guarda! Le lucciole!».
Lazzaro si voltò e vide Carla, la compagna di scuola, prendere in braccio Danae, sua figlia, che a sua volta teneva sul palmo di una mano una lucciola e rideva.
Carla le diede un bacio sulla guancia: «Visto quanto sono belle?! Non ne vedevo una da quando avevo la tua età.»
«Possiamo tenerla?»
«Tesoro, le lucciole sono fatte per portare la luce a tutti, nel mondo, specialmente ai bambini e alle persone più sfortunate. Lasciala volare via assieme alle altre».
Danae lasciò che la lucciola prendesse nuovamente il volo e fece un cenno di saluto con la mano.
«Ti stavo cercando.» la donna si rivolse a Lazzaro «Vieni. Stiamo mettendo a tavola le nacatole e gli altri dolci. Aspettiamo soltanto te».
«Un attimo solo, Carla... arrivo».
«Ok non tardare».
«Dammi un istante e sarò con voi».
“Dammi un istante” ripeté Lazzaro nella mente, voltandosi nuovamente in direzione del sentiero e della campagna circostante, cercando invano la strana bambina che aveva visto prima. Non vi era tuttavia nessuna traccia di lei. Così com'era apparsa improvvisamente, allo stesso modo era sparita.
Si chiese se avesse immaginato tutto o se avesse assistito veramente a quel miracolo della natura. Poi, gettando uno sguardo alle scale, si accorse che erano nuovamente ricoperte di foglie secche.
“Non è questo il loro posto.” pensò, rendendosi conto di aver faticato per nulla.
«Ma per stasera, forse, è proprio il loro».

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