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mercoledì 18 maggio 2011

L'ESSENZA DELLA GLOBALIZZAZIONE. Prologo (1)

- di Saso Bellantone
Si è soliti associare la globalizzazione all'idea del mercato mondiale unico, interpretandola alla maniera di un fenomeno esclusivamente economico, oppure all'idea del World Wide Web, intendendola un fenomeno informatico, o a entrambi. Ciò avviene perché la fortuna del termine globalizzazione si è accresciuta proprio mediante quelle idee ma, a ben vedere, questi accorpamenti sono fuorvianti. La globalizzazione infatti non è niente di economico né di informatico, ma qualcosa che avviene prima di questi ultimi e che, nell'accadere prima di essi, li rende possibili. In questo senso, la globalizzazione non è nemmeno un fenomeno recente ma qualcosa che ha una sua storia. Per comprendere di che cosa si tratta, cominciamo a chiederci: quali immagini evoca questo termine?
La prima immagine che la parola globalizzazione suscita è quella del globo, o mappamondo. Si tratta di una riproduzione in miniatura della Terra e può essere considerato uno di quei prodotti dell'arte plastico-figurativa che l'essere umano ha realizzato nel corso della propria storia sino ai nostri giorni, allo scopo di orientarsi nel mondo, vale a dire per dare a se stesso, ai suoi simili, agli altri enti o a determinati avvenimenti una precisa localizzazione. Oggigiorno, guardare al globo, in un certo senso, è come guardare alla Terra. La si pensa come un pianeta, dalla conformazione dettagliata, che gira su stessa e attorno al Sole, immersa nell'universo. In passato, e più esattamente dal 1490-92 in poi, cioè da quando fu costruito per la prima volta dal tedesco Martin Behaim, guardare al globo significava qualcos'altro. Vale a dire, considerare la Terra non più dalla forma piatta bensì sferica.
La sfera è appunto la seconda immagine che il termine globalizzazione richiama alla mente. In termini geometrici, una sfera è quel solido la cui superficie è costituita dall'insieme dei punti la cui distanza (r) è uguale (o minore o maggiore, nel caso di sfere imperfette) da un punto centrale e interno alla superficie sferica stessa (O). Quando un ente è detto sferico vuol dire che la sua forma risponde alle caratteristiche geometriche appena elencate. Tuttavia, l'ente-sfera possiede altre caratteristiche. Per esempio, la sua superficie è uniforme, cioè non conosce lati né spigolature, e lo separa da un ambiente esterno dove ci sono altri enti (aventi forme simili o differenti) e forze. L'ente-sfera può muoversi, qualora entra in contatto con gli altri enti e le forze esterne (o qualora l'ambiente stesso è fatto in modo tale da costituire esso stesso una forza), o può restare immobile nel caso in cui avviene il contrario. Il modo e la durata del suo movimento dipendono dall'intensità del contatto o dalla tipologia di ambiente nel quale si trova. Il suo movimento può essere duplice: può ruotare su se stessa e muoversi nell'ambiente esterno, e via dicendo. Considerare la Terra secondo una forma sferica, vuol dire attribuirle le caratteristiche della sfera, immaginarla, vederla in questo modo. In questo senso, quando si osserva il globo, ieri come oggi, quel che i nostri occhi riconoscono è sì la Terra, ma soprattutto il suo presentarsi alla maniera di una sfera, il suo rendersi visibile con questa forma.
