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giovedì 22 novembre 2012

SCILLA di Oreste Kessel Pace



- di Saso Bellantone
Che senso ha la bellezza o il lavoro o finanche l'immortalità, se non si ha l'amore? È come un continuo susseguirsi di attimi senza tempo, monocromatici, insipidi, perennemente uguali a se medesimi. La vita perde il suo fascino, la sua ebbrezza, scadendo in una grigia ripetizione il cui fine è la reiterazione stessa, senza sosta né possibilità del nuovo. Si diviene schiavi di un'assidua nullafacenza o anche di una perenne operatività, nei quali ogni gesto, percezione o parola perde il gusto dell'accadere e la ragione sprofonda nelle inaccessibili dimore dell'oblio.
L'eterno susseguirsi dell'insensato ha però le gambe corte, perché il fato, o la divinità, adora giocare con la vita umana, evocando i più semplici sortilegi e muovendo il demone più potente di tutti: l'amore. Ecco che, allora, la vita torna a mostrare il suo volto più seducente ed euforico, e il tempo fa la sua comparsa per misurare l'esordio di ogni istante, nel quale ogni avvenimento, sensazione o discorso, tessuti dai fili invisibili della causalità, acquista una sola traiettoria verso un'unica meta: l'amata/o.
Nel disperato tentativo di far breccia nel cuore di quest'ultima/o, la ragione s'inabissa doppiamente nella dimenticanza e diviene folle, compiendo numerosi prodigi e superando qualsiasi ostacolo. Ma il destino, o il dio, come assaporando il frutto più prelibato della pianta dell'esistenza, ha già stabilito l'epilogo. Deviando gli ultimi passi che portano alla felicità, condanna gli esseri umani a un dolore, a un terrore e a un'angoscia tali che nemmeno la morte è in grado di curare, perché l'amore resta soltanto un sogno e la propria mostruosità diviene la solitaria realtà con la quale si è condannati a vivere in eterno.
In Scilla (Città del sole Edizioni), Oreste Kessel Pace rispolvera una delle storie d'amore più avvincenti e più tragiche della letteratura mondiale, quella di Scilla e Glauco, proponendo al lettore di riflettere sull'insensatezza del procedere umano, continuamente orientato alla ricerca dell'estetismo perfetto, della ricchezza e della realizzazione del proprio desiderio della potenza (l'odierna immortalità). Senza l'amore, l'essere umano vive continuamente in una triste ciclicità fine a se stessa. Con l'amore, invece, sperimenta degli attimi eterni che danno significato a un'intera esistenza. Non è detto, tuttavia, che tali istanti conducano a felicità certa. A volte, il vortice della società ci strappa quel pizzico di umanità restante e ci trasforma in creature talmente bestiali e orrende da allontanare da noi l'amata/o. È inutile affannarsi nella speranza di conquistarla/o. Da un lato, perché con la nostra irreversibile metamorfosi, l'abbiamo già perduta/o per sempre; dall'altro lato, perché con la nostra ostinazione, rischieremmo di trasformare in un mostro persino chi ha infranto il nostro cuore.
L'amore, in definitiva, resta la perla più preziosa di un'intera esistenza. Anche se dovesse finire male e dovesse restare soltanto un ricordo, questo è quanto trasmette Oreste Kessel Pace con il suo Scilla, varrebbe la pena di essere vissuto.

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