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lunedì 31 ottobre 2016

Al diavolo in padella


- di Saso Bellantone

«Sì pronto» rispose, sbadigliando e strofinandosi gli occhi.
«Allora, sei dei nostri oppure no? Ti ho inviato un whatsapp un'ora fa e non hai più risposto.»
«Dici?»
«Dico? Fabio vaffanculo! Non mi dire che stavi già dormendo?»
«Mirko t'incazzi se ti dico che ero nel meglio del sonno?»
«Se m'incazzo? E a me che me ne fotte? La vita è la tua. Ormai sei diventato vecchio. Nove di mattina, nove di sera. È questo il tuo tempo vitale. Poi sempre a dormire.»
«Non abbiamo più vent'anni. Abbiamo bisogno di dormire di più, il corpo lo richiede, così come richiede il tabacco, più tabacco.» disse Fabio, riaccendendo la sigaretta spenta sul posacenere.
«Veramente sarebbe il contrario, dovremmo dormire e fumare di meno. Sei sempre il solito sottosopra.»
«No, siete voi altri ad essere al contrario. Il mondo intero va al contrario.»
«Se se... finiamola con la filosofia e veniamo al dunque: ceni con noi in pizzeria per una rimpatriata o preferisci startene a letto coi tuoi fumetti?»
Fabio espirò il fumo e spense definitivamente la sigaretta, guardando l'orologio del pc appena riacceso, che segnava le 20:17.
«A che ora ci vediamo e dove?»
«Alle 21:00. Al diavolo in padella.»
Un brivido attraversò la schiena di Fabio.
«Ok ci sono. Il tempo di una doccia e arrivo.»
«Non ti ritardare al solito tuo! Chi tardi arriva male alloggia e, soprattutto, beve meno birra.»
«Sei tu il ritardatario e, soprattutto, il poppante.» Fabio sorrise, bevendo l'ultima goccia di Ceres che aveva di fianco al pc «Comincia a ordinare il primo giro.»
«Ah ah ah! Ora ti riconosco! Ok allora a dopo.»
«A dopo.»
Fabio richiuse il cellulare e, dirigendosi direttamente in bagno per fare la doccia, lo lasciò sulla scrivania, in mezzo alle cianfrusaglie di cui era sommersa. Accendini, filtri, cartine, tabacco, posacenere, muffin mangiati a metà, piatti sporchi, pezzi di pane, biscotti, tazzine, tovaglioli accartocciati, occhiali da sole, deodorante, gomme da masticare, chip, microchip, fili, saldatore, stagno, schede madri smontate, penne, pennarelli, fogli, libri, fumetti, fumetti e altri fumetti ancora. Horror, Splatter, Mostri, Satanic, Zagor e soprattutto Dylan Dog. Tanti Dylan Dog. Dall'Alba dei morti viventi a Il modulo A38 li aveva tutti, comprese le edizioni speciali, albi e almanacchi. Era talmente patito da aver aperto un blog sull'indagatore dell'incubo ed essere stato contattato dalla Sergio Bonelli per le recensioni ufficiali di ogni nuova uscita. Leggeva naturalmente di tutto, dai romanzi distopici alla poesia alle riviste specializzate di scienze e matematica, ma credeva che la letteratura horror avesse qualcosa in più. Considerava infatti la realtà troppo scientificamente provata, troppo scontata. La letteratura horror invece dava la possibilità di guardare il mondo da più di un'altra prospettiva e, in particolar modo, offriva l'occasione di osservarlo criticamente e da più vicino, pur essendo molto lontani da esso. Era questa la sua vita. Lavorava come riparatore in un negozio di computer di Sambiase, dal mattino alle 16:00, senza sosta, poi si dedicava interamente alla sua passione horror, tranne in alcuni casi in cui era costretto a portarsi il lavoro a casa. Il più delle volte, si addormentava sulla scrivania dove, tavolo da lavoro a parte, passava la maggior tempo a leggere e a recensire o a guardare qualche film o serie televisiva sempre di stampo horror. Una vita monotona, insomma, semplice ma per lui soddisfacente. L'unico contatto che aveva con il mondo esterno erano i social e alcune app con i quali si teneva in contatto con i vecchi amici. Li vedeva raramente, nelle ferie natalizie, pasquali o estive, a seconda dei casi, o come questa volta, per il ponte di Ognissanti. Lavoravano tutti fuori, chi al Nord chi all'estero, e un'occasione per incontrarsi e stare un po' assieme non se la sarebbe fatta sfuggire. Certo, se Mirko non l'avesse chiamato, a quest'ora starebbe ancora dormendo faccia alla scrivania.
