- di Saso Bellantone
Chi è Caino?
Caino è il rinnegato, il maledetto, il condannato, l’esiliato, il fuggiasco; è chi deve nascondersi dagli occhi di Dio a causa della colpa che grava sulle sue spalle: il fratricidio di Abele. Ma è anche chi deve nascondersi dagli occhi di tutti, per via del marchio – che Dio gli ha impresso sulla fronte rendendolo riconoscibile, imputabile, additabile – che rinvia al suo delitto, al suo peccato, alla condanna e alla pena da scontare. Da allora, Caino si trova in una condizione paradossale, sintetizzando in sé, suo malgrado, caratteristiche contrastanti: agli occhi di tutti e per volere di Dio, è a un tempo:
- “l’assolutamente indifeso”, il più mortale, il più debole, il più esposto agli altri, al rischio, al patire e alla morte per mano degli uomini;
- “l’assolutamente intoccabile”, il più vitale, vigoroso, necessario, il più soggetto alla grazia degli uomini, nessuno può alzare la mano nei suoi riguardi perché “…chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!” (Gen. 4,15).
In questa duplice esistenza, condanna, martirio nel quale grava sulla sua coscienza il peso del fratricidio e la sofferenza tutta che ne consegue attraverso la negazione del dono della morte per mano altrui, Caino fa la vera esperienza del tempo nei suoi due volti: il tempo finito degli astri, che scorre, passa, prosegue irrevocabilmente la corsa contro se stesso, contro la sua stessa lenta distruzione e dove ogni cosa volge alla fine svanendo nel nulla; il tempo infinito di Dio, immobile, immutabile, che non passa, dove ogni cosa resta eterna vincendo la forza sgretolante del niente. La condanna di Caino – e della sua stirpe – è quella di scontare la propria colpa fino al termine del mondo, sia nel tempo finito degli uomini, del mutamento, dello svanimento, della mortalità; sia nel tempo infinito di Dio, della fissità, della stabilità, dell’eternità. Nessuno può ucciderlo per fargli pagare il prezzo più alto “agli occhi degli uomini”, oppure per liberarlo dalla sua interminabile condanna, perché pagherebbe una sorte peggiore di quella che è toccata a lui. Caino è l’essere vivente più solo del mondo creato, fino alla notte dei tempi: per lui non c’è perdono, comprensione, misericordia, amore, solo e soltanto punizione, condanna, pena, patimento interminabili.
La condizione di Caino è la stessa nella quale ognuno di noi finisce per cadere – o nella quale ognuno ricorda già di trovarsi – ogni volta che una colpa piomba con tutta la sua gravità nella nostra coscienza: ci ritroviamo a vivere nella finitezza della temporalità del mondo e del corpo l’infinità del tempo dello spirito e dell’animo, nel quale il nostro passato – con tutte le nostre colpe, i nostri errori, il nostro dolore, le nostre sofferenze – pende su di noi come spada di Damocle, rendendo un inferno il nostro presente qui e ora, facendoci patire ora dopo ora, secondo dopo secondo, attimo dopo attimo il resto della vita che ci rimane, strappandoci la stessa voglia di andare avanti alla scoperta di noi stessi, del mondo e di tutti coloro che ci stanno attorno, nella speranza e nel coraggio di fare meglio rispetto al passato, cancellando la precedente identità e le vecchie certezze.
Nel suo “Caino, Lucifero e il piccolo fioraio” – edito per la casa editrice Luigi Pellegrini – Giuseppe Bagnato ci rammenta come spesso finiamo per avere la stessa sorte di Caino. La differenza è che mentre la pena di questi è immodificabile in eterno, la nostra invece può dissolversi da un momento all’altro solo se, nell’attimo propizio, ricominciamo a guardare al mondo e alle persone che ci stanno intorno con la stessa innocenza di un fanciullo, di quel giovinetto che eravamo e che il mondo e il nostro stesso patetico passato finiscono per farci dimenticare, assieme alla nostra identità, alle nostre certezze, al nostro sorriso.
La storia di Caino è un viaggio nelle profondità del proprio animo interno, la coscienza, attraverso il proprio animo esterno che è la natura tutta e il mondo degli uomini, svolto in compagnia del male (Lucifero) e del bene (Piccolo fioraio) che albergano nelle nostre menti, costumi e tradizioni, e che ci seguono come ombre per tutta la nostra esistenza, incidendo sulle nostre scelte. È un’escursione volta alla comprensione dei propri limiti, delle proprie paure, incertezze ma anche alla riscoperta di quella semplicità, innocenza, pace, bellezza, amore, volontà di vita ormai soffocati dal nostro triste passato e dal nostro grigio io sociale, ma che ancora attendono di splendere più raggianti che mai nella nostra storia, per cambiarla dal vuoto destino di Caino in cui volenti o nolenti ci siamo ritrovati, al traboccante fato che con le unghie della nostra volontà e del nostro coraggio possiamo ancora costruire innanzi a noi. L’importante è riuscire a capire “che l’essenza non sta nel cercare, bensì nello spirito con cui si cerca. Bisogna sapere aspettare, assaporare l’attimo che precede l’evento, svuotare la mente, il cuore, l’anima, in modo che siano liberi di accogliere le risposte in tutte le loro forme”(pag. 59).
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