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mercoledì 13 settembre 2017

Jünger, Bauman e l'uomo come istinto d'osservazione e di sperimentazione vitale


- di Saso Bellantone

Il ciclone è quel fenomeno meteorologico causato dalla differenza della pressione atmosferica di una regione, generalmente bassa, rispetto a quelle circostanti, meglio conosciuti o individuabili come vortici. Si tratta in altri termini di spirali d'aria, nubi, pioggia mischiati tra loro, che ruotano in senso orario o antiorario a velocità talmente elevate da risucchiare o da distruggere, al loro passaggio, per effetto centrifuga, qualsiasi cosa, naturale o artificiale.
Ne L'operaio, Ernst Jünger paragona la vita in generale a un ciclone e reinterpreta la figura dell'oltreuomo nietzscheano come una forza, appartenente alle altre forze naturali, capace però rispetto a queste ultime di raggiungere il centro esatto della rotazione di questo fenomeno meteorologico, in cui la rotazione stessa è zero, cioè non c'è, non avviene.
Questo luogo, definito occhio del ciclone per via della sua forma, è inteso da Jünger come un punto di osservazione privilegiato. A partire da esso l'uomo, soggetto alla calma, alla sospensione, all'assenza di rotazione, è in grado di vedere, appunto, a 360° gradi ciò che gli sta attorno, dunque il vortice, la rotazione stessa, intesa dal filosofo tedesco come una metafora della vita in generale.
Insieme, occhio del ciclone e ciclone rappresentano secondo Jünger una immagine di ordine nel disordine, di stasi nel caos, di essere nel divenire. Essendo l'occhio sulla vita che gli sta attorno, l'uomo (o l'oltreuomo nietzscheano) avrebbe il compito, o la caratteristica, di dare un senso alla confusione circostante, secondo una forma, una modalità d'esistenza che, piuttosto che renderlo soggetto alla babele che gli sta intorno, minacciando la sua sopravvivenza, lo rende soggetto soltanto a se stesso, salvaguardando e potenziando la sua esistenza stessa.

Nel tempo della fine delle speculazioni metafisiche, in Vita liquida, Zigmunt Bauman concepisce la vita in generale come liquida, come un elemento cioè informe la cui caratteristica principale è la fluidità. La vita, in tal senso, dovrebbe fluire costantemente fino a perdersi definitivamente in un altro elemento liquido più grande, pieno di misteri e segreti, che è il mare. Ma in questo fluire prima della fine, la vita, proprio perché è un elemento liquido informe, avrebbe anche la caratteristica innata di prendere la forma, anche se temporaneamente, degli oggetti, degli enti che possono contenerla. Tale contenimento, come detto, è temporaneo, passeggero, perché il senso di ciò che è liquido è il fluire e non il permanere, dunque qualsiasi contenitore prima o poi sarà svuotato del liquido che ha in seno, per accogliere nuovi liquidi o per svanire esso stesso, in quanto liquidità costitutiva apparentemente e precariamente stabilizzata, nel mare o essere reimmesso in circolo, riciclato.
L'uomo stesso, amplificando il linguaggio baumaniano e conducendolo in una prospettiva ontologica, non sarebbe altro che un liquido tra i liquidi, soggetto alle leggi che regolano gli elementi fluidi. Il suo senso sarebbe il fluire, passando perfino da un contenitore all'altro (per quanto riguarda il suo modo di pensare o il suo abito di pensiero), fino al perdersi definitivamente nel mare o all'essere riciclato. Clonazione e miracoli della scienza a parte, capaci cioè di trasferire la coscienza umana da un corpo a un altro, il destino dell'uomo sarebbe dunque il perdersi nel mare dei liquidi. Ma è vero anche che al di sopra e al di là del mare vi è un altro elemento, il sole, capace di trasformare il mare stesso in aria, il liquido in gas, e ciò fa chiedersi se lo stesso vale per quelle piccole particelle che, in precedenza, sono state di un uomo, di una coscienza. Così come le particelle di mare, per effetto del calore solare, si trasformano in particelle di gas e queste ultime, una volta condensatesi, tornano in circolo nella terra sotto forma di pioggia, che invade e nutre qualsiasi essere vivente, mentre altre si perdono nell'etere, allo stesso modo particelle di uomo, ormai mare, o di sua coscienza, potrebbero avere la stessa sorte e fare pensare a una sua rinascita se non a una sua reincarnazione. Ma queste sono soltanto ipotesi visionarie.

