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domenica 26 giugno 2011

L'ARTE PERIFERICA: intervista a Valentina Sofio

- di Saso Bellantone
Cantautrice, polistrumentista autodidatta, Valentina Sofio comincia la sua carriera musicale negli anni ’90, partecipando a festival e iniziative musicali di varia natura. Nel 1998 incontra Mario Lo Cascio e diventa un’assidua frequentatrice della Saletta, un laboratorio musicale e sala-prove dove affina il suo amore per la musica. Nel 2000 segue la cantante Maria Carmela Gioffré in un tour invernale, nel ruolo di percussionista e corista. Nel 2001, insieme a Mario e al chitarrista Domenico Calabrò, Valentina forma il gruppo di musica popolare Discanto, nel ruolo di cantante principale, percussionista e di autrice, con il quale svolge molti concerti in Italia e in Francia e partecipa a festival e programmi radio-televisivi. Nel 2001/2002 interpreta un brano di Irene Grandi durante il programma televisivo “Domenica in”. Nel 2003 partecipa all’Accademia di Sanremo, con il suo brano “Questo amore”. Nel settembre dello stesso anno parte in tour con i Discanto, esibendosi in vari locali e quartieri di Parigi e nel 2005 il debutto discografico dell'album Chista Maìa dei Discanto, riscontra un enorme successo nazionale. Dal 2007 al 2010 Valentina collabora come tastierista o batterista con alcune band, quali i Ganja Garden e la Boku’s Band e comincia a pensare al progetto da solista “Ombra in Penombra”, con il quale svolge molteplici concerti e live. Questo progetto diviene il primo album da solista di Valentina, in uscita nel mese di luglio 2011.

Come ti sei avvicinata alla musica?
Innanzitutto grazie alla mia famiglia. Mio padre è musicista, mia madre cantante, e all’epoca si sono conosciuti così. Credo di essere nata con un po’ della loro musica e da loro mi sento sempre molto stimolata. Da piccola ascoltavo la musica che c’era attorno a me. A 5-6 anni ho avuto a che fare con i primi strumenti e a 7 anni ho scritto la prima canzone, banale forse ma indicativa: “I fiori sono belli”. Il primo strumento a cui mi sono avvicinata è stato il pianoforte. Intorno ai 10 anni ho iniziato a studiare musica con mio padre e qualche anno dopo ho deciso di proseguire da autodidatta, di passare dallo studio teorico a quello più pratico: una sorta di ricerca di una sintonia con lo strumento, di una poesia. La passione vera e propria, però, è esplosa con l’incontro di Mario Lo Cascio e de La Saletta. Quest’ultima mi ha offerto la possibilità di potermi esprimere in maniera completa con tutti gli strumenti che forniva, di imparare da tutti i musicisti che là ho incontrato e, nell’occuparmi della sua gestione, di capire che la musica è anche una responsabilità. Con La Saletta ho tirato fuori il mistero della musica che avevo e che ancora oggi porto dentro di me. È stata una vera fortuna. Tutto quello che mi serviva per comporre c’era. Ho iniziato a scrivere dei testi, a immaginarli musicalmente inserendo batteria, chitarra, pianoforte, voce eccetera. Poi ho cominciato a registrarmi da sola a casa, con il computer e a lavorare sugli arrangiamenti anche in modo più preciso e accurato. È stata la fortuna di diventare polistrumentista, di conoscere tanti amanti della musica, di tirar fuori tutta la musica che è in me.

Come avviene il tuo passaggio dalle band a questa nuova esperienza da solista?
L’esperienza da solista mi ha sempre affascinato ma anche quella con le band è stata musicalmente e socialmente formativa. Frequentando assiduamente La Saletta, ho deciso di dedicarmi interamente allo studio della musica perché la considero l’arte più vicina a me rispetto alle altre e agli altri saperi che si studiano a scuola. L’esperienza con le band è stata un’altra forma di studio. Col tempo, però, le band non mi saziavano più. Sentivo che c’era dentro di me una povertà della musica che desiderava fare ascoltare la sua voce e ho deciso di lasciare che questa voce si esprimesse, venisse fuori. Nelle mie canzoni infatti abbraccio molte tematiche che rinviano a esperienze vissute, le quali non vedevano l’ora di comunicarsi mediante il linguaggio della musica, la parte di me nella quale più mi rivedo.

Che cos'è la musica?
La musica è un’esigenza. Mi accompagna da sempre con la sua spontaneità in ogni momento della vita, sia quando sono io stessa a suonare sia quando lo fanno gli altri. C’è sempre. Persino a pranzo o a cena sento l’esigenza di suonare, di cantare: con le mani unte, prendo la chitarra e suono. Lo strumento stesso prende il profumo della quotidianità. La musica mostra la mia quotidianità. Non potrei farne a meno. La musica è un messaggio importante: possibilità di unirsi agli altri e di imparare ad ascoltare, se stessi e gli altri.

