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martedì 23 dicembre 2014
DISsud: le foto 36
sabato 22 novembre 2014
DISsud: le foto 35
giovedì 13 novembre 2014
Sette anni e mezzo
- di
Saso Bellantone
Il
fragore dell'acqua limpida e fresca rendeva quella fontana simile a
un totem, a un feticcio che caricava di sacralità l'intera piazza.
Da sempre ed eternamente differente, l'acqua scorreva fuoriuscendo
dalla bocca di quei buffi leoni ferrosi e arrugginiti, trasportando
con sé le note di mondi e di tempi ormai andati. Malgrado fosse
sempre la medesima, quelle note liquide generavano una strana
sinfonia, un concerto naturale, innocente e antico al pari dell'Om da
cui tutto ebbe inizio. Quel suono impareggiabile ammaliava tutti,
grandi e piccoli. Attirava chiunque passasse da quelle parti così
come il canto di una sirena alle foci di un fiume seduce e attrae a
sé le ciurme di pescatori remanti sulle acque del mare attiguo. Non
si poteva passare oltre. Come invasati da un potere avulso, occorreva
fermarsi, sostare alcuni istanti alla fonte e bere alcuni sorsi di
quel fluido cristallino, lasciando che rinfrescasse l'anima con la
sua musica ancestrale e attuale nel contempo.
Anche
Lazzaro, quel giorno, si era fermato da un lato della fontana per
dissetarsi.
Aveva
appena iniziato le scuole elementari e fino ad allora era solito
uscire di casa assieme ai genitori o ad altri parenti. Quella mattina
di domenica, tuttavia, per la prima volta gli era stato concesso di
uscire da solo. Tanta era la gioia di poter valicare i confini
casalinghi che, una volta varcata la porta e ritrovatosi fuori, non
sapeva dove andare.
Aveva
cominciato a pensare, a rivedere una per una tutte le immagini e i
ricordi che la sua giovane mente custodiva nei magazzini della sua
memoria, nella speranza di individuare un posto da visitare o
qualcuno da andare a trovare, ma non gli venne in mente niente e
nessuno. Non conosceva ancora quel posto al di fuori di casa sua né
aveva amico alcuno. Così, per un attimo, era stato tentato di fare
dietrofront e di tornarsene dentro casa, quando la sua piccola mente
gli aveva offerto l'unica immagine chiara e distinta del paese che
custodiva: la fontana nella piazza. Aveva sorriso, felice di aver
trovato una meta, e si era subito incamminato sul vialone che portava
alla destinazione.
Il
cammino era lunghissimo. Doveva oltrepassare la distanza di numerose
case, disposte in fila l'una con l'altra, da un lato e dall'altro
lato della strada, muovendosi esclusivamente sul marciapiedi, come
gli aveva detto la madre:
–
Nommu vai nta sthrada! Pecchì passanu i machini e ti 'mbestunu! E
quandu a' passari i nu marciaperi all'authru, fermiti nte strisci,
guarda i nu latu e poi ill'authru, e se no' passunu machini, passa a
fujendu! Vo' mi vegnu cu tìa?”.
–
No mamma... – aveva ribattuto prontamente – Ormai sono grande ed
esco da solo!
E
così aveva fatto. Solitario, come una rondine in mezzo al cielo
azzurro in cerca di cibo, aveva sfidato l'ignoto del paese alla
ricerca della fontana, unico riferimento sicuro per la sua folle,
seppur iniziale e infantile, escursione. Che emozione! Finalmente era
uscito da solo! Finalmente gli altri bambini non lo avrebbero più
preso in giro e lo avrebbero considerato grande, un adulto!
Lungo
il tragitto, osservava le case colorate simili all'arcobaleno, le
donne che stendevano i panni sui balconi, le vecchie sedute fuori
casa che intonavano canzoni antiche pulendo fagioli e fagiolini, i
vecchi che passeggiavano l'uno di fianco all'altro commentando le
notizie appena lette sul giornale, le automobili che passavano veloci
sulla strada dirette verso chissà quali avventure. Il sole
primaverile accarezzava la sua pelle con delicatezza e illuminava lo
scenario sconosciuto nel quale si muoveva, avvolgendolo di
un'atmosfera quasi magica, fatata, come i cartoni che guardava in
televisione. Solo che quello che vedeva non era finto. Era vero, e
lui era un attore come gli altri nel cartone della vita.
Ammirando
la bellezza del paese e gustando pienamente la sua prima uscita “da
grande”, Lazzaro non si era reso conto che aveva già fatto
parecchia strada e che la fontana era ormai vicina. Aveva capito di
trovarsi nei paraggi della fonte perché all'improvviso aveva sentito
quel suono incantato che poteva provenire soltanto dalla sorgente
collocata in piazza.
Via
via che proseguiva, tanto più lo scroscio dell'acqua aumentava la
sua musica tanto più il cuore di Lazzaro si riempiva di gioia.
Finché, superato l'angolo, finalmente l'aveva vista.
Era
lì, bella, esattamente come la ricordava: una colonna di ferro con
due goffi leoni da una parte e dall'altra, dalla cui fauci l'acqua
sgorgava e precipitava dentro delle aperture poste alla base della
struttura, creando in tal modo quella sinfonia indimenticabile e
senza uguali che permeava l'intera piazza di un'atmosfera stregata.
C'era
riuscito. Era arrivato alla meta. Alla fontana. Adesso, poteva
sentirsi un adulto per davvero e sarebbe cominciata per lui una nuova
vita, quella in cui entrava a pieno diritto tra “i grandi” e
nessuno poteva più dirgli che era soltanto un bambino. Ma era solo.
Non c'era nessuno che poteva assistere al suo traguardo e, forse, a
scuola non lo avrebbero creduto se avesse raccontato questa vicenda.
Rendendosi
conto di ciò, un velo di malinconia era passato nel cuore di
Lazzaro. Era bello, sì, uscire da soli come gli adulti, ma era
triste vivere esperienze talmente emozionanti, appunto, da soli.
Avvicinandosi piano piano alla piazza, si guardava intorno deluso.
C'erano degli adulti seduti ai bordi della piscina del Monumento
vicino alla fontana. Si sentiva osservato ed era imbarazzato,
chiedendosi che cosa stessero pensando di lui “i grandi” che lo
avevano visto da solo. Così, per non dare a vedere il suo impaccio,
Lazzaro aveva raggiunto la sorgente e, muovendosi nella maniera più
spontanea possibile, si era fermato da un lato della fontana per
dissetarsi.