Uscì dal bagno rapidamente e con la stessa rapidità prese i primi abiti che aveva sottomano, li indossò, raccolse i suoi inseparabili cimeli all'interno della borsa a tracolla verde militare – accendino, filtri, cartine, tabacco, auricolari, cellulare, moleskine e portafogli – e si fiondò fuori dalla porta ma non diede il tempo a quest'ultima di chiudersi che tornò indietro sui suoi passi, prese le chiavi di casa e uscì nuovamente ma tornò ancora una volta indietro per prendere gli occhiali da sole e, stavolta, uscì definitivamente. Malgrado l'ora fosse tarda, amava uscire con i Ray Ban rosa anche di notte. Aveva un rapporto morboso con essi: li considerava come un filo invisibile che lo teneva collegato al mondo dell'horror cui tanto era legato.
Arrivò al Diavolo in padella in ritardo di soli 5 minuti, come l'amico Mirko aveva previsto, sotto i raggi di una luna piena ora coperta ora no da una nuvola senza pioggia, che rendeva quella notte di Halloween davvero magica. Proprio come nei fumetti che amava tanto. L'ingresso del ristorante-pizzeria era al quanto scenico per quella sera: oltre la celebre insegna che recitava il nome del locale, alla sinistra della porta c'era un uomo travestito da diavolo con corna forcone e tutto il resto, dietro un barbecue completamente infuocato sulla cui griglia vi era un padellone fumante, che lanciava maledizioni e imprecazioni a chiunque entrasse.
«Stanotte avrò la tua anima!» gli disse l'uomo-diavolo, ridendo maleficamente.
«Vedremo chi l'avrà vinta.» rispose Fabio, contento della trovata.
Oltrepassata la soglia, una donna-diavolessa molto sexy, aveva un bichini nero attillato, le corna nere alla testa e le zanne da vampiro, gli disse: «Dimmi qual è il tuo tavolo o ti porterò via l'anima!»
«Puoi portarmela via, tesoro, non so qual è.» rispose Fabio, fissando, diciamo così, la parte migliore di lei.
«Ehi Fabio siamo qui! Lascia stare la diavolessa!» uno degli amici, Enzo, gli fece segno di raggiungerlo, ridendo e facendo ridere non solo gli altri amici che erano già seduti al tavolo e stavano aspettando lui, ma anche gli altri clienti seduti agli altri tavoli.
Fabio si sentì in imbarazzo e mandò a quel paese gli amici, dicendo alla diavolessa: «Sarà per un'altra volta, tesoro. A quanto pare, quello è il mio tavolo.»
«Ti accompagno io.» la diavolessa, avendo capito la situazione, lo prese sottobraccio e, una volta raggiunto il tavolo degli amici, gli diede un lungo bacio sulla bocca, destando l'invidia e la rabbia degli altri.
«Ci vediamo dopo, tesoro» disse infine a Fabio, facendogli l'occhiolino e andandosene, con una camminata pari alla sua bellezza e alla sua sensualità.
«Allora brutti stronzi, ne avete abbastanza o devo anche stendervi?!» Fabio prese in giro gli amici «Dov'è la nostra birra?»
Non fece in tempo a finire la frase, che subito un'altra diavolessa portò uno spillo di quattro litri di birra rossa, al puro malto, mentre un'altra portò i boccali. Le due lasciarono il tutto sul tavolo e prima di andarsene, mentre gli amici urlavano festosi per l'arrivo della birra, le diavolesse si avvicinarono a Fabio, lo baciarono entrambe sulla bocca e se ne andarono, dicendo anche loro: «A dopo tesoro».