Jünger e Bauman s'incontrano su un punto: tutto è precario, caotico, disordinato, informe, dinamico; l'uomo è parte integrante di esso ma la sua funzione, agli occhi dell'uno e dell'altro pensatore, è diversa.
Mentre il primo, nella pancia della metafisica, pensa l'uomo come un occhio del ciclone, dunque come osservatore, come una forza naturale tra le altre, capace di osservare e condizionare le altre per la propria conservazione e per il proprio potenziamento, il secondo invece, privo di una qualsiasi metafisica, perché fuori-luogo e perché proveniente egli stesso dal campo della sociologia, intende l'uomo come un elemento naturale tra gli altri, capace sì di condizionare gli altri per vantaggi personali o collettivi di breve durata, ma il cui senso è soltanto il fluire stesso (nonostante la sua capacità mentale di essere contenuto all'interno di precisi contenitori concettuali, siano questi ultimi sistemi di pensiero, mode o quant'altro).
Quello che sfugge è che il liquido, per poter fluire, cerca istintivamente il percorso adatto a questo scopo, altrimenti, non potendo fluire, non sarebbe se stesso, non manifesterebbe la sua essenza, lasciandola in sospeso, fino al momento in cui qualcosa cambi. Per esempio, immaginiamo una diga d'acqua. Il liquido trattenuto dalla diga è, sì, acqua ma non potendo fluire è come se non lo fosse, perché la caratteristica dell'acqua è il fluire (oltre che gli svariati usi umani). Ma nel momento in cui si aprisse una crepa nella diga o si collegasse ad essa un sistema di tubature aperto, l'acqua, cominciando a fluire, manifesterebbe la sua essenza, dunque sarebbe se stessa, realizzerebbe il proprio scopo.
Avvicinando le loro riflessioni, Jünger e Bauman mostrano che l'uomo è una forza naturale e in quanto tale è dotata di un istinto a manifestare la propria essenza (o a manifestare il proprio scopo, per dirla in un'altra maniera), la quale è la tendenza a fluire nella vita alla ricerca, mediante l'osservazione e l'esperimento, di forme d'esistenza capaci di potenziarlo (o di depotenziarlo, considerando alcuni sistemi di pensiero di carattere religioso).
L'uomo sarebbe dunque istinto d'osservazione e di sperimentazione vitale, in vista, aggiungeremmo, anche di altri scopi che, alla fine, rientrano nella sua ricerca di maggiore vita. Le domande imperiture dell'uomo su Dio, l'anima e altri misteri del cosmo non sono soltanto il tentativo di capire qual è la conformazione dell'esistenza in generale, ma anche di verificare se all'interno di tale conformazione c'è la possibilità, dopo la morte, di ottenere (o di essere) altra vita. In altri termini, se c'è la possibilità di esistere di nuovo.
Ma a noi piace pensare che l'uomo non sia altro che il ciclone stesso, nella sua interezza, a volte comprensivo di occhio; piace pensare che sia la liquidità stessa, puro istinto al fluire inteso come precarietà, caos, disordine, informità, dinamismo, in cerca, anche in maniera cosciente, di ulteriore fluire, senza sosta, senza mai fine. L'uomo è la fluidità stessa alla ricerca istintiva (naturale) o cosciente di nuove possibilità in cui manifestare la propria essenza, ossia il fluire, ancora, ancora e ancora per sempre, per l'eternità.
È in questo suo istintivo e/o consapevole fluire sperimentale che l'uomo scopre e crea (qualsiasi cosa) a suo vantaggio o svantaggio o di quello degli altri suoi simili, degli altri esseri viventi e del luogo che abita. Ed è qui, forse, si aprono nuovi scenari del pensiero.

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