Guardò
l'acqua fuoriuscire dalla bocca del leone e scorrere come un filo di
cristallo per poi perdersi nelle tubature alla base della fontana,
suonando in tal modo quel mirabile concerto che lo aveva
ipnotizzato, conducendolo là. Si curvò, si avvicinò lentamente e
iniziò a bere, lavando via da dentro di sé quel desiderio di
diventare “grande” e l'insicurezza di essere visto dagli adulti
come un bambino. Bevve avidamente, tanto era fresca l'acqua, e finì
col bagnarsi entrambe le guance. Quando fu sazio, si rimise dritto e
si asciugò le gote con la manica del bomber che portava addosso, ma
non ebbe il tempo di finire il gesto che si accorse di non essere più
solo:
–
Ciao! – gioì un bambino, porgendogli la mano – Io sono Carmine,
e tu? Come ti chiami?
–
Mi chiamo Lazzaro – rispose timidamente, stringendo la mano
dell'altro e gettando un'occhiata agli adulti che osservavano la
scena.
–
Quanti anni hai?
–
Sette e mezzo. E tu?
–
Io sette. Allora possiamo uscire insieme se ti va. Mia mamma dice che
devo uscire con quelli più grandi di me... – sorrise Carmine,
restando assieme a lui e attendendo una risposta.
–
D'accordo!
Non
appena Lazzaro ricambiò il sorriso, gli adulti dissero a Carmine di
non fare tardi e se ne andarono, salutando entrambi e lasciandoli
soli.
Lo
avevano scoperto. Avevano capito che non era un adulto ma soltanto un
bambino. Proprio come quello che aveva davanti a lui, come Carmine.
Non
gli importava. Aveva dimostrato a se stesso di saper raggiungere la
fontana e, soprattutto, adesso, non era più solo.
Finalmente aveva
un amico.
mercoledì 5 novembre 2014
Ricorda per sempre il 5 novembre
“Ricorda per sempre il
5 novembre, il giorno della congiura delle polveri contro il
parlamento. Non vedo perché di questo complotto, nel tempo il
ricordo andrebbe interrotto. Ma l'uomo? So che il suo nome era Guy
Fawkes e so che nel 1605 tentò di far esplodere il parlamento
inglese. Ma chi era realmente? Che tipo d'uomo era? Ci insegnano a
ricordare le idee e non l'uomo, perché l'uomo può fallire. L'uomo
può essere catturato, può essere ucciso e dimenticato. Ma 400 anni
dopo ancora una volta un'idea può cambiare il mondo. Io sono
testimone diretto della forza delle idee, ho visto gente uccidere per
conto e per nome delle idee, li ho visti morire per difenderle… Ma
non si può baciare un'idea, non puoi toccarla né abbracciarla; le
idee non sanguinano, non provano dolore... le idee non amano. Non è
di un'idea che sento la mancanza ma di un uomo, un uomo che mi ha
riportato alla mente il 5 novembre: un uomo che non dimenticherò
mai”.
(Prologo, V per vendetta,
2005, regia di James McTeigue).
martedì 21 ottobre 2014
Dall'attivismo all'incanto
. di Saso Bellantone
"La frenesia della tecnica nasconde il tempio che è dentro di te. Frenato il caos, si apre un nuovo mondo, dove il disordine e il calcolo svaniscono e traspare il sé che anima il tutto".
mercoledì 15 ottobre 2014
Ereditare il niente
- di Saso Bellantone
"Siamo tutti spettatori ereditieri di una buia esistenza che non è la nostra, scelta".
martedì 7 ottobre 2014
Briciole di luce
"Il destino di ognuno è tracciato dalle briciole di luce disseminate nel buio della propria coscienza".
domenica 14 settembre 2014
“Sospeso”...
Capita
spesso di chiedersi se alcuni avvenimenti siano semplici coincidenze,
se siano già scritti nelle maglie del destino o se provengano
soltanto dalla nostra immaginazione. A volte si opta per il primo
caso, altre per il secondo e altre ancora per l'ultimo. Dipende dal
momento, dallo stato d'animo che si ha, dal periodo che si sta
attraversando e da una innumerabile serie di incognite impossibili da
elencare, le quali, nessuna esclusa, giocano tutte un ruolo centrale
nell'interpretazione, o meglio nella collocazione di quegli eventi
nelle categorie sopra citate. Si può quindi concepire quei fatti in
maniera briosa, infelice oppure si può intenderli in modo scherzoso,
riderci sopra e far finta che non siano mai accaduti.
Ve
ne sono alcuni, tuttavia, la cui bizzarria spiazza a tal punto da
impedire una categorizzazione di essi e una loro spiegazione. Vengono
alla luce come conseguenza della formula magica appena pronunciata da
invisibili streghe e negromanti per condizionare il nostro tempo o
come il risultato delle mosse delle pedine della scacchiera della
vita, da parte di un giocatore fuori dal mondo che lo fa per puro
divertimento. In ogni caso accadono e inebriano di meraviglia a tal
punto da lasciare frastornati per diversi giorni, perché sono troppo
assurdi e improvvisi. Proprio come quelli che sto per raccontarvi.
Tempo
fa leggo di una bellissima iniziativa che ha lo scopo di diffondere e
di consentire la fruizione gratuita dei saperi e delle conoscenze
denominata “Libro Sospeso”. L'idea prende spunto dal celebre
“caffè sospeso”. In buona sostanza, in alcune città, entrando
in un bar si usava pagare due caffè, consumarne uno e lasciare
pagato l'altro per chi, successivamente, recandosi nello stesso
locale, chiedesse di esso. In tal modo, si offriva un caffè a una
persona sconosciuta e forse mai conoscibile, con l'intento, quasi, di
fare in tal modo un dono all'umanità. Il “Libro Sospeso”
funziona nel medesimo modo, solo che i protagonisti sono stavolta le
librerie e i libri. Si entra in una libreria, si comprano due libri,
uno lo si porta con sé, l'altro lo si lascia pagato in libreria e
sarà ritirato, in seguito, da chi recandosi nella libreria chiederà
di esso. È un'iniziativa bellissima e affascinante, diffusa ormai in
tutta la penisola, interpretata in maniere differenti ma tutte con
l'obiettivo di permettere la lettura anche alle fasce più deboli
della società, i giovani, i disoccupati, gli inoccupati, i
pensionati, tutti coloro che, insomma, economicamente non se la
passano proprio bene.
Alcuni
mesi dopo, durante la Fiera del Libro di Gerace, mi reco alla
Libreria Calliope di Siderno per avviare un rapporto di fornitura.
Incontro Roberta, la titolare, e mi mostra dei libri appesi vicino
all'ingresso, spiegandomi che si tratta del “Libro Sospeso” e che
è l'unica libreria in Calabria ad aver sposato tale idea. Le dico di
conoscere già tale iniziativa e mi congratulo con lei per il
coraggio, mediante una tale idea, di mettere la letteratura
gratuitamente a disposizione delle persone in difficoltà e tuttavia
desiderose di leggere e di sapere.
