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giovedì 17 marzo 2011

Chi festeggia il 150° compleanno dell'Unità d'Italia?

- di Saso Bellantone
Oggi le città, le piazze, le chiese, i cinema, i musei, i centri commerciali, i siti internet, le tv, le radio sono sommersi da manifesti, mostre, celebrazioni, convegni, conferenze, presentazioni, video, spettacoli, fotografie, bandiere, stand, sit-in, striscioni, articoli, documentari e via dicendo per festeggiare il 150° compleanno dell'Unità d'Italia. Che cos'è il compleanno dell'Unità d'Italia?
Un festeggiamento al pari di tanti altri come quelli che avvengono il giorno di Natale, di Pasqua, del 25 aprile, del 1° maggio e così via. Che cosa si festeggia in queste occasioni? Il festeggiamento in sé e non qualcos'altro a cui rinviano quella data o il nome di quella data. Così come a Natale si festeggia la festa che avviene a Natale – e non la nascita del Messia Gesù – allo stesso modo ciò accade per il compleanno dell'Unità d'Italia e per qualsiasi altra ricorrenza. Oggi si festeggia la festa che avviene in tale ricorrenza, non quel che il 17 marzo richiama alla memoria e significa. Nella nostra società nichilistica, iperattiva, tecnologicazzata, mercificata, spersonalizzata, uniforme, non può essere altrimenti.
In una società del genere, in occasione di qualsiasi ricorrenza si festeggia la festa che avviene in quella stessa ricorrenza. La festa è un'occasione fine a se stessa, che scardina i ritmi frenetici della società, allo scopo di soddisfare le masse, per fare loro scaricare lo stress lavorativo, i problemi economici, lavorativi, personali, familiari, sociali e internazionali. Durante una festa qualsiasi, l'essere umano può fare festa, ossia può darsi allo shopping, alla baldoria, al riso, al tempo libero, alla trasgressione, alla pura perdita. Può passare il tempo assieme ad altri nelle città, nelle strade, nelle piazze, nei negozi, in montagna, in riva al mare o visitando altre città; può fare quel che vuole. La festa è un arresto del tempo normale della società, quello cronologico, ma anche l'inizio (e la fine, purtroppo per molti) di un tempo qualitativo (quantitativo, di fatto) nel quale dedicarsi a fare tutto quello che nel tempo ordinario non è realizzabile. Una festa, insomma, è soltanto un momento di svago: non è un'occasione per pensare o per ricordare perché in tale giorno piuttosto che in un altro si fa festa, né per richiamare alla memoria ciò che la festa significa e vuol ricordare.
In questa prospettiva, malgrado apparentemente il 150° compleanno dell'Unità d'Italia sia preparato da un anno a questa parte mediante micro-festeggiamenti, sotto-cerimonie e simili, di fatto, c'è chi desidera che tale occasione non sia un momento per ricordare ciò che richiama alla memoria né per pensarvi su. Tutto quel che avviene, in questo preciso momento, non è altro che un'illusione, un palliativo. I potenti operano sempre per garantire alle masse il momento di svago che si apre in questa e in qualsiasi altra occasione, e per impedire alle masse, dunque, di ricordare, di pensare. Qualsiasi cerimonia si svolge in un preciso arco temporale, durante il quale si dà la parvenza di pensare, di ricordare quel che accadde 150 anni fa, dopodiché si dimentica tutto. Per questo motivo, il 17 marzo 2011 non è altro che un giorno uguale a tutti gli altri, uguale a qualsiasi altra domenica, uguale alla finale dei mondiali 2008, uguale a qualsiasi altro Natale, Pasqua, 8 marzo, 19 marzo, 25 aprile, 1° maggio e chi più ne ha più ne metta. Dunque quel che si festeggia oggi è soltanto la festa in sé, lo svago fine a se stesso, il non pensare, la dimenticanza (di se stessi, degli altri, del tempo problematico in cui viviamo e del passato).
Se si osserva bene, tuttavia, chi festeggia il 150° compleanno dell'Unità d'Italia limitandosi a far festa, fa soltanto il gioco dei potenti, i quali sono consapevoli che il 17 marzo 1861 è una tappa decisiva per:

  • la creazione di uno Stato Mondiale governato da pochi o da uno soltanto, dopo il crollo delle Nazioni e dei Regni (dunque delle dinastie) trasformatisi in Repubbliche democratiche fondate sul lavoro;

  • la riduzione della vita in generale nel linguaggio del lavoro, del denaro e dell'economia;

