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venerdì 6 febbraio 2015

DISsonoria: OCCHIU NON VIDI dei Mattanza


- di Saso Bellantone

Oggi è luni dumani marti
la me' sorti 'i ddà si parti
e si parti 'i longa via
veni sorti parra cu mia
veni prestu non tardari
dimmi comu haju a campari.

Vitti 'na vota 'na musca vulari
'ncoju purtava tricentu bariji
vitti nu ciuncu di mani e di pedi
supr'a n' tignusu tirava capiji
occhju non vidi e cori non doli
'mbidia cu l'occhji orba è 'a furtuna
cuntra 'a furtuna non vali 'u sapiri
culu nci voli u sapiri non giuva.

Il Destino ha origine nella quotidianità, nella vita. Eppure, paradossalmente, la sua strada parte da molto lontano.
Noi percorriamo già tale sentiero ma non sappiamo se il Destino ci segua, cammini assieme a noi o ci aspetti avanti a noi. Così, ci chiediamo dove Lui sia, ogni volta che vediamo, sentiamo, assistiamo o viviamo qualcosa di strano, di particolare, di irrazionale; quando sperimentiamo fenomeni apparentemente contro le leggi della natura, della societas o semplicemente del buon senso; quando sperimentiamo fatti al di là di ogni ragione.
Innanzi a quegli eventi, in altri termini, ci chiediamo quale sia il nostro Destino, quale sia la nostra posizione, che cosa occorra fare da parte nostra, perché non lo sappiamo proprio. Non riusciamo a capire quegli avvenimenti, a concepirli, a prendere coscienza del fatto che siano accadimenti reali, pur strofinandoci gli occhi più e più volte, pensando di stare sognando. Ma quei fatti sono là, innanzi a noi, veri, concreti, toccabili con mano, e fanno male. Davvero male.
Non è possibile vedere persone comuni, poveri e sfortunati, caricarsi di tutto il peso del mondo, con la speranza di andare avanti un solo giorno in più in questa dannata vita; non è nemmeno possibile notare persone sofferenti, castigate da Dio, dalla natura e dalla società, disabili nel corpo e nel pensiero, scontrarsi meticolosamente con altri ammalati, puniti e inabili esattamente come noi.
Ma la cosa che fa ancora più male, è che nessuno si accorge di loro, anzi, che tutti sanno, vedono tali disperati ma ognuno passa dritto, fa finta di non vederli, di essere cieco, pensando soltanto a se stesso.
Eppure, quando altri hanno raggiunto obiettivi importanti, quando hanno fatto qualcosa di buono della propria vita, quando hanno un ruolo che conta o anche semplicemente soltanto perché sorridono, perché sono felici, perché hanno persone attorno che li amano, perché svolgono il lavoro più umile del mondo o perché si accontentano di quel poco o niente che hanno, sia una vecchia giacca, una maglia tutta sgualcita, una baracca pronta a cadere o le pulci che gironzolano per tutto il loro corpo – ognuno vede nitidamente e non è più lo stesso. Si trasforma.
Si odia, si disprezza l'altro talmente tanto da rovinarsi la vita, da soffrire amaramente e quotidianamente nella speranza che oggi o domani possa verificarsi una concatenazione di eventi o semplicemente un fatto che consenta di distruggere la persona che detestiamo, che ci ha rovinato la vita, soltanto perché l'abbiamo reputata più fortunata di noi ma è, esattamente, sventurata come noi.
Siamo noi a vedere diversamente l'altro. Evidentemente perché non nutriamo sentimenti sinceri o perché siamo limitati dal nostro passato, dalla nostra storia, dalle persone che abbiamo incontrato, dalle esperienze che abbiamo vissuto, dalla musica che abbiamo ascoltato, dai libri che abbiamo letto, da i film che abbiamo visto, dalla casa e dalla strada nei quali siamo cresciuti e da tutto quello che ha intessuto la nostra formazione. Siamo invidiosi e, quindi, non siamo capaci di guardarci allo specchio e di giudicare prima noi stessi, perché sappiamo già di essere niente di niente, e questo ci strazia. Non ci permette di vivere.
È molto meglio demolire chiunque altro non sia noi: solo così, è possibile andare avanti.
Ma è anche vero che in alcuni casi la fortuna è cieca, premiando chi ha già tutto con altrettanto tutto. E allora ci si chiede che senso ha la vita e sopportare enormi sacrifici per vedere realizzato, un domani, un misero sogno, quando altri senza dedizione né sforzo alcuno, soltanto per puro caso, o Destino, compiono in un istante soltanto, quello per cui noi abbiamo lottato per tutto il tempo?
E questo, fa ancora più male di tutto il resto.
Ogni scienza e conoscenza è inutile se i giochi della vita sono così. Se occorre soltanto la fortuna, allora è insensato pensare, fare, vivere così com'è stato finora. È tutto sbagliato. Sottosopra. Fuori posto. Tranne una cosa, una domanda: il Destino, questa maledetta forza che regge la strada della vita, ci segue, cammina assieme a noi o è, ancora, avanti a noi, pronto a manifestarsi?
Questo interrogativo ci perseguita, permane insoluto innanzi al disordine, al soqquadro dell'esistenza e del mondo umano, e rade al suolo il nostro essere, più di qualsiasi altro evento, sentimento o pensiero.
Non è più far finta di non vedere le disgrazie che accadono agli altri né focalizzare chiaramente la fortuna altrui. Quello che non si vede in alcun modo, è la risposta a quel quesito che ci strazia. Non si comprende il Destino, proprio e altrui, e si rimane sospesi, interrotti, galleggianti tra contrasti eternamente privi di definizione, di colore, di chiave di violino che consenta di penetrarne i segreti e la verità.

