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martedì 24 gennaio 2012

OLTREWEB Quando sacro e profano, a volte, si mischiano

- di Saso Bellantone
Buon meriggio web,
Stato e Chiesa sono due realtà distinte e separate, ragion per cui uno statista deve occuparsi esclusivamente degli affari dello Stato e un ecclesiastico unicamente degli affari di Dio. In teoria, è tutto chiaro. In pratica, tuttavia, non è sempre così, almeno non per tutti. Vi è ancora chi mischia sacro e profano, mediante delle affermazioni rievocanti tempi di roghi, caccia alle streghe, inquisizione, vendita delle indulgenze e quant’altro. Più esattamente, si deborda dal mondo ecclesiastico all’interno di quello statale, sostenendo che non pagare le tasse è un peccato. Detto altrimenti, chi non paga una qualsiasi tassa si macchia di una colpa mortale agli occhi di Dio, che deve essere evitata o quantomeno riconosciuta nel corso di una confessione, altrimenti si rischia di andare all’inferno.
Sulla base di quest’affermazione sembrerebbe che Dio preferisca occuparsi delle faccende statali e non di quelle spirituali e ciò è estremamente inquietante. Se dovessi chiederti, mio caro web, per quale ragione Dio non si è preoccupato degli oppressi e degli innocenti della storia, come per esempio degli ebrei nel corso della Seconda Guerra Mondiale e dello sterminio di massa che costoro hanno patito, alla luce di quell’affermazione potresti pensare: “perché non era una faccenda statale, dunque a Dio non interessava”.
Ora, malgrado il primo effettivo papa non fu Pietro ma Costantino, un imperatore che mise mano negli affari della Chiesa durante il Concilio di Nicea (325 d.C.), e i Patti Lateranensi assicurino l’influenza della Chiesa nei confronti dello stivale, sigillata da versamenti monetari annuali e tanti altri benefici che un cittadino qualsiasi non ha, forse dire che non pagare le tasse è un peccato, è inaccettabile. Non soltanto perché si rischia di creare un precedente sulla base del quale leggere la storia sotto un’altra prospettiva, rischiando di creare atroci fraintendimenti – come quello esposto sopra – ma soprattutto perché basterebbe, da parte di chi proviene dal mondo della Chiesa, orientarsi mediante le parole e i responsi del cuore pulsante della fede in cui crede: il Messia Gesù. Questi, quando fu accusato di istigare il popolo a non pagare le tasse, rispose: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è Dio” (Mt 22,21). Che significa: le incombenze dello Stato spettano allo Stato e quelle Dio spettano a Dio. Ma forse, ancora, qualcuno non ha chiaro neanche questo precetto… Possibile che Dio, se c’è, si preoccupi esclusivamente delle mansioni statali e non delle anime di chi crede in Lui? Come può Dio considerare il non pagare le tasse un peccato perseguibile secondo la legge divina? Non pagare le tasse è soltanto un reato, perseguibile secondo la legge dello Stato, non mediante quella divina. Dio, se c’è, non guarda nelle tasche e nei conti correnti della gente, né si preoccupa del loro rapporto col fisco. Ma c’è ancora chi pensa l’inverso, e cioè che a un ecclesiastico interessi quale posizione sociale possiede il fedele e se è a posto con il fisco, e che a un esattore delle tasse interessi se il contribuente va a messa, se si è confessato oppure no.
Medita web, medita…

1 commento:

  1. Evadere le tasse è un reato. Evadere le tasse significa rubare; rubare allo Stato e a tutti i cittadini onesti che le tasse, invece, le pagano. Siccome uno dei 10 comandamenti recita "non rubare", chi evade le tasse contravviene a questo comandamento e, quindi, commette peccato, oltre che reato....forse a questo si riferiva l'ecclesiastico. E questo vale per tutti i cittadini del mondo, non solo per gli italiani. Naturalmente per quelli che hanno fede. Chi, invece,non crede, dia almeno a Cesare quel che è di Cesare.....

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