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lunedì 19 novembre 2012

Polvere d'oro


- di Nadia Caruso
Brancola.
L’uomo brancola, incerto, striscia per le strade, rifiuto del mondo.
Non si erge, non vive... Strattonandosi sulle esuli braccia, rincorre una vita che il più delle volte non è altro che conservazione, scarnificazione della realtà.
Teme il mondo, fugge la luce quanto il buio, terrorizzato dall’idea di divenire preda di uno e dell’altro, esaltandosi o serbandosi rancore, riservando agli altri quel briciolo di umanità che dovrebbe smettere di negare a se stesso, vittima incauta della propria disumana crudeltà.
L’uomo brancola e, così facendo, si chiude gli occhi, condannandosi alla pura e semplice sopravvivenza.
Intrappola la visione di sé, degli altri, smarrisce pian piano i confini di quel mondo che, fumo in dissoluzione, gli sfugge tra le dita, come i granelli di una sabbia troppo sottile da trattenere volontariamente.
Ma la sabbia è fastidiosa, si sente in bocca, sulla pelle, negli occhi arrossati di pianto, tra i denti digrignati da falsi sorrisi, sulle mani sporche del sangue di ogni ideale massacrato dolcemente ed ha il retrogusto agrodolce della contaminazione.
La sabbia sinuosa subdolamente s’infila tra le crepe dello specchio, che riflette nient’altro che una vanità incrinata. Ogni granello è uno sguardo malato, osserva la direzione del divenire dell’uomo, il fiorire di ogni sua idea, di ogni esperienza che lo rende uno ed unico e, attratto da quella unicità, lo spinge a deviare il proprio percorso, in favore di quella direzione che è anche il vettore guida dell’esistenza umana, la necessità di essere uno al pari dell’altro, sempre più simili, sempre più uguali.
I confini svaniscono, svanisce ogni linea di demarcazione e omologandosi alla morale comune l’uomo non percepisce più le differenze né il dolore né la gioia, semplicemente continua ad andare avanti, sbattendo contro quella figura che imperterrita gli va incontro e che ormai stenta a riconoscere come propria, nonostante sia confinata nella cornice lucida di uno specchio.
Continua a camminare, quasi per inerzia, confondendo perfino il rumore dei propri passi, ovattati dalle schegge di quel vetro nel quale si è ormai perso ogni riflesso, confuso in mille altri simili e speculari.
La percezione muta, senza che se ne abbia il minimo sentore, e lo sdegno per ciò che una volta era anormale si smussa. La volontà levigata e corrosa non si oppone più, preda e schiava dell’abitudine.
Scivola, viscida e appiccicosa, l’accettazione, rifugiandosi tra le pagine buie dell’animo umano.
Titaniche lotte vengono intraprese da chi, ingenuo superstite, tenta di opporsi a quel mare di sabbia per non restarne affascinato e poi sommerso, mentre già le orecchie risuonano di melodiose carezze, trappole ipnotiche delle sirene del nostro tempo.
Oasi del pianto, colme di lacrime mai versate, le macerie dei corpi si riversano su spiagge di morbida sabbia, briciole di convenzione sociale che assorbono personalità e precisione, fagocitando tutto ciò che la mente rappresentava in tempi passati, nella sola attesa di tramutare in aridità quei relitti di carne ormai a un passo dall’oblio.
E allora si aprono gli occhi, nonostante la sabbia, ci si lava la bocca, lasciando scivolare via insieme alla sabbia le parole non sentite e i gesti di convenienza. Si scrolla di dosso quella sabbia che è dannatamente appiccicata ad ogni angolo, con le mani, le braccia e poi le labbra le unghie e i denti, tentando di fuggire quell’imposizione di unità che brilla ancora sulla superficie deturpata dello specchio rotto.
Ma ogni sguardo è ormai spezzato, ogni gemito soffocato, e risulta enormemente difficile anche solo tentare di proferire parola dal momento che tutto, respiro compreso, è inesorabilmente soffocato dalla sabbia.
E tu, sconsiderato spettatore, sei cambiato.
Scrollandoti di dosso tutta la sabbia inizi ad assottigliarti, apprendendo così la realtà dalla quale vorresti fuggire. Trovi il punto fermo all’incompletezza di quella frase di cui ti riscopri ombra.
Il tuo corpo, il tuo volto, il tuo cuore si sbriciolano in pezzi sempre più piccoli, svelandoti orrore e disperazione in una pioggia dorata, frutto delle contaminazione delle quali ti stai liberando, ma anche dei frammenti di te che, per esse, hai sacrificato.
Tu, omuncolo insignificante, ti sei venduto al miglior offerente ed ora, tra nugoli di polvere splendente, ti riveli per ciò che sei: un lurido piccolo granello di sabbia dorata.

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