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giovedì 19 maggio 2011

MONOLIRIUM: monologo in delirio

- di Saso Bellantone
Il monologo è solitario, unidirezionale, monocromatico. Non ha tempo né pause, è un fiume in piena, un deserto senza sabbia. È sicuro, persino nell'insicurezza. È vero soltanto nella sua falsità. È una maschera che non sa vedere chi c'è dietro. Un pendolo che corre a vuoto. È una nota continua senza pentagramma. Una corsia autostradale senza uscite. Una camera stagna, un genio dentro la bottiglia, un dipinto senza osservatore. È una stella senza traiettoria. Una tempesta in balia di se stessa. Uno specchio per ombre e fantasmi. Il monologo vede le minuzie e perde l'insieme, scorge l'insieme ma perde le minuzie. Il monologo investe il mondo, ma nel mondo non trova alcuna veste che faccia al caso suo. Pensa il mondo, lo avverte, ma non sa se è questo il mondo che avverte e pensa. Il monologo è un'enciclopedia che nel sapere tutto, alla fine, sa di non sapere niente.
Il monologo non ammette nessun altro monologo. Se lo incontra, lo azzera, lo zittisce, lo annienta riducendolo a se stesso. Il monologo è se stesso, vive di sé. Vuole essere se stesso perché sa di poter essere ciò che è, sa di poter essere ciò che vuole. Non riesce a fare a meno di volere quel che può essere. Anzi, usa tutto se stesso per essere ciò che è e ciò che vuole. Il monologo è un viaggio per il mondo intero che nel tornare a casa resta soltanto pieno di sé, di quel che già era, voleva, poteva prima del viaggio stesso. In questo senso, è sempre ciò che non è, un volere che non vuole, un potere che non può. Vuole sapere ciò che non è, ciò che non vuole, ciò che non può ma la sua pienezza d'essere, di volere e di potere lo limita. Il monologo è limitato. È il limite che egli stesso, malgrado sé, s'impone, vuole e può. Si autolimita, essendo, volendo e potendo quel che è, vuole e può. Il monologo è un turbine che, alla fine, nel suo turbinare, si snoda, si slega, svanisce. Nell'essere, nel volere e nel potere tutto, alla fine, il monologo non è, non vuole, non può niente.
Il niente del suo essere, volere e potere, il monologo lo mette a fuoco soltanto in un caso: per fatalità. È scritto, forse in qualche luogo non luogo, quale monologo può giungere al proprio niente e quale no. Ogni monologo è un corredo genetico, un complesso di eventi, un'avventura unica e irripetibile. Alcuni monologhi sono destinati a trascendersi dai propri geni, dagli eventi, dall'avventura. Altri sono condannati ad auto-frantumarsi. C'è poco da fare per quest'ultimi. Per gli eletti, invece, la metamorfosi è soltanto l'inizio. Il monolite si spezza e si frantuma, e dall'ammasso dei frammenti sorge altro. Qualcosa di nuovo. L'inatteso, l'impensabile, l'incalcolabile, nei confronti del quale il monologo non riesce a essere, a volere, a potere, ma soltanto ad abbandonarsi, a lasciare andare il proprio mono e il proprio logo.

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