IN QUESTO BLOG NON SI PUBBLICANO COMMENTI ANONIMI.

domenica 6 novembre 2011

CUORE DI CANE di Michail Bulgakov

- di Saso Bellantone
Pubblicato nel 1967, dopo anni trascorsi tra la polvere e l’oblio degli archivi segreti del KGB, sotto il peso del sigillo stalinista che ne vietò la pubblicazione assieme a tante altre opere perché ritenute contrarie all’ideologia e alla realtà comunista, Cuore di cane è una delle prime opere satiriche che Bulgakov, abbandonata la professione di medico, scrisse nel periodo successivo alla rivoluzione del ‘17, in un arco di tempo in cui la Russia si configura sempre più in un regime totalitario comunista.
Ambientata nella caotica Mosca di quel periodo, la storia, a primo impatto, non sembra dare spazio al crescente dinamismo sociale e ideologico del partito, che altri scrittori dell’epoca si affannano a descrivere e a fotografare, nel bene e nel male. Pare che l’autore se ne disinteressi. Ma alla fine, in modo segreto, celato, confuso alla narrazione, tutto sembra rinviare a quell’atmosfera. Malgrado non sia stato celebrato allo stesso modo di Maestro e Margherita, pubblicato in seguito, Cuore di cane dimostra come la letteratura, metaforicamente, sia capace di parlare di tutto. Risalendo ogni flutto cangiante di ogni singolo fiume del pensiero e della vita umana, la letteratura è in grado di coglierne l’essenza, la scaturigine nascosta, anticipandone gli effetti e le manifestazioni conseguenti.
In questo breve racconto, che si svolge nella realtà comunista e che preannuncia il suo divenire totalitarismo, Bulgakov offre, con raggiante estro creativo e metaforico, la sua interpretazione del mondo in chiave esistenziale e politica. Cuore di cane si compone infatti di due parti e la seconda di queste colora di nuova luce la precedente, riportando il lettore all’inizio, ossia nel contesto storico-politico durante il quale il racconto è scritto, che diviene anche una metafora della vita.
Dietro la vicenda del cane Pallino si cela la quotidianità che ognuno di noi vive, in rapporto al desiderio dell’altro. Malgrado le bastonate che riceviamo nel corso della vita e che spingono a nasconderci dietro i rifiuti del nostro io sociale, dietro i nostri istinti animali, restiamo affamati, malati, tormentati dal desiderio dell’altro. Abbandonati dietro il cumulo d’immondizia che ci travolge e ci nasconde persino a noi stessi, sperimentiamo la monotonia di una grigia esistenza ma non riusciamo a fare a meno degli altri. Così, cominciamo a sognare che il grigiore circostante svanisca, per mezzo di uno splendore capace di realizzare i nostri desideri più nascosti. Tuttavia rimaniamo consapevoli che quella chiarezza non ha origine esclusivamente in noi: dipende dall’incontro con l’altro. Allora iniziamo a sperare che qualcuno dei passanti, finora una cornice e uno sfondo nel nostro opaco mondo, si accorga improvvisamente della nostra presenza e accenda il buio lercio della nostra esistenza coi sfumature più luminose. E, talvolta, tutto questo accade davvero.
Quando qualcuno si accorge di noi e ci offre l’occasione di realizzare quei sogni che hanno contribuito a rendere un inferno la nostra solitaria esistenza, in un attimo cambia radicalmente tutto, persino gli occhi con cui osserviamo il mondo. In quei momenti, cominciamo a sudare gioia da tutti i pori, a fidarci ciecamente dell’altro che, in un misero istante, diviene il centro del nostro mondo, per via dell’attenzione che ha nei nostri riguardi; una cura, in fin dei conti semplice, come la prima volta che ci ha teso la mano, fatta dunque di sorrisi e dei parole. Il nostro nuovo baricentro esistenziale non ci abbandona mai e continua a splendere il più possibile per mantenere illuminato il nostro mondo, anche se, a volte, la nostra indole, l’ingenuità o la gelosia, ci fanno commettere degli errori.
Spesso ci siamo ritrovati anche nei panni del dottor Preobraženskij, ci siamo accorti cioè che qualcun altro ha bisogno di noi, delle nostre cure. Però, finiamo nel prendere troppo alla lettera questa voglia di dedicarsi all’altro e la situazione ci sfugge di mano. Infatti, inconsapevolmente, tentiamo con tutto il nostro impegno di cambiare l’altro, di trasformare il suo modo di percepire le cose, modificando radicalmente il suo modo di orientarsi nella vita, la sua storia, la sua identità. Lo facciamo diventare il totalmente opposto rispetto a quello che abbiamo incontrato un tempo, tramutandolo in un ibrido tra ciò che era e ciò che è diventato, e la sua metamorfosi finisce per ripercuotersi, oltre che su di lui, anche su di noi.
