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martedì 21 agosto 2018

Chiedimi chi sono



- di Saso Bellantone

“Chi sono?” è una delle domande che l'essere umano ha iniziato a porsi – e in seguito altre quali “Dove sono?”, “Perché sono?”, “A che scopo?” – dal momento in cui ha preso coscienza di essere, esserci, esistere. Un enigma insolubile, la cui inesplicabilità spesso spinge alla resa, lasciandosi persuadere che la propria identità coincida perfettamente con il contingente, la società, la vita così come accade ed è vissuta.
Vi sono dei momenti, tuttavia, in cui la sicurezza radicata nell'evidenza dell'accadere e nella chiarezza della ripetizione va in frantumi e tutto ciò che finora è stato dato per scontato viene messo in discussione. Si vaga nel buio, si torna indietro sui propri passi e si cambia nuovamente rotta ma non si scorge traccia dell'uscita dal labirinto oscuro in cui si è finiti. Si sospende il giudizio, si torna alla vita di prima ma è tutto diverso, adesso. Non soltanto non c'è più la vita così come prima avveniva, non vi è proprio il prima né il dopo. Restano solo il qui ed ora e la domanda che riverbera nella coscienza con tutto il peso di ciò che costituisce l'esistente: “Chi sono?”.
Si potrebbe rispondere in molti modi, senza sapere, però, qual è l'opzione giusta:
  • in maniera mistico-religiosa, e cioè secondo una o più delle interpretazioni con cui gli essere umani traducono in forma rituale il loro istinto teologico e la ricerca del divino;
  • in maniera social-comunitaria, ossia sulla base dell'interpretazione della vita e dei ruoli all'interno dello specifico clan o gruppo cui si appartiene;
  • in maniera tecnico-economica, vale a dire per mezzo del lavoro che si pratica e dei guadagni di cui si dispone;
  • in maniera intellettual-letteraria, e cioè mediante uno o più dei tanti saperi cui si ha accesso;
  • in maniera web-mediatica, ossia tramite le informazioni che è possibile trarre da internet e dai media;
  • in maniera solipsistico-decadente, vale a dire mediante le convinzioni maturate nel tempo, espresse per monologhi, interiori o scritti, spesso accompagnati dall'uso e dall'abuso di sostanze stupefacenti, alcoliche, farmaci e psico-farmaci, consapevoli o no dei loro effetti.
Alcuni si accontentano di una delle precedenti alternative, spesso coscienti di non aver trovato risposta affatto al quesito, vivendo il resto della vita come spettri illusi in un paesaggio grigio fatto di sorrisi falsi e lacrime invisibili; altri non trovano ristoro in nessuna delle precedenti possibilità e continuano a ricercare senza sosta la risposta, in una continua partita a scacchi a tre, assieme alla follia e alla dama nera.
Il pensiero sistemico ed ecologico, d'altro canto, ha evidenziato come un determinato soggetto non sia altro che la risultante dell'ambiente in cui è immerso e vive, in un continuo scambio di influenze reciproche. Un processo di tira e molla, quest'ultimo, destinato a non avere fine e che, pur passando per momenti di apparente equilibrio, si evolve di continuo per mezzo di ogni novità di cui è informato il sistema soggetto-ambiente. In questo panorama, l'identità della persona facente parte di un determinato contesto sociale – a sua volta costituito da micro-sistemi quali la famiglia, il lavoro, la scuola, lo sport e così via – non può essere definita in maniera definitiva; si può pensare, invece, a identità temporanee, destinate a loro volta a essere abbandonate, superate, oltrepassate.
I totalitarismi, e in particolare quello nazional-socialista, protagonista della Seconda guerra mondiale e della Shoa, hanno messo in evidenza come l'identità della persona – si pensi al caso Eichmann –, all'interno di una interpretazione del mondo in chiave mistico-militare totalizzante, possa essere confinata alla mera esecuzione dei ordini ricevuti, senza spazio alcuno per un giudizio personale, figuriamoci morale, pena: la morte. Una parentesi agghiacciante, quest'ultima, della storia umana perché oltre a far luce su altre guerre passate e contemporanee, evidenzia anche il funzionamento del giudizio umano all'interno di un sistema politico-militare basato sull'accentramento del potere e sul terrore. L'identità singolare, in un contesto simile, non è altro che una pagina scritta a matita, perfettamente cancellata dalla gomma della violenza e riscritta dalla penna di chi possiede la sovranità; in altri termini, l'identità del singolo non è altro che quella collettiva, di ogni altro, simile a quella delle api, delle formiche, delle termiti, della catena di montaggio e delle varie tecnologie robotiche che ci circondano, presto sostituite dalle I.A.
Si potrebbe rispondere alla domanda sostenendo di essere carne e mente, hardware e software ma sarebbe troppo banale e si resterebbe all'interno di un circolo vizioso monologistico. L'essere umano non può essere soltanto il proprio corpo e le informazioni ricevute o impiantate nella propria testa, né il frutto di chirurgia estetica, invasiva e non, né le notizie con cui si aggiorna, non è la moda che sceglie di seguire tanto meno il linguaggio che decide di impiegare. Se non è nulla di tutto questo, allora come rispondere alla domanda?
Forse, “Chi sono?” non è un interrogativo a cui si può rispondere in maniera solitaria. Forse, è un quesito del quale si può rispondere a qualcun altro, ammesso che vi sia qualcuno ancora interessato non a sapere dell'altro nella forma del gossip ma a conoscere l'altro, ascoltando personalmente quanto ha dire, in qualsiasi modo egli si esprima.
La domanda “Chi sono?”, ammessa la resistenza di spazi di relazione con l'altro in maniera autentica, diventerebbe dunque “Chiedimi chi sono?”, una domanda completamente diversa dalla precedente in quanto, nella società attuale, figurerebbe anche come una richiesta, un'urgenza di ciò che non avviene più se non raramente e fortuitamente.
È probabile che la fatalità con cui tale domanda-richiesta si presenta, anche quando non è pronunciata palesemente, scandisca il tempo autentico di ognuno e lasci emergere le tracce di quella che potrebbe essere la propria identità ma non vi è certezza neanche in questo. Resta soltanto la speranza della relazione con l'altro in una società abitata da innumerabili cupole di vetro oscurato quali noi siamo.

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