IN QUESTO BLOG NON SI PUBBLICANO COMMENTI ANONIMI.

sabato 1 ottobre 2011

DELEGO, ERGO SUM: il motto dell'uomo del volgo

- di Saso Bellantone
Nel 1637 Cartesio (René Descartes) pubblica il Discorso sul metodo, un’opera rivoluzionaria per la storia della filosofia, perché è qui che si esprime il “Cogito, ergo sum”. Di che cosa si tratta? È un’espressione con la quale Cartesio deduce di esistere perché pensa: “Penso, quindi sono”.
Prima di Cartesio, le cose stavano diversamente. L’esistenza umana e del cosmo in generale si davano, platonicamente e paolinamente, per scontato. In braccio a questa certezza, si preferiva comprendere quale posto occupa nel cosmo l’esistenza umana, quale quella divina (Demiurgo), quale relazione intercorre tra le due. Per farla breve, si sosteneva che l’essere umano c’è, perché esistono le idee e perché è creato dal Dio-Demiurgo, che plasma le idee stesse (e le loro copie) con le quali ordina le dimensioni del cosmo: mondo apparente e mondo vero. L’esistenza umana, in sintesi, era considerata una copia dell’esistenza ideale e divina, dunque un’esistenza apparente. Per esistere “vera-mente”, l’essere umano doveva risalire all’esistenza ideale e divina, staccandosi da questo mondo in direzione di quello vero, dimora del Demiurgo stesso: l’Iperuranio. Per farlo, doveva usare il pensiero, adeguarlo a una realtà a lui pre-esistente.
Con Cartesio cambia tutto: niente si dà per scontato. Crollano le visioni platonica e paolina dell’ente in generale. Non v’è sicurezza a proposito dell’esistenza umana e di quella del cosmo. Per questo motivo, non ha importanza capire quale posizione occupa l’esistenza umana, quale quella divina e quale relazione sussiste tra le due. Almeno, non subito. Occorre, primariamente, stabilire qual è il metodo per giungere alla certezza. Il nuovo metodo impone l’abbandono del vecchio: se quest’ultimo imponeva di partire dal cosmo (o dal divino) per giungere all’essere umano, con il metodo introdotto da Cartesio, l’essere umano diviene il centro dell’universo, organizzatore del cosmo e di tutto il resto. Si ha di fronte una certezza non più reattiva bensì attiva. Il pensiero, l’attività del pensare diviene l’unico punto di riferimento a partire dal quale fondare quel che è certo e quel che non lo è. Il fatto di pensare, di pensar-mi, di avere cioè come oggetto del pensiero me stesso, evidenzia che io esisto. Il pensiero testimonia l’esistenza, la mia. Inoltre, il pensare a un altro oggetto diverso da me stesso –il cosmo intero, il Sole, un albero e via dicendo – il pensare-altro-da-me conferma che anche quell’oggetto esiste. L’esistenza, dell’essere umano o del cosmo in generale, si deduce con il metodo cartesiano dall’attività del pensare, dal pensiero. È un incontro tra momento soggettivo (colui che pensa) e momento oggettivo (ciò che è pensato). Tale incontro offre la realtà effettiva, la certezza, anche della propria esistenza.
Oggigiorno, portando alle estreme conseguenze il gesto cartesiano, si è passati a un nuovo metodo per stabilire la certezza e per dirimere la questione dell’esistenza o della non esistenza umana e del cosmo. Dal Cogito, ergo sum di Cartesio si è giunti al Delego, ergo sum dell’uomo del volgo. Di che cosa si tratta? È un’espressione con la quale l’uomo del volgo desume di esistere perché delega: “Delego, quindi sono”. Se con il Cogito, ergo sum si assiste al crollo del platonismo e paolinismo, con il Delego, ergo sum avviene il tramonto del cartesianesimo. Il Delego, ergo sum esprime l’atteggiamento che l’uomo del volgo sviluppa nei confronti di se stesso e del cosmo in generale: si pone infiniti interrogativi e aspirazioni ma, paradossalmente, delega ad altri il compito di risolverli e di ottenerle per lui. Inoltre, in questo modo diviene persino certo della propria esistenza e di quella del cosmo (che assurdità!).