  • l'omologazione di tutte le persone in un unico tipo umano che, incarnando i valori del lavoro, del denaro, del successo, del potere, è freddo, robotizzato, nichilista, liquido;

  • la mercificazione, robottizzazione e spersonalizzazione generale dell'essere umano, della vita, della natura;

  • la trasformazione della vita, della natura, del pianeta, in una immensa risorsa manipolabile e impiegabile allo scopo del dominio terrestre;

  • il resettaggio delle menti e delle coscienze per riprogrammarli in chiave lavorativo-economica;

  • la cancellazione dei vecchi valori quali l'amore, l'amicizia, la famiglia, la cura, il rispetto, l'onore, il dialogo, la comprensione, la fiducia, le fede ecc;

  • l'accelerazione sfrenata della vita in prospettiva di una maggiore e veloce circolazione dei beni, delle merci, dei servizi, dei capitali (umani e non);

  • la creazione di una nuova separazione in classi delle persone tra chi ha potere (i signori) e chi non ne ha (gli schiavi).
In questa prospettiva, chi festeggia il 17 marzo 1861 alla maniera di una festa al pari delle altre, di uno svago, non fa altro che celebrare e accettare il gioco dei potenti per la creazione di un dominio planetario, che si traduce nella prassi che caratterizza l'Italia di oggi, quella che, per sopravvivere, impone di:

  • scendere in politica, illudendo le masse di operare per il loro bene, quando invece si opera per il proprio tornaconto personale;

  • diventare magistrati e avvocati per difendere i forti (i signori) contro i più deboli (gli schiavi);

  • raccomandare parenti e amici nei principali posti di potere, di lavoro, di profitto;

  • pilotare le gare d'appalto e far vincere chi paga di più (sottobanco) rispetto ad altri, anche nella forma di scambio di favore;

  • commerciare armi, droghe, bambini, donne, organi e qualsiasi altra merce renda grandi profitti;

  • fregare i soldi alla gente dichiarando di operare in soccorso dei più bisognosi;

  • uccidere i propri figli, i propri genitori, i propri amici, la propria metà o qualsiasi altro sconosciuto si desideri in quel momento;

  • stuprare donne, bambini, idee, emozioni, speranze e sacrifici;

  • rubare i risparmi dei lavoratori tramite nuove tasse o semplici operazioni bancarie o azionarie;

  • obbligare gli operai a ridursi lo stipendio, quando si percepisce un incasso 100.000 volte superiore a quello di un singolo operaio;

  • costringere i laureati e i lavoratori al suicidio perché non trovano lavoro o perchè gli è stato tolto;

  • aumentare l'ignoranza delle masse mediante riforme delle scuola e dell'università che distruggono le scuole e le università pubbliche, favorendo invece quelle private, quelle cioè frequentabili soltanto dai potenti, dai capitalisti, dai signori o da chi ne è apparentato;

  • favorire l'illegalità, la malasanità, le mafie, la corruzione, il furto del denaro pubblico e dei finanziamenti, la disoccupazione e la disperazione;

  • muovere guerra ad altri Stati con la giustificazione di una “guerra giusta” o plagiando le menti mediante strategie di propaganda che riecheggiano gli Stati totalitari del secolo passato ecc.
Insomma, cari lettori, aggiungete voi quel che vi pare. Se oggi si celebra tutto questo, allora è meglio non fare gli auguri all'Italia né festeggiare. Anziché festeggiare o svagarsi, si dovrebbe ricordare ogni giorno, non soltanto il 17 marzo, che per decine di anni centinaia di migliaia di persone, provenienti da regioni diverse del territorio che oggi chiamiamo Italia, sono morte, si sono sacrificate per avere un terra unita e libera. Prendendo spunto da ciò, si dovrebbe cominciare a pensare che lo straniero, oggigiorno, ha un altro nome, che ricapitola tutto quel che attualmente avviene in Italia: è il capitalismo. Questo demone produce la globalizzazione, che è la base per la creazione di uno Stato mondiale che prevede la cancellazione di tutti gli altri Stati, Italia compresa, e la creazione di una nuova schiavitù: quella economica. Per impedire tale schiavitù, occorre combattere il capitalismo ovunque si nasconda, principalmente nel pensiero. L'auspicio, cari lettori, è che il 17 marzo 2011 segni il giorno dell'inizio di questa nuova lotta, in difesa della libertà e del diritto di esistere di ognuno; l'inizio di uno smantellamento del progetto di dominio globale di pochi e della costruzione di una planetaria convivenza onnilateralmente paritaria, per tutti.

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