Col tempo, maturiamo la consapevolezza che l’altro non diverrà mai quello che avremmo voluto che diventasse, perché c’è sempre qualcosa, nella sua più profonda interiorità, che avrà continuamente il sopravvento sull’enorme quantità d’informazioni che gli abbiamo inculcato e sulla miriade di trasformazioni cui l’abbiamo sottoposto. Allora ci sentiamo responsabili di quanto abbiamo fatto e ci rendiamo conto che la nostra vera intenzione non era cambiare o curare l’altro, ma soltanto noi stessi. Comprendiamo che volevamo appagare noi stessi, le nostre pulsioni, i nostri desideri reconditi e i nostri fini più grossolani. Innanzi a questa consapevolezza, pur accorgendoci che ormai è troppo tardi per porvi rimedio, tentiamo di rettificare in qualche modo e finiamo invece per rovinare tutto. Allora l’altro si scaglia contro di noi, avanzando il desiderio legittimo di essere, di vivere così com’è diventato. In alcuni casi, quando capiamo che l’altro è divenuto migliore di noi, non lo accettiamo. Così, presi dall’ira e dalla delusione, tentiamo di sbarazzarcene e di dimostrare la nostra superiorità, colpendolo nel profondo del suo essere.
Malgrado Cuore di cane presenti una metamorfosi reversibile, sappiamo che, nella vita vissuta, non è così. Non si può tornare indietro, non ci si può liberare facilmente delle mentite spoglie che abbiamo indossato per anni e degli occhi con cui abbiamo osservato il mondo per tanto tempo. Si è costretti a vedere con degli occhi e a indossare un abito, che non sono nostri. E qui si spalanca la prospettiva politica di Cuore di Cane.
La vicenda di Pallino rappresenta la vita condotta da molti nei tempi in cui la Russia, dopo la rivoluzione d’ottobre, continua la sua marcia inarrestabile per configurarsi come totalitarismo. Bulgakov descrive un uomo solitario, affamato, malato, bastonato, ansimante, disperato; un uomo consapevole che ogni giorno, in ogni istante, può trovarsi di fronte a morte certa e che, non smette di sperare, di sognare che tutto cambi in meglio. L’incontro di Pallino con il dottor Preobraženskij raffigura l’incontro col partito. L’uomo di Bulgakov è l’ammalato, l’infermo; il medico è l’uomo nuovo, chi ha ritrovato e offre ad altri la salute; la cura è l’ideologia comunista, il partito; la malattia è l’inutilità, la solitaria staticità di ognuno, l’interesse personale, la speranza individuale di realizzare la propria felicità.
L’uomo che descrive Bulgakov è tolto dalla strada, è sfamato, curato, messo a nuovo, cioè perde la propria identità per acquisirne una nuova, quella comunista. L’uomo di Bulgakov non è più un uomo: è l’ombra di se stesso, lo specchio del buon soldato-compagno al servizio del partito e delle sue pretese di dominio totale. È educato secondo gli ideali del partito, è chi perde la propria individualità per divenire copia dell’altro, uno qualunque, un numero, un oggetto utilizzabile e intercambiabile con ogni altro. L’uomo di Bulgakov è strappato alla strada e a se stesso per essere trasformato in un mostro, in un ibrido tra ciò che è umano e ciò che non lo è più. In Cuore di cane, Bulgakov esprime il suo terrore di fronte alla metamorfosi comunista cui è soggetto l’uomo. La reversibilità della metamorfosi di Pallino, rappresenta l’ultima speranza di Bulgakov contro l’ideologia comunista che si diffonde come un virus nelle menti di ognuno, è il sogno di poter tornare indietro, di poter riconsegnare a ciascuno la propria identità, il proprio pensiero, la propria individualità. È un sogno irrealizzabile in tempi brevi – così è stato – e che cerca di farsi strada tra le macerie del vecchio impero sovietico e dei vecchi ideali frantumati.
Ognuno, nel corso della propria vita, passa da un’identità all’altra per mezzo degli altri, siano esseri umani, idee, pensieri, convinzioni, dubbi o quant’altro. In Cuore di cane, Bulgakov sottolinea che, in questa continua metamorfosi, occorre trovare le forze per tornare sempre a essere quello che si è sempre stati, prima di qualsiasi incontro. Dentro di noi, alberga sempre un “cuore di cane” che tiene vivo il ricordo della nostra identità più profonda*.

*Recensione del 5 giugno 2007.

Nessun commento:

Posta un commento