A
distanza di mesi, assieme a Daniele della Cartolibreria Demaio, nel
corso della rassegna “Notti Disobliate. 5 libri per 5 concetti”
decido di lanciare il “Libro Sospeso” anche a Bagnara Calabra.
Cominciano forte, con ben cinque libri sospesi e appesi all'ingresso,
destinati ai ragazzi e a quanti non hanno la possibilità di
acquistarli, ma hanno fame di conoscenza. Sono felice, perché adesso
in Calabria ci sono due librerie a sposare tale iniziativa e più
persone disagiate hanno la possibilità di saziare il loro appetito
di libri.
Alcune
settimane dopo, mi trovo in viaggio sulla A3, direzione Firenze, in
compagnia di amici. Il viaggio è stancante e occorre fare una sosta,
con tanto di un buon caffè. Così, tra le tante Aree Servizio
distribuite lungo il percorso dell'autostrada, scelgo di sostare
nella prima subito dopo il raccordo Napoli-Avellino.
Pago
tre caffè e mi avvicino al bancone, aspettando che siano portati.
Nell'attesa, mi accorgo che il contenitore dello zucchero è pieno di
bustine, tutte uguali, recanti nel dritto l'iscrizione “Storie di
caffè”. Incuriosito, ne prendo una e leggo l'iscrizione,
chiedendomi quali storie di caffè potrebbe raccontare una bustina di
zucchero. La giro e nel rovescio trovo un aforisma di Luciano De
Crescenzo, quello che potete leggere nell'immagine allegata al
presente scritto.
Sorrido,
e mostro la citazione ai miei compagni di viaggio e di caffè.
Sorridono anche loro, pensando alle “Notti Disobliate”. Nelle
loro bustine ci sono altre frasi. Quella contenente la frase relativa
al caffè sospeso e, dunque, ricollegabile al “Libro Sospeso”,
l'ho presa soltanto io.
Bevo
il mio caffè, rigorosamente amaro, metto la bustina di zucchero in
tasca, e riprendo il viaggio, chiedendomi come sia stato possibile,
in mezzo a tutte quelle bustine, pescare esattamente quella. Una
coincidenza? Destino? O è soltanto la mia immaginazione a tentare di
trovare una connessione logica tra il “Libro Sospeso” lanciato
alle “Notti Disobliate” e quella bustina di zucchero?
Oggi,
a distanza di giorni, me lo chiedo ancora e non so come o cosa
rispondere.
Voi
che ne pensate?
Io
credo che...
lunedì 1 settembre 2014
Bucks
- di
Saso Bellantone
Agosto.
31. È un pomeriggio afoso e 4 amici partono in macchina in direzione
della spiaggia di Amantea e del mare. Il mare... bello e misterioso
come la vita, una metafora perfetta. Quando si è piccoli e arriva
l'estate non si fa altro che passare intere giornate al mare, poi,
via via che si cresce, alcuni continuano a frequentarlo assiduamente,
intendendolo quasi come qualcosa di sacro; altri se ne stancano o non
trovano il tempo né la vicinanza per fare qualche bagno; altri
ancora hanno la fortuna di fare anche un bagno soltanto... nel mare.
Lo stesso mare nel quale, alla foce del Gange, milioni di orientali,
provenienti da tutti i continenti, s'immergono e riemergono,
fisicamente e spiritualmente, una volta all'anno, per purificarsi
della contingenza, morire nella vecchia vita e rinascere nella nuova.
Così accade, a volte, anche agli occidentali. A quegli occidentali
che, disinnamorati, senza tempo o troppo lontani dalle coste, si
ritrovano improvvisamente in spiaggia, sotto il sole cocente estivo.
È un evento, il mare. Immergendosi e riemergendo dalle sue acque
avviene qualcosa che va al di là del caldo, del sudore e della moda.
Qualcosa, che dal corporale passa all'intellettuale (o allo
spirituale, per chi preferisce) e permane in esso. Lo impregna, lava
via le ombre delle idee ormai inutili e lascia il segno di un sale
che non può essere mondato. Un sale che si deposita nella pelle del
pensiero senza toccarla allo stesso modo in cui le acque del mare a
cui quel sale appartiene bagnano senza sfiorarla. Eppure, dà un
sapore nuovo, diverso, a un pomeriggio che, forse, durerà più a
lungo del previsto, per tanti pomeriggi, oltre i confini di Cronos.
Un sale di nome Bucks.
Sono
appena uscito dal mare. Primo tuffo, primo bagno 2014. Mi distendo
sull'asciugamani e lascio che il sole mi liberi delle gocce d'acqua
marina che attraversano il mio corpo. Giro del tabacco e ad ogni
girata un passo avvicina qualcuno.
Li
sento, quei passi. Così come, nel momento stesso in cui sono pronto
a chiudere la sigaretta, sento la sua voce e il tonfo del suo corpo
che si siede sulla ghiaia innanzi a me.
Lo
vedo. È un ragazzo, la sua pelle è nera, senza bisogno alcuno di
abbronzature e tintarelle. Mi saluta e mi chiede “quella”
sigaretta. Lo saluto, la chiudo per lui, gliela porgo e me ne chiede
un'altra. Mi appresto a girarla e chiacchieriamo.
Si
chiama Bucks. Viene dal Gambia. È qui da tre settimane e lavora da
tre settimane, giunto a bordo di un barcone assieme a tanti altri
connanzionali, amici e disperati. Vende bracciali e collane. Si dà
da fare per raccogliere i soldi e spostarsi in un altro Paese più
promettente dell'Italia, in cui ricominciare la propria vita. Crede
in Dio e ha fame.
Gli
do la sigaretta e qualcosa per mangiare. Non voglio collane né
bracciali. Non li uso, quindi è meglio li venda ad altri.
Mi
ringrazia lungamente, in inglese. Lo ringrazio brevemente, dicendo
“God is with you”. Ci salutiamo. Prosegue il suo cammino, per
vendere qualcos'altro e incontrare qualche altro amico con cui
scambiare due parole e trovare, se solo fosse possibile farlo, il
senso del suo girovagare.
Lo
osservo, osservo me stesso e mi chiedo: perché un ragazzo è
costretto a fuggire via dalla propria terra natia? Perché cerca un
paese più promettente dell'Italia?
Agosto.
31. Il pomeriggio afoso è ormai passato e, mentre la fresca sera
entra dai finestrini della macchina, 4 amici rientrano a casa. Non
sono più 4. Sono 5.
La
musica e i tramonti all'orizzonte parlano chiaramente. Non ci saranno
altri tuffi né altri bagni per quest'estate 2014 appena cominciata.
