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lunedì 3 giugno 2013

Versieri: LE PETITE PROMENADE DU POÈTE di Dino Campana


- di Saso Bellantone

Me ne vado per le strade
strette oscure e misteriose:
vedo dietro le vetrate
affacciarsi Gemme e Rose.
Dalle scale misteriose
c'è chi scende brancolando:
dietro i vetri rilucenti
stan le ciane commentando.
La stradina è solitaria:
non c'è un cane: qualche stella
nella notte sopra i tetti:
e la notte mi par bella.
E cammino poveretto
nella notte fantasiosa,
pur mi sento nella bocca
la saliva disgustosa. Via dal tanfo
via dal tanfo e per le strade
e cammina e via cammina,
già le case son più rade.
Trovo l'erba: mi ci stendo
a conciarmi come un cane:
da lontano un ubriaco
canta amore alle persiane.

Che senso ha la vita quando essa stessa è capitalizzata? Non si spreca nulla. Ogni giorno, dalla mattina alla sera, si programma tutto. I tempi, gli spazi, le condotte, i pensieri, persino i cinque sensi. Condannati per nascita alla morte e alla sofferenza, si sopravvive tentando ripetutamente di scansare le pene inflitte dalla società di massa, consumistica, capitalistica. Si ha sempre appetito. Non soltanto, però, di cibo. Si ha fame anche di lavoro, di una casa, di una famiglia, di amore, di amicizia, di leggerezza. Si è continuamente affamati del proprio destino. Tragico, aleatorio, insicuro. Si sopravvive nella preoccupazione che l'attimo che viene non sia peggiore di quello appena passato. Si è infelici. Consapevoli di far parte di quell'immenso esercito di pierrot senza armi né munizioni, si tira avanti a scapito degli altri, prima che gli altri stessi tirino i nostri fili a vantaggio per loro. Sembra di stare in un logoro teatro, nel quale innumerevoli burattini sono costretti a recitare perennemente la medesima scena. Non c'è posto per il diverso, il nuovo, l'imprevedibile. Tutto è soppesato e calcolato con certezza matematica. Si è incatenati alla logica della ripetizione consumistica come cani moribondi in attesa di rosicchiare l'osso, marchiato col simbolo dell'euro, caduto per sbaglio dalle mani dei propri insaziabili padroni.
Vi è ancora tuttavia qualche impertinente che, svincolandosi dai lacci della schiavitù e del dolore per alcuni istanti, riesce a uscir fuori dal circolo vizioso del capitalismo e a trarre piacere dallo spreco. Non pianifica nulla, non ha appetito di sé, è felice, perché gode dello sprecare questi pochi attimi nella piena e totale libertà, casualità, fuggevolezza. Proprio come descrive Dino Campana ne La petite promenade du poète.
Questo sfrontato d'un poeta, si muove per le stradine oscure e ignote della città, e gode nell'osservare, nel vedere ancora la bellezza, la semplicità, l'affabilità di tutto ciò che gli altri non riescono a scorgere più. Le donne che si affacciano a una finestra o che civettano tra loro in casa. Chi scende le scale a fatica. La stradina silenziosa e solitaria. La luce delle stelle sopra i tetti delle case. Il fascino della notte. Innanzi a questo spettacolo che genera innumerevoli fantasie, il poeta si sente povero delle risposte ai grandi interrogativi dell'esistenza e prova il disgusto nei confronti della società massificata, consumistica, capitalizzata. Per questo motivo, continua a camminare e si allontana dal fetore di questa società finché, quando le case sembrano ormai dileguarsi, ecco che trova la natura. Fresca, pulita, sana. Ancora là, a due passi dalla fetida società. Non c'è più nulla da osservare. Mentre un uomo alticcio canta invano il proprio amore a donne chiuse dietro le persiane, il poeta s'abbandona all'amore gratuito della terra, si stende e si rotola sull'erba selvaggia, per sporcarsi, proprio come un cane, del sano contatto con la terra e appagarsi di essa.
Leggendo oggigiorno La petite promenade du poète di Dino Campana, si ha la possibilità di raffrontare l'omologata e rassegnata forma di vita che ognuno di noi conduce in chiave capitalistica alla ribelle e battagliera vita del poeta. Mentre nel primo caso, la vita perde il proprio senso perché costretta ad accadere nelle circoscritte maglie consumistiche della società consumistica, nel secondo caso la vita preserva il proprio senso, la vitalità, vale a dire il suo dinamismo, la sua abbondanza, il suo sgorgare al di là di ogni limite e convenzione umana. Questo confronto, naturalmente, offre l'occasione, per inverso, di guardare in faccia la società nella quale si vive e di scorgere la freddezza, l'indifferenza, l'insensibilità che ha l'essere umano nei confronti del bello, causata purtroppo dalla paura per il proprio destino, dal timore di non riuscire a sopravvivere in questo tempo di crisi. La via del poeta, che apprezza le bellezze della società e di ciò che sta oltre di essa, è anche la direzione necessaria per uscire non dalla società bensì dalla crisi che la domina: il ritorno alla natura. Se la società è regolata dal capitalismo e quest'ultimo conduce alla schiavitù infelice del consumismo, il ritorno alla natura offre l'occasione di ripensare l'abitare umano su questo pianeta, coniugandolo verso l'amore del bello e del naturale e, anche, della felicità di stare assieme agli altri.
Il poeta, dunque, è sì un impertinente e uno sfrontato ma soltanto nei confronti della logica capitalistica, di chi la promuove e di chi la sposa, consapevolmente oppure no. Il suo occhio, la sua voce resta ancora il sentiero della realtà.

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