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lunedì 20 agosto 2012

LA CAPRA PER I GRECI DI CALABRIA



- di Giuseppe Delfino

Il greco di Calabria possiede un gran numero di termini inerenti il mondo agro-pastorale perché l'impoverimento della lingua (ma anche degli abitanti stessi) avvenuto nel corso dei secoli ha fatto sì che i termini preponderanti nella lingua siano stati quelli “pragmatici” della vita quotidiana che i Greci di Calabria degli ultimi secoli si son trovati a fronteggiare. Come sottolinea Gian Luigi Beccaria, ne “Tra le pieghe delle parole – Lingua, storia, cultura” (Einaudi, 2007), afferma che:
“Le lingue sono in realtà tutte ben “formate”, nel senso che sono tutte adeguate alla cultura che esprimono. Ogni distinzione importante per una determinata cultura tende ad essere lessicalizzata dalla lingua che appartiene a quella cultura. La ricchezza lessicale che ha un montanaro o un eschimese per denominare i vari tipi di neve non dipende da una maggiore capacità distintiva, ma da una diversa esperienza ambientale. Le lingue di popolazioni che vivono a stretto contatto con la natura e che si dedicano ad attività pratiche, magari non saranno adatte alla speculazione filosofica come il greco o il tedesco, ma abbondano per contro di parole per designare gli oggetti e le specie viventi che popolano l'ambiente circostante”. 
Un esempio importante è la “capra”. I pastori grecofoni designano con diversi vocaboli ciò che in italiano è reso con una parola sola; in greco di Calabria è presente il termine generale “èga” che deriva dal greco antico αίγα, (cfr. “Egospotami”, cioè il “Fiume della capra”, dove si svolse la battaglia decisiva tra Spartani ed Ateniesi nel 404 a.C., nel corso della Guerra del Peloponneso) ma anche altri più specifici : il prof. Filippo Violi nel suo Vocabolario Grecanico – Italiano – Grecanico (Apodiafazzi, Bova, 2007) registra molti significati, specialmente in riferimento al colore del manto, tra cui: 

“bàmpa” (capra con la testa bianca);
“lagopò” (capra dal manto color lepre); 
“livanì” (capra dal manto color incenso);
“sargopì” (capra dal manto nero e il muso bianco); 
“barbarisca” (capra con la testa bianca);
“ortocera” (capra con le corna dritte; parola composta da “ortò”, “dritto/ in piedi” (cfr. “ortodossia”), e “cèrato”, “corno”);
“asamo” (capra senza marchio);
“gastra/ egùddha” (capra di due anni).

Questo perché in una società agro-pastorale certe distinzioni sono fondamentali; la capra è un elemento essenziale della pastorizia in Aspromonte, e perciò in questo caso sono necessarie diverse sfumature semantiche. In altre aree del mondo dove essa o non è diffusa o non lo è molto, certe distinzioni non hanno bisogno d'essere. La sottofamiglia dei Caprini è diffusa in Europa, Asia ed Africa: in lingue come il quechua, la lingua degli Incas diffusa in Sud America, perciò, il termine “capra” non esiste.

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