Non voglio altro sale marino sul mio corpo. Il mio pensiero è già
denso di sale. Quel sale che mi accompagnerà per tanti altri
pomeriggi ancora: Bucks.
giovedì 10 luglio 2014
L'eroismo della differenza
"L'eroe non è affatto il bravo e ubbidiente cittadino che adempie ai propri doveri. Eroico può essere soltanto il singolo, che ha fatto del 'senso di sé', della sua nobile e innata testardaggine il proprio destino".
venerdì 4 luglio 2014
Orme parallele
- di Saso Bellantone
"Percorrendo qualsiasi sentiero nel cuore della natura, alla ricerca di se stessi, si comprende che uomo e natura non sono altro che due parole per indicare il medesimo soggetto".
mercoledì 25 giugno 2014
La bellezza è inspiegabile
"La rosa è senza perché: fiorisce perché fiorisce,
a se stessa non bada, che tu la guardi non chiede".
mercoledì 11 giugno 2014
Mille lire
- di Saso Bellantone
La sigla del Tg
prorompeva dalle porte e dalle finestre aperte di ogni abitazione e
si diffondeva sulle strade deserte della cittadina meridionale,
portando le notizie dal resto del paese. Politica, sport ma
soprattutto brutte notizie. Per questo il piccolo Lazzaro non amava
il Tg. Perché ogni giorno sentiva sempre storie tristi, provenienti
da un mondo cattivo, fatto di persone cattive. Ciò lo rattristava
enormemente ma la mamma, lavando i piatti e rimettendo in ordine la
cucina, seguiva sempre il Tg, così era costretto ad assecondarla.
Quel giorno, tuttavia,
mentre la mamma preparava la caffettiera, Lazzaro preferì starsene
affacciato alla finestra ad osservare le rondini, appena tornate ai
propri nidi grazie ai primi raggi di un sole primaverile. Le
osservava volare libere, leggere, veloci sul limpido cielo ornato dai
pollini di fiori da poco sbocciati, e poi tornare dai propri piccoli
che con la loro vocina chiedevano di essere sfamati, e sperava di
poter volare come loro, lontano da quel mondo così malvagio. Aveva
appena finito di pranzare. Pasta con il sugo e cracker integrali
ridotti a poltiglia e spalmati nuovamente su altri cracker. Era
divertente, ma gliene toccava soltanto un pacco e il gioco,
purtroppo, finiva subito. Così si annoiava, non sapendo cosa fare e
in quale altro modo giocare, prima dell'arrivo dello zio.
Lo zi' 'Ntoni infatti
passava a trovarlo ogni giorno, sempre alla stessa ora. Spuntava
all'improvviso, spalancando le ante della finestra e chiamando
allegramente il suo nome, riempiendo la casa di gioia. Vestiva sempre
la tuta d'elettrauto, mentre quando non lavorava usava classici
cardigan sopra camicia, cravatta, pantaloni e scarpe lucide. Sembrava
un personaggio proveniente da un mondo fantastico. Capelli pettinati
rigorosamente all'indietro, occhi vispi, carnagione chiara e grandi
mani, aveva dei dentoni talmente distanti l'uno dall'altro che
sembravano disegnati. E poi era talmente alto e magro che quando
sorrideva, e lo faceva sempre, aveva l'aspetto di un lampione acceso
ambulante. Doveva sempre chinarsi in avanti per entrare
nell'abitazione.
Quel giorno lo zio non
era ancora arrivato e il piccolo Lazzaro decise di appostarsi dietro
l'infisso e di fargli uno scherzo, anticipandolo. Nell'attesa,
continuava a osservare le rondini e ad ascoltare il loro trillo,
mentre il resto del paese rimaneva fermo come un dipinto colorato.
Mentre guardava da una parte e poi dall'altra, ecco che intravide lo
zio spuntare all'improvviso dalla traversa vicino casa.
Sorrise, Lazzaro, e si
nascose subito sotto la finestra, aspettando che l'altro arrivasse
per coglierlo alla sprovvista.
Quando lo zio raggiunse
la finestra e aprì le ante in cerca del nipotino, Lazzaro attese
alcuni istanti, poi scattò in aria, gridando felicemente: –
'Ntoooneeee!
Lo zio scoppiò in una
risata e, come sempre, rispose al benvenuto chiamando allegramente il
nome del bambino: – Laaazzarooo!
I due si guardarono
festosi per alcuni istanti, poi Lazzaro scese dal divano collocato
sotto la finestra, andò ad aprire la porta e fece entrare lo zio in
casa; intanto la mamma si tolse i guanti e messa immediatamente la
moca sul fuoco, raggiunse il figlio per accogliere l'ospite anche
lei.
Lo zi' 'Ntoni passava
ogni giorno nel primo pomeriggio per prendere un caffè con la
nipote, fare una chiacchierata e poi ritornare al suo lavoro di
elettrauto. Contemporaneamente, era solito proporre al piccolo
Lazzaro sempre la medesima sfida, cosa che fece anche quel giorno,
dopo essersi seduto al tavolo accanto a lui: – Se rinesci mi
muzzichi a manu nto menzu... – disse, sorridendo al nipote e
spalancando la mano sinistra – ti rugnu milli liri!
Senza neanche dargli il
tempo di finire la frase, Lazzaro prese la mano dello zio, spalancò
le fauci e, aiutandosi con entrambe le manine, cominciò a mordere.
Lo zi' 'Ntoni e la mamma
risero di gusto, mentre la moca fischiettava che il caffè era appena
sceso. La mamma versò il caffè nelle tazzine, si sedette assieme
allo zio e si mise a parlare con lui del più e del meno. Intanto il
piccolo Lazzaro faceva valere la sua audacia contro la mano
inflessibile dello zio.
La sfida generalmente
terminava con la sigla conclusiva del Tg. Dal momento che quel giorno
era arrivato in ritardo, lo zio concesse al piccolo ancora qualche
minuto. Lo osservava divertito assieme alla nipote. Il nipotino
sembrava infatti un cucciolo di tigre instancabile. Tentava senza
sosta di mordere la mano ma era impossibile. Era talmente tesa e
immobile che una corda di violino al confronto sembrava un filo di
lana. Lazzaro lottava, cambiava angolazione, provava qualsiasi cosa
per riuscire a mordere la mano ma non c'era modo alcuno. Sembrava una
mano statuaria, dura e ferma con un blocco di marmo.
Il tempo passò in fretta
e lo zio disse che doveva tornare al suo lavoro.
Lazzaro si immusonì
perché non era riuscito a vincere la sfida ma lo zi' 'Ntoni,
sorridendo al nipotino e asciugandosi la mano piena di saliva, tirò
fuori mille lire: – Va' bonu... – disse, consegnandole al piccolo
– pe' sta' vota vincìsti ma a prossima vota se non si' cchiù
bravu no' ti ndi rugnu!
Lazzaro prese le mille
lire tutto contento e diede un bacio sulla guancia allo zio,
stringendolo in un abbraccio, sotto gli occhi felici della mamma.