Fabio guardò gli amici con un silenzio maggiore rispetto a quello che era appena sceso sul tavolo: «Ragazzi, evidentemente il mondo si sta mettendo sulla piega giusta.»
«Ma vaffanculo!» Saro, che stava già versando il liquido nei boccali, gli lanciò addosso la birra ridendo per la disperazione e provocando i commenti a raffica degli amici.
«Che vita eccezionale!»
«E sì sì!»
«Dio dà il pane a chi non ha i denti!»
«Bell'amico!»
La risata fu generale, specie per i ceffoni che le ragazze davano ai rispettivi fidanzati, con il beneplacito di Fabio naturalmente, convinto che quella sera fosse davvero speciale per lui, proprio come l'indagatore dell'incubo.
C'erano tutti. Mirko, detto “Il professore”, poiché sfoggiava saggezza su qualsiasi argomento si parlasse. Enzo, detto “Paul Newman”, per via del suo fascino col quale faceva crollare ai suoi piedi tutte le donne. Saro, detto “Il messicano”, data la sua sputata somiglianza con Benicio del Toro, e Ilaria, la fidanzata gelosa, detta “Adesso ti picchio io”, e si capisce perché. Alfonso, detto “Fonso”, semplicemente diminuitivo del nome, assieme ad Erica, la fidanzata permissiva, o meglio “per missiva”, in quanto ti mandava email, messaggi e whatsapp minatori, nel caso in cui si portava fuori a cena Fonso senza di lei. C'era Davide, detto “Golia”, per via delle sue dimensioni e perché mangiava sempre omonime caramelle a menta. Ignazio, detto “Vessicchio”, per via della sua fantastica somiglianza con l'omonimo maestro compositore. Sebastiano, detto “Sto arrivando”, data la sua spregiudicata rapidità intuitiva, e Penelope, la fidanzata, detta “Ferrari”, in quanto capace di rispondere prima ancora di formulare la domanda. Antonio, detto “Fringula”, per la sua nota somiglianza con uno strumento da pesca a mano. Infine c'erano Peppe, detto “Nek”, e si capisce perché, Giulio, detto “Omar” o meglio “O' mar”, in quanto è sempre al mare. E Franco detto “Franky” o anche “Banzai” e in alcuni casi “Arakiri” o “Il suicida” perché si getta a capofitto in qualsiasi questione e discussione, anche di estranei, prendendole di brutto.
Fu una serata divertente, passata in braccio ai ricordi e alle immancabili battute su ognuno, alternate da diversi boccali di birra, accompagnati da pizza di ogni tipo. Ogni volta che portavano un nuovo spillo o altre teglie e pietanze, le cameriere-diavolesse continuavano il loro rito, avvicinandosi a Fabio e baciandolo, il quale ormai ci aveva preso gusto, sia a baci sia all'immancabile “A dopo, tesoro”, mentre gli amici, rassegnati, si accontentavano di baciare soltanto la rossa alla spina. Quando ormai erano tutti sbronzi e si fece l'ora di andare, gli amici incaricarono Fabio di chiedere il giro di amari e il conto, data la sua confidenza con le diavolesse.
«Signorina... ehm, volevo dire, diavolessa!» Fabio chiamò la cameriera più vicina, la quale accorse subito al suo tavolo «Amaro per tutti e il conto per favore!» aggiunse, sporgendo le labbra nella sua direzione, in attesa che lo baciasse.
«Certo tesoro.» la cameriera lo baciò di nuovo, stavolta col coro da stadio degli amici, ormai abituati al suo trattamento privilegiato, che gridarono “Olè” assieme a tutti gli altri clienti, ormai parte di quella tavolata tra amici anche se erano seduti altrove.
La cameriera andò alla cassa e tornò assieme alle altre diavolesse, che portarono in ordine: un altro spillo di birra, una bottiglia di amaro, tanti boccali e bicchierini, specificando che quelli li offriva la casa, e il conto, fermandosi tutte rigorosamente da Fabio, per pagare, se così si può dire, la solita tassa.