Cosa pensi riguardo al senso, allo scopo e agli usi della musica, sia a livello individuale sia sociale, nel mondo contemporaneo?
Negli ultimi anni, i mass-media hanno banalizzato la musica, trasmettendo un’idea della musica troppo frettolosa, troppo commerciale. Si pensi ai reality musicali che incitano alla competizione non costruttiva, che illudono lo spettatore trasferendo un’immagine della musica come un viaggio rapido, breve e un punto d’arrivo prestabilito: il successo. La musica, invece, è un viaggio che non ha mai fine. Si dà troppo valore al successo e alla musica intesa come un prodotto commerciale, con la quale diventare famosi e arricchirsi. I reality sono costruiti appositamente per disturbare le nostre orecchie e i nostri occhi, per masturbare le menti. I ragazzi che vi partecipano, quando poi ne escono sono portatori di un concetto della musica a lei estraneo, il banale. Non portatori sani della vera musica. In termini tecnici, poi, si tende a creare i medesimi arrangiamenti standardizzati, orecchiabili sì ma incapaci di toccare il cuore della gente. Alla fine, insomma, di contenuti e di musica non c’è niente. Alterano la musica e rovinano le nuove generazioni, che tentano a tutti i costi di partecipare a questi reality pensando che là ci sia la musica. Poi però, giunte là, non la incontrano affatto. Lo spettacolo non è la musica: Dalla, Fossati questa è la musica. Privi dei mass-media e dei reality, questi cantautori si sono affermati girando il mondo e raccontando con la musica quello che vedevano, anche suonando gratuitamente. La musica è la gente stessa, la racconta. Non puoi stare dietro una telecamera: devi andare incontro alla gente, incontrarla, incontrarne la vita. La vita non si può rinchiudere dentro uno schermo: se vuoi raccontarla, devi viverla. Così è per la musica. La notorietà può anche arrivare ma non è lo scopo della musica: è la diretta conseguenza nel caso in cui fai musica vera, cioè racconti la vita, la tua vita nella quale altri possono identificarsi: sentimenti, fortune, disgrazie. La musica è un modo per incontrare gli altri con la propria vita.

I Greci impiegavano il termine “poiein” per significare “creazione”. Poi questa parola, nel corso del tempo, si è trasformata di linguaggio in linguaggio, fino a diventare in italiano per esempio, la parola “poesia”. Quando un poeta comunica se stesso, cioè scrive una poesia, è un creatore di mondi, riproduce il mondo, crea nel senso pieno della parola. Puoi definire la tua musica un'opera d'arte, una creazione nel senso pieno del termine?
Forse non di mondi immaginati ma decisamente sì: la mia musica è la creazione della mia vita. Parla di me, del mio vissuto, anche di esperienze forti nelle quali molti potrebbero identificarsi, per denunciare quel che è successo loro e per trovare il coraggio, una volta per tutte, per essere quel che si è. La musica è creazione sul piano compositivo ma non crea un mondo parallelo né parla di personaggi fittizi. Parla di questo mondo, di se stessi e di quel che si vive. È l’arte del raccontare la vita e di confrontarsi con gli altri.

Perché suoni? Perché senti l'esigenza di comunicare mediante l'arte della musica?
Non riuscirei a vivere senza musica. Potrei non suonare più nella mia stanza oppure su di un palco ma non potrei fare a meno, per esempio quando sono felice, di prendere la chitarra, suonare e cantare. La musica è sempre con me: è la mia vita che si offre spontaneamente. È la mia quotidianità, la parte più profonda di me, il mio modo di vivere.

Che cosa racconti con la tua musica?
Me stessa, la gente, la vita. La musica è come un cassetto che ogni musicista apre, dentro il quale posa il proprio disco e che poi richiude per aprirne un altro. Così accade per me. Ombra in Penombra è una raccolta di dieci brani che parlano della mia vita. Per esempio si parla della droga, degli abusi sessuali ma anche dell’amore, dell’omosessualità seppur in modo ermetico. Questo può invitare al ragionamento anziché distogliere da esso, come accade con le canzonette. Per carità, anche quest’ultime sono belle ma c’è bisogno di artisti che rappresentino qualcosa. Siamo in un periodo in cui non c’è più niente: né valori né speranze religiose o politiche credibili. Se si smette di raccontare quello stiamo vivendo o di protestare o di essere entusiasti di ciò che importante, allora tutto diventa privo di senso.