Finiva sempre così. Pur
vincendo ogni volta, lo zio era felice di gratificare il nipotino.
Per lui era un gesto significativo. Non sempre infatti nella vita si
riesce a raggiungere il traguardo prefissato e non sempre si è
premiati lo stesso. Tuttavia sperava che con quelle mille lire il
piccolo si abituasse a credere in se stesso e nelle proprie capacità,
e a convincersi che un giorno che ce l'avrebbe fatta. Avrebbe morso
la mano, avrebbe raggiunto i suoi sogni.
Anche la mamma, pur non
partecipando al gioco, era felice. Malgrado restasse per pochi
istanti, la compagnia dello zi' 'Ntoni illuminava la casa degli
stessi colori primaverili che rendevano la cittadina meridionale un
paradiso terrestre. Con il suo sorriso, la sua allegria e la sua
simpatia, trasmetteva la gioia e la serenità necessari per
affrontare con determinazione le diverse mansioni che le toccavano
per il resto della giornata.
Lazzaro, naturalmente,
era giulivo. Guardava lo zi' 'Ntoni uscire di casa ed avviarsi in
direzione dell'officina, e gli sorrideva continuamente. Non perché
lo aveva premiato lo stesso, ma perché era convinto che in quel
mondo pieno di persone cattive ce n'era una buona; finché c'era lo
zio, quel mondo appariva ai suoi occhi abitabile.
lunedì 9 giugno 2014
DISsud: le foto 34
giovedì 5 giugno 2014
Le catene di Cronos
lunedì 26 maggio 2014
OLTREWEB: Ma quali europee?!
- di
Saso Bellantone
Buon
meriggio web,
la
tornata elettorale si è appena conclusa e sei soddisfatto di aver
espresso il tuo diritto, recandoti al seggio, non andandoci,
scegliendo la mano destra o la mano sinistra del diavolo o la copia
della copia della copia ispirandoti a vetusti valori, principi e
figure di partito o accettando la promessa di chicchessia o
scarabocchiando la scheda con insulti, pernacchie e quant'altro ti
consenta di vantarti con gli amici e i nemici, mostrandoti il più
geniale per estro creativo, egocentrismo e chiusura mentale.
Hai
sfogliato i programmi, non li hai nemmeno sbirciati, non sai cosa
siano, hai promesso, ti sei chiuso a riccio, hai fatto propaganda,
hai sposato o negato quel simbolo o quel volto, ritenendo che le
consultazioni per mandare 83 rappresentanti al parlamento del Grande
Leviatano del Nord sia il sentiero per risolvere i problemi che stai
attraversando ormai da diversi anni, e sempre in peggioramento, a
meno che tu non abbia già messo il cappio al tuo collo, lasciando
agli altri il peso di decidere di quale morte, o di indegna
schiavitù, morire.
Ma
che senso ha questa tornata elettorale, quando è proprio l'Immenso
Craken Nordico il problema dei problemi? Ancora credi che, inviando
nuovi rappresentanti, cambierà il tuo destino? Che cambierà in
meglio?
Perché
non ti svegli, mio caro web, e smetti di lasciarti illudere da quelle
visioni dai colori intercambiabili che spacciano ambiguamente
soluzioni apparentemente, logicamente e sinteticamente ovvie per
trasformare la tua caduta negli inferi in un'ascesa verso l'empireo?!
Sono
promesse, sempre le solite promesse, miscelate con ingredienti e
salse esteriormente differenti, provenienti in fondo dall'oscuro
obiettivo di sedere nelle vette del Titanico Mostro Settentrionale e
goderne, beneficiarne a scapito proprio tuo.
E
così sarà, non appena messo piede nei palazzi del potere
leviatanico.
Anche
se i tuoi rappresentanti vi giungessero con l'animo effettivamente
pio, proponendo agli altri rappresentanti di cambiare le regole del
Craken, sarebbero derisi o azzittiti o assorbiti, incapaci così di
impedire che la rovina, la tua, prosegua e dilaghi.
Anziché
perdere tempo a esercitare il tuo diritto al voto, con le solite
stupidaggini che in tali occasione elettorali si scatenano, stavolta,
mio caro web, dovevi cogliere al volo assieme a tutti gli altri
un'occasione unica.
Dovevi
in maniera unanime NON-esercitare quel diritto. Schierarti, al di là
delle differenze culturali, razziali, di genere e di pochezza
mentale, assieme a tutti i nativi e gli immigrati dello stivale ed
esprimere il tuo NO a questo Titanico Mostro Settentrionale. Dovevi
palesare con un grande gesto simbolico che è proprio quel Leviatano,
assieme alla moneta unica, alle banche, alle multinazionali e ai
potenti, che non va e che non vuoi far parte di quell'abominio della
democrazia internazionale e transnazionale.
Hai
bisogno, mio caro web, di un'unica forza che non abbia nulla a che
vedere con i filmini e gli archetipi dei bacucchi partiti costruiti
per rinnovare i propri adepti, e che si opponga duramente e
responsabilmente a questo obbrobrio che sta dissanguando te e chi
(non)verrà dopo di te, sprecando i sacrifici di chi ti ha preceduto,
per consegnarti un mondo migliore che ormai peggiora costantemente.
Dovresti,
mio caro web, cominciare a pensarti in maniera nuova, uno, unico,
indivisibile, stivalico; uscirtene da questa follia che sta
consumando la tua storia in cambio di vanità e morte, e ricominciare
solitario, introverso, difendendo il made in Stivaly e gli stivalici
tutti, decretando l'inizio della fine di questo dannato Grande
Leviatano del Nord.
Invece,
hai soltanto sprecato, di nuovo, un'occasione, ed è tutto, di nuovo,
da rifare... a meno che tu non sia già finito nell'ade.
Medita
web, medita...
Pubblicato su Cmnews: http://www.cmnews.it/rubriche/oltreweb/oltreweb-quali-europee/
Pubblicato su Cmnews: http://www.cmnews.it/rubriche/oltreweb/oltreweb-quali-europee/
venerdì 23 maggio 2014
Dal chiaroscuro, brandelli di luce
"Così i giorni, gli ultimi giorni, turbinano nella mia memoria, indistinti, autunnali, tutti eguali come foglie: fino a un giorno diverso da tutti quelli che ho vissuto".
mercoledì 14 maggio 2014
DISsud: le foto 33
martedì 6 maggio 2014
OLTREWEB: Gerace Libro Aperto, che bella metafora!
- di
Saso Bellantone
Buon
meriggio web,
i
fumi del 25 aprile, della Pasqua e del 1° maggio sono ormai
evaporati e, assieme ad essi, anche le promesse politiche,
ecclesiastiche e sindacaliste di redenzione dal male, causato dai
progetti di potere del Grande Leviatano del Nord, dalla realizzazione
di una schiavitù della dissolutezza sfrenata e spudorata e dalla
svendita del made in Stivaly per sopraffini interessi individuali.