Fabio si sentiva in paradiso, sia per l'alcool sia per il clima festoso che c'era in quel locale assieme agli amici sia per i continui baci che riceveva da una serata intera, quando, sporgendosi nuovamente in direzione delle cameriere, sbiancò improvvisamente.
Il volto delle diavolesse si era improvvisamente trasformato in quello rugoso di diavoli veri e propri, con i canini macchiati di sangue, gli artigli alle mani e la coda biforcuta. Fabio guardò lo spillo, la bottiglia e i calici e si accorse che erano pieni di una sostanza rossa troppo densa per essere birra. Era sangue, che gli amici tracannavano assetati come indemoniati, trasformandosi anche loro sotto ai suoi occhi in scheletri, zombie e mostri di ogni tipo.
Fabio si sentì come paralizzato. Si guardò intorno, in cerca di un punto di riferimento che gli assicurasse che stesse soltanto sognando ma fu peggio. Anche gli altri tavoli erano pieni di creature mostruose. Vampiri, uomini lupo, uomini pesce, spettri, streghe, uomini senza testa, senza un arto o con la gola tagliata, Freddy Krueger, Jason, Jack lo Squartatore, Mr Hyde, Frankenstein, c'erano tutti. Tutti i personaggi della letteratura horror che tanto amava erano in quel locale e stranamente interessati a lui. Persino la Signora Nera con la falce che, assieme all'uomo-diavolo che aveva visto all'ingresso del locale, si dirigeva nella sua direzione.
Le diavolesse lo bloccarono sulla sedia e spiaccicarono la sua faccia sul tavolo, mentre la Morte alzava la sua falce pronta per colpire.
«Te l'avevo detto che avrei avuto la tua anima» disse l'uomo-diavolo, con una macabra risata che coinvolse tutti i raccapriccianti spettatori.
«Lasciatemi! Lasciatemi andare!» urlò il ragazzo, agitandosi e tentando di liberarsi, mentre la risata cresceva a dismisura in boato assordante.
«Sei mio!»
«Noooo!!!»

Fabio si svegliò di soprassalto e sentì il cellulare che squillava.
«Sì pronto» rispose, sbadigliando e strofinandosi gli occhi.
«Allora, sei dei nostri oppure no? Ti ho inviato un whatsapp un'ora fa e non hai più risposto.»
«Dici?»
«Dico? Fabio vaffanculo! Non mi dire che stavi già dormendo?»
«Mirko t'incazzi se ti dico che ero nel meglio del sonno?»
«Se m'incazzo? E a me che me ne fotte? La vita è la tua. Ormai sei diventato vecchio. Nove di mattina, nove di sera. È questo il tuo tempo vitale. Poi sempre a dormire.»
«Non abbiamo più vent'anni. Abbiamo bisogno di dormire di più, il corpo lo richiede, così come richiede il tabacco, più tabacco.» disse Fabio, riaccendendo la sigaretta spenta sul posacenere.
«Veramente sarebbe il contrario, dovremmo dormire e fumare di meno. Sei sempre il solito sottosopra.»
«No, siete voi altri ad essere al contrario. Il mondo intero va al contrario.»
«Se se... finiamola con la filosofia e veniamo al dunque: ceni con noi in pizzeria per una rimpatriata o preferisci startene a letto coi tuoi fumetti?»
Fabio espirò il fumo e spense definitivamente la sigaretta, guardando l'orologio del pc appena riacceso, che segnava le 20:17.
«A che ora ci vediamo e dove?»
«Alle 21:00. Al diavolo in padella.»
Un brivido attraversò la schiena di Fabio.
Ricordò tutto. Le diavolesse, il sangue, la trasformazione degli amici, i mostri, il diavolo, la falce. Sogno premonitore o meno, si sentì terrorizzato a tal punto che per alcuni istanti gli mancò la parola.
«Non ci sono. Decisamente no.»

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