Un artista può sentirsi tale senza i pubblici?
Premettendo che preferisco definirmi Valentina, credo che la musica può fare a meno dei pubblici se la s’intende come vita. Posso continuare a scrivere testi, a suonare, a comporre nella mia solitudine per parlare con me stessa. Però i pubblici o, meglio, la gente è molto importante perché è il senso della musica. È bello viaggiare con la musica e sentirsi un tutt’uno con la gente quando suoni e canti, perché non è più soltanto un’esigenza tua ma anche degli altri. Quindi credo non potrei essere Valentina senza la gente.

Che cosa significa oggi vivere come un artista e vivere esclusivamente della propria arte? Quali sacrifici comporta accettare questo incarico, questa missione?
Innanzitutto si rischia la fame, nel contesto dei reality show musicali e della cattiva musica di cui ti ho accennato prima. Finora, mi riconosco fortunata nell’avere una famiglia che mi aiuta anche economicamente per intraprendere questo progetto. Per altri, infatti, non è così. Quando la musica non è costruita richiede molti sacrifici e molto tempo. Perciò occorre essere selettivi, essere capaci di scegliere quale musica si vuole e si è. Ho scelto la musica vera, dunque quella non costruita, perché la amo e non posso farne a meno. Fin da piccola ho scelto di studiare la musica per suonare ovunque e incontro alla gente. E ora sono ancora più motivata perché ho intrapreso questo progetto che voglio portare avanti in quanto è una parte di me. Per il momento, l’età è dalla mia parte e perché no, guardo dritto in direzione della speranza, un domani, di sopravvivere con la mia musica. Ovviamente prendo in considerazione altre possibilità lavorative e guardo alla famiglia che è molto importante (anche di questo, canto con la mia musica). Il lavoro oggi manca per tutti però finché ne avrò le energie, continuerò sulla strada che ho scelto.

Cosa ti spinge a restare nel Sud?
Finora, una forma di musica: quella condivisa con le band, gli amici, i musicisti, la Saletta, la famiglia, le occasioni lavorative che ho avuto. A settembre però mi sposterò in Toscana sia per amore, sia perché i musicisti che collaborano a questo progetto abitano da quelle parti (Domenico Cotroneo, Bruno Crucitti e Luana Malara che farà da turnista per i concerti su Reggio Calabria), sia per lavoro. Organizzerò delle lezioni private di musica e, portando il mio progetto, spero di intraprenderne dei nuovi. Mi è stato anche chiesto di spostarmi a Los Angeles, di portare là il mio progetto musicale e di trasferirmi definitivamente. Ma ci devo riflettere.

Puoi definirti una sognatrice? Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Sì. Uno dei miei sogni, cioè Ombra in Penombra, si sta già realizzando. Ma ne ho degli altri, come per esempio quello di sopravvivere della mia musica. So che non è facile ma per adesso ci provo, presentando la mia musica così com’è, così come sono io. L’importante è sentirsi sempre stimolati.

Il titolo del tuo primo album da solista è Ombra in penombra. Che cosa significa?
Ombra in penombra è uno stato d’animo confusionario che spesso si attraversa nella vita. È un insieme di conclusioni che giungono all’improvviso come piombo, e tu sei là con loro provando panico. Con Ombra in Penombra incoraggio a guardare e ad affrontare questi momenti decisivi e obbligatori, perché in essi che nascono le migliori risposte che segnano la tua vita. I brani dell’album quindi raccontano questi momenti di panico, per dare forza a chi si trova negli stessi momenti. Ombra in Penombra racchiude tante “ombre in penombra” che la musica spettacolarizzata, per tornare a quanto ho detto prima a proposito della musica, non racconta. Non soltanto le esperienze negative ma anche quelle positive, i momenti belli della vita, condivisi con gli altri o soli con se stessi, come quelli spirituali. Per fare un esempio, durante i miei concerti sono solita leggere alcuni passi della Bibbia o dei Vangeli e gli ascoltatori spesso mi guardano sconvolti, perché il luogo comune considera questa pratica al di fuori delle mode o estranea alla musica. Credo invece che la spiritualità sia una dimensione che abbia molto a che fare con la musica. Per esempio, non è una cosa e non può essere spettacolarizzata. Nella vita non ci sono soltanto cose ma anche realtà intangibili e invisibili che però si possono ascoltare, come per esempio la musica, la voce della propria anima o dell’essere che è al di sopra di noi.

Oltre ad acquistare il tuo album, chi desidera seguirti e saperne un po' di più sulla tua musica, dove può rivolgersi?

Alcune parole per i giovani.
Non fermatevi sul piano dell’apparenza, del successo, della spettacolarizzazione o dell’economia. Ascoltate voi stessi e siate voi stessi nella vita. Dio o questa entità superiore che credo esista per tutti, ha dato a ognuno di noi una missione. Il compito di ognuno è di diventare consapevole della propria, allo scopo di sorridere e di far sorridere gli altri. La felicità, e anche questo è la musica, è di tutti.

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