Così, torni a vedere la realtà per quello che è, triste, povera,
senza futuro alcuno e ti chiedi per quanto tempo resisterai, con quel
malanno in corpo e quel malessere nello spirito, che mandano la tua
vita in malora.
Non
lo sai, ma sai che non durerai a lungo se nessuno comincia a fare
tutto quello che dice e ridice per meri scopi propagandistici,
personali o della squadra a cui appartiene. Ma che cosa c'è, da
fare?
Un
bell'esempio proviene dal festival dell'editoria calabrese Gerace
Libro Aperto, ormai alla terza edizione.
Editori,
scrittori, associazioni, amministrazioni, artisti, musicisti e tanta
gente proveniente da differenti territori della Calabria, si sono
raccolti per cinque giorni in un gioiello storico-artistico, Gerace,
per fare cultura.
“Fare
cultura”. Molti, mio caro web, pensano che questa locuzione
consista soltanto nella produzione di libri, album, dipinti,
fotografie, installazioni, esposizioni, degustazioni, spettacoli,
concerti, presentazioni, volantini, chiacchiere e passeggiate per le
vie di una delle città più belle dello stivale. Fare cultura non
significa questo. Gerace Libro Aperto non produce nulla di quanto
elencato sopra, tutto questo è già prodotto da quanti sono stati
citati nel periodo precedente. E allora che cosa fa Gerace Libro
Aperto? In quale maniera, produce cultura? E quale cultura, produce?
Fare
cultura non significa meramente presenziare a Gerace Libro Aperto
bensì comprenderne il significato. Gerace Libro Aperto è una
metafora della cultura stessa che produce, anzi promuove, già per il
terzo anno consecutivo.
“Cultura”,
mio caro web, proviene dal termine tedesco “Billdung” che
significa “formazione”, nel senso attivo della parola: creare,
dare forma, comporre, configurare, elaborare. Gerace Libro Aperto
pro-muove, opera per dare forma a “una” cultura di cui tutta la
Calabria ha bisogno in questo momento storico, e, osservandola con la
lente d'ingrandimento, ci si accorge che tale cultura incoraggiata
dal festival dell'editoria calabrese non è nulla di diverso da
quanto facevano i nostri genitori e i nostri nonni in passato. La
cultura che Gerace Libro Aperto pro-muove, incoraggia, e che la
manifestazione stessa incarna diventandone la metafora, è “un”
modo di pensare, e di fare.
Gerace
Libro Aperto pro-pone, pone in essere una visione delle cose e una
sinfonia di condotte dai quali la Calabria e i calabresi potrebbero
trarre beneficio, passando da una forma di resistenza “passiva”
ad una forma di resistenza “attiva” al fato che si è chiamati a
vivere e a combattere in questi tempi a causa delle scelte operate
finora da altri. Gerace Libro Aperto è un modo di pensare e di fare
che, se applicato in ogni territorio, paese e contrada calabrese,
offrirebbe una resistenza attiva della Calabria e dei calabresi ai
flutti oscuri del mercato globale e dell'impoverimento economico e
spirituale planetario, capace anche di contrastare la disoccupazione,
l'abbandono della nostra terra e il mal di vivere ormai imperante,
che riempie quotidianamente le pagine dei giornali con vicende tristi
e tragiche.
La
cultura di cui Gerace Libro Aperto si fa promotrice, mio caro web, è
sintetizzabile nella parola “permanenza”, che racchiude al suo
interno diversi significati, come “soggiornare, durare, continuare,
stabilire, stabilizzare”. Soprattutto, ha al suo interno il termine
latino “munus” che significa “dono” e che nella parola
permanenza indica “la qualità del donare per, a favore di”.
Gerace
Libro Aperto raccoglie e mette in evidenza un insieme di enti,
aziende, scrittori, artisti, musicisti, lettori, ascoltatori,
fruitori e consumatori che “permangono” in Calabria: vi
soggiornano, durano nel senso che resistono, continuano a
soggiornarvi e a resistere, stabiliscono nel senso che decidono,
pongono in essere realtà e fatti nuovi e di un certo valore sociale,
e infine “tentano” di stabilizzare, di consolidare il loro
soggiorno, la loro resistenza, le loro creazioni, la continuità del
loro operato. Sono tutte persone che hanno già la cultura della
permanenza, pur non chiamandola in questo modo. Ognuna di loro è
qualificabile mediante un comun denominatore: il donare a tutti gli
altri il proprio soggiornare, la propria resistenza, la propria
continuità, la propria attività, nel tentativo di stabilizzare
assieme agli altri la Calabria e i calabresi, e il loro comune
destino.
Detto
in altri termini, a Gerace Libro Aperto s'incontra gente che ha
deciso di restare in Calabria, di resistere al disastro
economico-finanziario globale “dal di dentro della” Calabria, di
continuare a restarvi scegliendo quali fatti sociali creare “per”
la Calabria e i calabresi, e che decide quotidianamente di
consolidare le proprie scelte, continuando a occuparsi del destino
che ha in comune “con” la Calabria e i calabresi.
A
Gerace Libro Aperto si conoscono tante persone che, anziché fuggire
via – geograficamente, letterariamente, artisticamente,
economicamente e passionalmente –, restano nella nostra terra.
Persone che lavorano e fanno lavorare “in” Calabria, che
pubblicano e leggono opere di autori calabresi, che ascoltano musica
di musicisti calabresi, che creano e osservano opere d'arte di
artisti calabresi, che fruiscono di e consumano prodotti calabresi,
che investono nelle arti e nei saperi calabresi, che restano senza
fiato innanzi alle bellezze storiche, archeologiche e paesaggistiche
calabresi, che incontrano e amano incontrare i calabresi e tutte
quelle persone provenienti da altre nazioni le quali, una volta
giunte in Calabria, vengono accolte come cittadini nativi calabresi
soltanto perché hanno avuto il piacere o l'occasione di venire in
Calabria, e fanno conoscere quanto elencato finora, e cioè il bello,
ai bambini, alle nuove generazioni. Persone che amano, soffrono,
sperano, sognano, sorridono, lottano, credono, si sacrificano, si
danno da fare, creano e sperimentano nelle arti, nei saperi, nei
sapori, nelle professioni, nelle scienze, nella comunicazione e nei
rapporti con gli altri, e continuano a restare, a resistere, a creare
e a sperare una Calabria e dei calabresi diversi.
Gerace
Libro Aperto, mio caro web, è una metafora della cultura della
permanenza, e cioè del restare “in” Calabria in tutti i sensi.