Le parole e le note di Occhiu non vidi dei Mattanza, brano dell'album “Cu non ha non è”, vanno al di là del mero racconto popolare e della musica tradizionale. Parlano del nostro tempo, della nostra società e dell'esistenza tutta. Inquadrano i sentimenti e i comportamenti chiave, buoni o cattivi, che regolano la nostra vita, gli accadimenti base che si ripropongono senza sosta alcuna nella quotidianità, i pensieri e i drammi personali che il singolo individuo sperimenta nella propria carne, innanzi all'incomprensibilità dell'essere e dell'esistenza in generale. È un capolavoro artistico, il cui testo scava negli abissi di ognuno, rivelandone i contenuti nascosti, e la cui musica accompagna malinconicamente tale svelamento, quello cioè degli usi e delle abitudini, pratici e del pensiero, di ciascuno di noi.
Ma è anche, così piace vedere tale brano, uno dei testamenti del grande artista e autore, Mimmo Martino, recentemente e repentinamente scomparso, lasciato a parenti, amici, musicisti a ascoltatori. Occhiu non vidi fa pensare a come il cantore reggino ha condotto la sua vita, facendola combaciare con la sua musica e quella dei Mattanza. Una vita, e una musica, incentrata sulle grandi domande dell'esistenza, scaturenti dall'ermetismo di una società e di una quotidianità, nelle quali a mettersi in evidenza sono sempre i paradossi, e i drammi, che la gente sofferente, povera, disperata e disgraziata è costretta a vivere continuamente, generando in ognuno i sentimenti peggiori provati nei confronti di chi vive le medesime difficoltà; le assurdità e le tragedie che degenerano ogni essere umano, privandolo della capacità di critica, del buon senso, della coscienza e conducendolo a una visione della vita e degli altri storpiata, tetra, illusoria; i controsensi e le sciagure che fanno male e causano ulteriore dolore nei confronti dei propri simili.
Una volta messo a fuoco tale scempio e le balorde reazioni a catena che si sprigionano nell'animo umano, facendolo decadere, ognuno, e qui si nota il punto di vista di Mimmo Martino, dovrebbe arrestarsi un attimo e chiedersi qual è il proprio Destino: proseguire così come è stato finora e continuare a fare come tutti fanno, abbandonandosi alla degenerazione generale, oppure tentare di fare qualcosa di diverso, originare un contro-movimento capace, almeno, di mostrare a quante più persone possibili quanto si è miserabili? Quanta bestialità è insita nella nostra carne ed è pronta a scatenarsi non appena si perde il filo della ragione? Come vivere, avendo chiaro quel che accade tra la gente, e non sapendo cosa fare per contrastare tale incivilimento, barbarie, decadenza.
Mimmo Martino camminava già con il Destino al suo fianco. Sapeva già che cosa doveva fare. E lo faceva.
Raccontava. Cantava alla gente la miseria, umana, intellettuale e sociale, di cui ha riempito la propria quotidianità , nella speranza di vederla cambiare, rinascere, risorgere assieme alla sua amata terra, la Calabria. Narrava a tutti i propri mali e i propri grandi interrogativi, li rendeva coscienti delle psico-patologie che hanno infettato la società e, nel contempo, segretamente, diceva loro di essere il contrario, di voler bene, di amare l'altro, nella fortuna e nella sfortuna.
Non è l'avere a decretare l'essere. Ognuno è, già, indipendentemente da quello che ha (e che non ha), malgrado la società oggigiorno convinca del perfetto opposto.
Occorre essere, andare alla sostanza delle cose, ritrovare con la gente l'armonia e la simpatia perdute, ritrovare se stessi e fare luce agli altri per consentire loro di fare lo stesso, anche se tutto questo comporta notevoli, immensi, infiniti sacrifici.
Non c'è alternativa. Se non si cambia rotta, se non si cambia, è tutto finito, e invece oggi, proprio mentre ci lasciamo condizionare dalla società degenerata e ci abbandoniamo ai peggiori sentimenti che si possano provare verso l'altro, c'è ancora tutto. Non è finita. Siamo ancora in tempo per fare, ed essere, quindi, diversamente.
In Occhiu non vidi, così come in tutti gli altri brani che scritto, cantato e suonato, Mimmo Martino ci lascia in eredità qualcosa in più della sua musica, dei suoi testi, della sua voce. Ci dona il suo punto di vista, la sua prospettiva: la stessa che ha animato la sua vita e che ha comunicato agli altri con la sua musica, e che ora tocca a noi fare nostra.

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