La terza immagine che il termine globalizzazione evoca è quella del globo oculare, dell'occhio, cioè l'organo relativo al senso della vista. Posto nella cavità oculare, nel cranio, a sua volta sostenuto dal corpo, l'occhio consente all'essere umano di vedere dove si trova, chi e/o che cosa c'è in esso, quali eventi accadono, quali caratteristiche possiede tutto ciò che vede. Si è sempre discusso a proposito di creazionismo e di eternità del tutto, così come di centralità e non centralità dell'essere umano nel mondo, sia secondo una prospettiva religiosa sia secondo una scientifica. All'interno di tali questioni, sarebbe interessante chiedersi: perché l'essere umano (ma anche altri esseri viventi) è stato dotato, da un ente superiore (dio) o dalla natura, del senso della vista? Perché possiede un organo capace di vedere? Egli si trova in un universo costituito da svariati enti – oggigiorno siamo disposti ad accogliere l'idea che è indipendente dall'uomo – che può permanere alla scomparsa dell'essere umano. Sono state fornite numerose risposte a questo interrogativo ma forse la risposta più semplice consiste nell'idea che l'essere umano vede, possiede il senso della vista perché buona parte degli enti che costituiscono l'universo è visibile all'occhio umano. In altre parole, egli vede perché la visibilità è una proprietà degli enti (non di tutti, sia chiaro) al pari della sostanzialità. In quale modo, però, l'essere umano vede gli enti? Come quest'ultimi si presentano a lui? Principalmente, mediante le forme. Una forma è il modo di presentarsi dell'ente. La peculiarità di ogni forma è la sua definizione, la sua finitezza. Se le forme fossero indefinite, dunque senza fine, l'occhio umano non potrebbe vederle. L'occhio umano vede le forme perché sono definite e in quanto tali possono essere abbracciate interamente con lo sguardo. Se fossero indefinite, prive di definizione, l'occhio umano non riconoscerebbe quel che vede perché scorgerebbe soltanto il caos, un ammasso confuso e indefinito. In altre parole, non vedrebbe gli enti, perché le forme sono il modo di presentarsi degli enti.
Le forme stabiliscono dunque una stretta relazione tra gli enti e l'occhio umano. Da un lato, sono il modo di presentarsi degli enti, di rendersi visibili; dall'altro lato, sono il modo con il quale l'occhio umano scorge gli enti, li vede e può dunque notarne le somiglianze e le differenze – sia chiaro, può farlo anche mediante altre qualità, come per esempio il colore, la distanza, la vicinanza ecc. – scansando il caos. Dal momento che è l'essere umano a dare un nome alle forme, si ritiene che sia stato proprio lui a imprimere le forme nel mondo. Se però si considera l'ipotesi della persistenza degli enti – e delle loro forme – in seguito alla scomparsa dell'essere umano, tale idea crolla. In quanto proprietà degli enti al pari della sostanzialità, le forme sono negli enti indipendentemente dall'essere umano, dunque non è lui a imprimerle sugli enti. Naturalmente, se scomparisse l'essere umano, la multiformità degli enti e la loro visibilità sarebbero un surplus, a meno che non esistano altri esseri capaci di scorgerli. Le forme degli enti, dunque, hanno senso finché vi è un osservatore: se mancasse quest'ultimo, sarebbero insensate, nonostante la loro persistenza. Le forme sono dunque il punto di contatto tra gli enti e l'occhio umano: da un lato rendono gli enti visibili; dall'altro lato, consentono all'occhio, cioè all'essere umano, di vedere. Le forme sono alla base della visibilità degli enti e del vedere umano.
Le immagini evocate dal termine globalizzazione, e cioè il globo, la sfera e l'occhio, evidenziano che questa parola, prima di riferirsi a un fenomeno strettamente economico o informatico, dice qualcos'altro. Si pronuncia cioè a proposito di un fenomeno che coinvolge simultaneamente l'ente Terra e l'essere umano, la visibilità e il vedere, le forme e la rappresentazione dell'ente. Per questo motivo, si comincia a capire come il termine globalizzazione indichi un fenomeno che non ha nulla a che vedere con l'economia e l'informatica, ma che si pronuncia sull'ente e, in particolare, sull'ente Terra. In questo senso, la globalizzazione è un fenomeno di carattere filosofico, dunque un fenomeno del pensiero.

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