Un'idea che, se soltanto fosse adoperata in ogni dimensione e livello
di tutte le realtà che costituiscono la nostra regione, quest'ultima
e i suoi abitanti sarebbero diversi, diventerebbero diversi.
Riesci
ad immaginare, mio caro web, una grande comunità di calabresi “in”
Calabria che, diffondendo la “metafora della permanenza Gerace
Libro Aperto” crea e consuma e fruisce di abbigliamento, scarpe,
alimenti, negozi, supermercati, tecnologie, mobili, soprammobili,
energia, scuole, biblioteche, gallerie, musei, cinema, concerti,
media, fabbriche, aziende (e via dicendo) “calabresi”?
Come
sarebbero la Calabria e i calabresi se smettessero di rifornirsi, di
usare e di consumare, anche per puro diletto, tutto quello che
attualmente è importato da altre regioni e nazioni? Ci sarebbe
maggior lavoro? Si frenerebbe lo spopolamento della nostra terra? La
Calabria comincerebbe ad essere più bella, più sana, più
accogliente, più consapevole delle proprie potenzialità e della
propria storia? I calabresi potrebbero cominciare a opporsi
attivamente alle scelte politiche, economiche e consumistiche imposte
– e attualmente accettate passivamente – dai grandi poteri e
dalle multinazionali?
Se
si prendesse sul serio la “metafora della permanenza Gerace Libro
Aperto”, mio caro web, – ossia di quel modo di pensare e di fare
con il quale si è coscienti di donare qualcosa d'importante e
necessario alla Calabria e ai calabresi – se si facesse propria
questa visione delle cose, diffondendola in ogni sfera della nostra
grande comunità, e si operasse in tal senso, la Calabria e i
calabresi sarebbero...
Medita
web, medita...martedì 29 aprile 2014
La banalità della trascendenza
"Si smaterializza l'essere, in visibili ed invisibili frammenti di sé, ma nell'immanenza, l'animale uomo, crede siano gocce di pioggia o lacrime".
venerdì 25 aprile 2014
Airman di Eoin Colfer
- di
Saso Bellantone
Parigi
1878. Esposizione Universale degli inventori e della scienza. Il
capitano dei Tiratori Scelti delle Isole Saltee, Declan Broekhart, un
piccolo stato sovrano al largo delle coste irlandesi, e la moglie
Catherine, in dolce attesa, salgono a bordo del dirigibile Le
Soleil, assieme a Victor Vigny, capitano della Squadra
Aeronautica costruttrice del velivolo. Dopo essersi alzati in volo,
una fucilata raggiunge il pallone e i viaggiatori rischiano la vita.
Inoltre, Catherine ha le contrazioni e si ritrova a partorire nel
cesto del dirigibile che, fortunatamente, si ancora ai riccioli della
testa della Statua della Libertà, che presto sarebbe stata inviata
in America. Sono tutti salvi, anche il bambino appena nato. Si chiama
Conor, e si dice che “i suoi occhi siano di fuoco”.
Comincia
così Airman (Mondadori, 2009), la storia emozionante del
giovane Conor Broekhart, studioso di scienza del volo e amico della
principessa Isabella, figlia del re Nicholas Trudeau, con la quale
vive numerose avventure all'interno del palazzo reale del regno delle
Saltee. La sua vita però è destinata a cambiare repentinamente a
causa di un complotto ad opera del generale della Guardia Reale, Hugo
Bonvilain, per ottenere il potere. Ritrovatosi in prigione nella
piccola Saltee, solo e convinto di essere odiato dalle persone che
ama, Conor dovrà combattere contro se stesso e contro i nemici che
tentano di annientarlo definitivamente, per ritrovare la libertà e
salvare le Saltee dalle grinfie dell'ambizioso Bonvilain.
È
una storia semplice, appassionante, adatta sia agli adulti sia ai
ragazzi perché si presenta come una metafora delle spregevoli
cospirazioni che a volte si è costretti a vivere, a scapito delle
persone amate. L'autore, Eoin Colfer, sottolinea quanto sia
importante, malgrado le difficoltà, la solitudine e il senso
d'impotenza provati in situazioni del genere e al limite del
comprensibile, non darsi per vinti, perché nulla è perso per
sempre. Anzi, è proprio in questi momenti che è possibile trovare
dei nuovi amici e scoprire di possedere delle risorse impensate
prima, con i quali stravolgere un destino ormai apparentemente triste
e misero, e riprendersi la vita e la felicità di cui si è stati
privati. Benché non sia facile, c'è sempre un modo per ritrovare la
libertà, anche se, spesso, una volta ottenutala, si ha la tentazione
di dimenticare tutto e tutti, e di dedicarsi egoisticamente a se
stessi. Ma il passato non può essere cancellato definitivamente,
anzi, si ripresenta in forma nuova, per ricordarci chi siamo
veramente e che le persone amate hanno bisogno di noi.
giovedì 17 aprile 2014
DISsud: le foto 32
venerdì 11 aprile 2014
DISsud: le foto 31
sabato 29 marzo 2014
DISsud: le foto 30
"Il lavoro - Scultura di Maurizio Carnevali. il 1° Maggio 2013, la Società Operaia di Mutuo Soccorso e l'Amministrazione Comunale, posero" (Palmi).
giovedì 20 marzo 2014
Tornare al circo... da bambini-adulti
- di Saso
Bellantone
Il circo...
che meraviglia!
Nell'era
dell'iper-comunicazione, iper-interazione e iper-digitalizzazione
dell'esistente, andare al circo può sembrare retrò, fuori moda,
folle. Siamo abituati a stare attaccati a smartphone, tablet, tv, pc,
a qualsiasi cosa contenga uno schermo touch che attiri la nostra
attenzione e in qualche modo ci separi dalle persone che abbiamo al
fianco e da quelle che abbiamo dall'altra parte della connessione.
Sembra strano, eppure è così. Chattiamo, clicchiamo, digitiamo
continuamente qualcosa, qualsiasi cosa a qualcuno, e siamo soli. Soli
con noi stessi e con le nostre dita intente a organizzare le lettere
della tastiera in frasi e parole che piacciono agli altri, capaci
dunque di rubare loro del tempo che avrebbero passato in altri modi,
ma anche per riempire il nostro vuoto tempo privo di inventiva e
bramoso della solitudine, dell'ozio, della pura voglia di non fare
nulla. E quando siamo stanchi di chattare, ci incolliamo alla sedia,
al divano, al letto, lasciando che gli schermi ad alta risoluzione
rubino la nostra fantasia e i nostri desideri più ambiti con
illusioni preconfezionate e subliminalmente invasive, che diano un
po' di sazio ai nostri istinti selvaggi e ci spingano a restare
schiavi del capitalismo, del consumismo e del lavoro –
quest'ultimo naturalmente per quei pochi eletti che ancora ne hanno
uno – senza sosta alcuna, ripetendo ogni giorno sempre la solita
tiritera, finché Morte non ci li liberi della nostra stessa
esistenza.
