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lunedì 30 novembre 2009

CROCE NEL TRICOLORE? NO GRAZIE!


- di Saso Bellantone
Il viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Roberto Castelli (Lega Nord), propone di mettere la croce nel tricolore e fortunatamente buona parte della politica italiana si dichiara contraria. Che cosa significherebbe mettere questo simbolo religioso nella bandiera dello Stato italiano? Brevemente, che l’Italia è uno Stato cattolico. Questo si scontra con il principio della laicità dello Stato, stabilito dall’art. 7 della nostra costituzione (vedi Concordato 1984), discusso dal sottoscritto in un altro articolo intitolato “Scuole e crocifisso: è divorzio”. Dal momento che l’Italia è uno Stato laico, è fuor di dubbio che la bandiera italiana deve restare il tricolore “verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni” (Costituzione art. 12), senza l’aggiunta di croci, asterischi, cancelletti e simili. Ma qual è il senso di trasformare la nostra bandiera nazionale? Perché proporre d’inserirvi la croce, simbolo del cattolicesimo? Dato che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che il crocifisso dev’essere tolto dalle aule scolastiche, proporre d’introdurre il simbolo della croce nella bandiera italiana risolverebbe il problema alla radice, con o senza aule scolastiche. Se questa proposta passasse, però – e la disapprovazione del mondo della politica dimostra che non si è sciocchi a tal punto – non solo rappresenterebbe una dichiarazione universale della cattolicità dello Stato italiano, ma provocherebbe seri problemi con le comunità diversamente religiose da quella cattolica che abitano il nostro paese. In sintesi, scatenerebbe un clima di tensione, fanatismo e intolleranza religiosa, capace di provocare seri problemi per la nostra società e mettere in pericolo la vita dei cittadini del nostro paese. Di fronte all’intolleranza che la Lega Nord ha ostentato ripetutamente a scapito degli immigrati – persone di etnia, cultura e religione diversi dai nostri, ma sono sempre persone come noi – si spera che la proposta Castelli non sia il tentativo di strumentalizzare il simbolo dello Stato italiano e quello della chiesa cattolica – due realtà, nel proprio ordine, indipendenti e sovrane, come recita l’art. 7 della Costituzione – per pilotare, e risolvere una volta per tutte, la questione dell’immigrazione. Auspicando un veloce ritiro della proposta in esame per evitare brutti fraintendimenti e sciagure per motivi religiosi, è bene farsi una domanda: “Che cosa penserebbero dell’alterazione del tricolore tutti coloro che sono morti per l’unità d’Italia?”. C’è poco da dire. Immettere la croce nel tricolore significa non solo sputare in faccia ai nostri “caduti per la patria”, ma anche cancellare in un attimo il loro sacrificio per realizzare il sogno di un’Italia unita. Per anni il Papato – il cui simbolo è appunto la croce – si è opposto all’unità d’Italia, perché ne andava dei propri territori e dei propri beni di cui si era impossessato con astuzia. Ma il sogno di libertà, di unità, di patria del nostro popolo, alla fine, ha avuto la meglio, anche se pagato con il sangue e la morte. In questa prospettiva, fondere la croce con il tricolore significa non solo restituire al Papato quel che gli è stato tolto – e di cui in origine si era appropriato illecitamente – ma l’intera Italia, trasformandola in un immenso stato vaticano. Dal momento che l’Italia è uno Stato laico, cioè non ha preferenze religiose e garantisce a tutti i cittadini di praticare qualsiasi credo preferisca (nei limiti della legge), e tutto questo – e molto altro ancora – è simboleggiato dal tricolore, sento il dovere di affermare: “No! Il tricolore non si tocca!”.

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