IN QUESTO BLOG NON SI PUBBLICANO COMMENTI ANONIMI.

giovedì 6 settembre 2012

Gran brutto periodo per il pensiero critico



- di Gianmarco Iaria

Velocità, velocità, velocità. È questa la regola del mondo post-moderno. Velocità di pensiero, di azione, di reazione. Velocità nei rapporti umani, nelle interazioni sociali. Velocità di memoria e di oblio. La società dell’I-live, in cui i fili che collegano una persona con il suo prossimo sono ormai quasi totalmente virtuali, si basa sulla velocità. La lentezza è, per l’appunto, parafrasando una celebre espressione di Celentano, “lenta”; il dinamismo è “rock”, è forza, esprime vitalità, fa apparire meglio di quanto non si è. Sembra non ci sia più posto per la riflessione accurata, che per i canoni attuali richiede troppo tempo; c’è troppo altro da fare per potersi concentrare su una cosa sola, svilupparla, conoscerla in ogni particolare, analizzarla e imbastire un minimo di pensiero critico. Gran brutto periodo per il pensiero critico. E non serve nemmeno andare troppo oltre per capirlo: basti pensare ad un’espressione che ha caratterizzato l’ultimo secolo, attraversando trasversalmente diversi periodi storicamente determinanti per la condizione socio-economica del mondo occidentale; l’industrializzazione, il “boom economico”, la lotta di classe e il materialismo dialettico di marxiana memoria hanno avuto, per diversi motivi, come punto focale l’ “elevazione delle masse”. Che bella espressione, vero? Un popolo schiavizzato dalla logica finanziaria, sottopagato, subordinato al potere economico di pochi pezzi grossi che riescono a gestire a loro piacimento anche il potere politico, d’un tratto si risveglia, si accultura, prende coscienza della propria condizione e lotta per la sopraffazione degli oligarchi che stabiliscono le sorti del mondo, convincendosi della propria forza derivante proprio dal numero, della serie: “Siamo di più, armiamoci e partiamo”. Nulla di tutto ciò, purtroppo. De André, nella sua canzone “Un Blasfemo”, raccontava la storia di un pover’uomo, dedito all’alcool ed alla vita dissoluta e libertina, che viene ucciso da due guardie bigotte; i versi che spiegano l’ideologia del blasfemo raccontano di come egli si allontana da Dio perché crede che sia stato Dio stesso, donando all’uomo l’Eden, a nascondergli l’esistenza del male, ingannandolo. Quando l’uomo si mostrò troppo curioso, decidendo di mangiare la fantomatica mela, l’Onnipotente lo punì inventando il tempo, e quindi, la morte. Una canzone dal senso metafisico, si direbbe; tuttavia è con l’ultima strofa che essa raggiunge un fortissimo significato attuale, moderno: “Ma se furon due guardie a fermarmi la vita / è proprio qui sulla Terra la mela proibita / e non Dio ma qualcuno che per lui l’ha inventato / ci costringe a sognare in un giardino incantato.” Quattro versi dalla ferocia inaudita, che condannano l’ammorbamento dei sensi di cui è vittima da tempo immemore la classe dei “non potenti”, di cui è fautrice la classe di chi può, di chi ha. Nulla è lasciato al caso: gli avvenimenti, le leggi, gli sport, la tv, il cibo, i vestiti, le persone, le parole, ogni cosa, ogni aspetto dell’esperienza umana che può avere un qualsiasi tipo di influenza sulla mente diviene strumento di controllo, di pressione ed oppressione. Ogni cosa si sussegue, e viene sfruttata secondo il grado di importanza che può rivestire in un dato periodo di tempo: lo scandalo del politico, la vittoria della squadra del cuore, l’omicidio, la bomba che scoppia ed uccide. Tutto viene utilizzato. Tutto serve per riempire. Il vuoto è pericoloso. Il vuoto, se c’è, è spazio libero: e lo spazio libero è genera il pensiero libero. Ed il pensiero libero genera la critica; e la critica  genera la presa di coscienza; e la presa di coscienza genera la rivoluzione.

Nessun commento:

Posta un commento