L’espressione Delego, ergo sum manifesta l’uomo contemporaneo, cioè quello del volgo, il suo modo di pensare, la sua condotta. Egli è il centro propulsore di innumerabili domande e desideri ma, anche, la fionda che affida ad altri l’incarico di trovar soluzione ai suoi interrogativi e di realizzare le sue pretese. L’uomo del volgo è chi non sa e non vuole sapere, chi non fa e non vuole far nulla. È chi delega ad altri quel che dovrebbe sapere, quel che dovrebbe fare e tutto ciò che riguarda la sua vita e che, in questa maniera, stravagantemente, giunge alla consapevolezza della propria esistenza. Amore, amicizia, famiglia, sapere, lavoro, politica, informazione, salute, pulizia, diritti, doveri, tasse, cucina, abbigliamento, capigliatura, arti, scienze, tecniche, successo, decesso, miracoli, profezie, prodezze e quant’altro – tutto secondo l’uomo del volgo merita di essere delegato ad altri. Perché esistere, per lui, vuol dire delegare, nominare, affidare ad altri la sua intera vita, senza eccezioni. Per lui, esistere vuol dire soltanto ed esclusivamente delegare, delegare se stesso ad altri.
“Delego, quindi esisto”: questo è il motto dell’uomo contemporaneo, ossia l’uomo volgarizzato, massificato, omologato, livellato, standardizzato, spersonalizzato. “Delegare” è per l’uomo del volgo la parola d’ordine che manifesta la vera esistenza, l’esistenza in generale. È una parola per dire l’essere dell’ente contemporaneo: l’essere delega, si delega, è delegante. Ma che genere di esistenza si spalanca all’uomo del volgo, ogni volta che delega ad altri tutta la sua vita intera? Un’esistenza fatta di lamenti, rabbia, odio, invidia, idiozie, imprecazioni, urla immonde, chiacchiericcio, gossip, luoghi comuni, pagliacciate, bestialità, vuota apparenza, mode da branco, corse all’oro, controsensi, ignoranza e quant’altro. È un’esistenza monotona nella quale, delegando, si è eternamente subordinati ad altri e ad altro fuorché al proprio pensiero. Un’esistenza fatta del piacere della ripetitività assieme al resto del branco (quanto sopra descritto), nella quale si ama stare continuamente in mezzo al vortice di voci da armento che ingloba, annullandolo, ogni spazio vitale, fisico e virtuale, per diffondere una rete di spazi agonizzanti, schiavizzanti, opprimenti autoindotti.
Il Delego, ergo sum è la prassi dominante il mondo contemporaneo, la consuetudine sulla quale si fonda il potere. Malgrado il volgo si illuda oggigiorno di governare il mondo, il Delego, ergo sum manifesta logicamente il potere è nelle mani di pochi, di quei pochissimi che sono stati appunto delegati dai molti a gestire la loro vita, a comandare. Sono i pochissimi a diffondere e ad accertarsi il radicamento della logica del delegare nei molti, perché dal delegare scaturisce il loro potere. Finché si delega, non c’è esistenza per l’uomo del volgo ma soltanto una sub-sistenza, una vita appunto che si svolge al di sotto di chi si è delegato a gestire: una vita da subordinato, da schiavo.
Non è facile per l’uomo del volgo rendersi conto di questa logica paradossale e uscire dal limbo del delegare nel quale è finito. Occorre capacità, forse un po’ di fortuna. Basterebbe tuttavia guardarsi allo specchio e arrivare al paradosso più estremo per quella logica: delegare il volto che vi si intravede, vale a dire se stessi. Ciò significherebbe riprendere in mano la propria vita, pensare da sé, tornare a Cartesio e al Cogito. E non tutti ci riuscirebbero. Ma se ce la facessero pochissimi, allora e solo allora, per dirla con Nietzsche, sarà l’alba di una nuova aurora: quella di spiriti liberi, di solitari alcioni verso l’orizzonte infinito che abbiamo innanzi e in ogni luogo, noi stessi e il mondo, un tutt’uno.

Nessun commento:

Posta un commento