Eppure andare
al circo, può essere un'esperienza che fa pensare. A come conduciamo
la nostra vita, a come la conducevamo decenni fa, a come potremmo
condurla oggi.
Al circo non
si va per una ragione precisa se non perché è il circo. Se non ci
si è andati da piccoli, non si può capire che cos'è il circo e
difficilmente si può capire quello che si prova quando vi si torna
da adulti.
Sembra di
entrare in un altro mondo, ben prima di arrivarci. Si è entusiasti,
allegri, scemi sia se si è alla guida dell'automobile sia se si
raggiunge il tendone a piedi. Questo perché si scatena quel lato
infantile che si ha dentro di sé, quell'insieme di ricordi e
sensazioni che riportano alla fanciullezza e a quel mondo semplice,
sincero, bello che soltanto un bambino riesce a vedere. Una volta si
attendeva con ansia l'arrivo del circo. Si andava con i genitori, con
i tutori o con le scuole, ma al circo si doveva andare, era
obbligatorio, per passare un'esperienza indimenticabile, davvero
indimenticabile. E quando si torna oggi, che bambini non si è più,
sembra di non essere cresciuti di un giorno, di essere rimasti così
come si era da bambini. E infatti, è così. Malgrado i capelli
bianchi e le rughe e i tanti pensieri che affollano la nostra mente,
quando si va al circo si scopre, o ci si ricorda, di essere ancora
dei bambini. Per questo motivo è indimenticabile. Perché il circo
parla sempre e comunque soltanto ai bambini, e ognuno di noi è un
bambino quando ci torna da adulto.
Una volta
arrivati a destinazione, ci si affretta a fare la fila per i
biglietti e si è ammaliati da quel grande tendone a punta evocante
le immagini più assurde della nostra fantasia, e dallo staff in
uniforme colorata, simile a gnomi o elfi provenienti da un altro
mondo, che attende all'ingresso per verificare i biglietti e
lasciarti entrare. Camminare sulla terra mista a segatura in
direzione del tendone; respirare gli odori forti provenienti dalle
gabbie dove ci sono gli animali misti al profumo di popcorn e
zucchero filato pronti per essere serviti – è già il segno palese
che siamo da un'altra parte e noi non siamo più gli stessi. Siamo,
quella stessa altra parte nella quale ci troviamo. Siamo, l'altra
parte di noi.
Attraversato
quindi il telone, ci si ritrova in un luogo incantato, dove gli spazi
e gli oggetti hanno una geometria tutta loro, incalcolabile al
migliore calcolatore esistente. L'aria che si respira è quella
giusta. È l'odore di cui ci si ricordava, quello inconfondibile del
circo, che c'è soltanto là e che non è possibile avvertire in
nessun altro luogo al mondo. Non si è più in sé. Lavoro, casa,
bollette, liti condominiali, problemi di salute e il conto al verde
sono svaniti. Non si pensa ad altro se non a trovare il posto
migliore per godersi lo spettacolo, assieme alla persona e ai
bambini, se si ha la fortuna di averli. O la sfortuna, da un altro
punto di vista, dal momento che pupazzi, pappagalli, clown,
fotografi, patatine, noccioline, caramelle, popcorn, zucchero filato
e bibite cominciano a circolare attorno senza sosta, svuotando le
tasche di mamme e papà e zii e nonni e cugini e tutori e tate. Ma è
una sfortuna piacevole, questa. Quelle fotografie e quegli alimenti
fanno parte del circo. Quelle belle immagini, quei sapori e profumi
buoni ci sono soltanto là dentro. Se si mangiano o si respirano da
un'altra parte sono diversi, stomachevoli, ma al circo sono
buonissimi, estasianti. E poi piacciono ai bambini. Come dire di no,
dal momento che piacciono anche al fanciullo che si ha dentro di sé?
Che si è dentro e fuori di sé in quel momento? È un'ottima scusa,
quella di avere i bambini con sé, per essere un po' bambini anche
noi per alcun istanti. Poi, si faranno i conti a casa con la moglie o
col marito, e si pagherà il dazio facendo le pulizie al posto di lei
per un mese o lavando l'automobile al posto di lui la prossima volta.
Così si prende tutto, si acquista tutto. Fare felici i bambini è
importante, è sempre stata la cosa più importante. Ci si guarda
attorno e ci si accorge che anche gli altri papà, mamme, zii, nonni,
cugini, tutori, tate e amici fanno la stessa cosa con i loro bambini
e sono un po' bambini anche loro. Perfetto! Per ora si è
giustificati, la vita è salva... per ora. Si può tornare a
immergersi nell'atmosfera da circo! Ma quando inizia?
Si attende,
si attende e non si sta nella pelle quando, ecco che le luci bianche
si spengono, si alza la musica, l'inconfondibile musica del circo e
si accendono le luci colorate. Silenzio! L'entusiasmo è alle stelle.
Arriva il presentatore! L'attesa è finita. Lo spettacolo comincia.
Clown,
trapezisti, maghi, illusionisti, domatori di tigri o di cavalli,
giocolieri, acrobati, contorsionisti, ballerine... Gli artisti
circensi sono capaci di fare qualsiasi cosa, realmente. Sì, davvero,
in carne e ossa. Senza trucchi. Senza ricostruzioni 3D o
informatiche. È tutto vero. C'è, la finzione, nel caso degli
illusionisti per esempio, ma non ci si accorge di nulla. È al
limite, ben fatta, verosimile, simile al vero, alla realtà. Si ride
davvero, quando il clown canta una semplice canzone o fa una cosa
buffa che può accadere quotidianamente a chiunque. Si è rapiti,
quando il giocoliere lancia i coltelli su di un pannello rotante,
dove è legata una bella ragazza. Si è con il fiato in gola, quando
la bella trapezista volteggia nell'aria con grazia, senza funi di
salvataggio, o quando il domatore è chiuso nella gabbia con tigri e
leoni che ringhiano e ruggiscono e mostrano gli artigli, o quando
l'acrobata tiene in equilibrio gli oggetti più disparati sulla
fronte o sul mento. Si canta, si danza, si applaudisce, si scherza.
Si prova una grande ammirazione per quello che gli artisti sono
capaci di fare. Grandi abilità, acquisite con tanto esercizio
giornaliero, con costanza e spirito di sacrificio. È incredibile
come l'essere umano sia capace di fare tutto questo! È impossibile!
Sembra di sognare a occhi aperti! E invece è vero, tutto vero, e il
sogno tutto vero prosegue, bloccando le lancette del tempo che sembra
non passare mai.
Ma lo
spettacolo finisce.
Si è
contenti e con questa felicità si fa il percorso inverso fatto per
entrare nel tendone. Dal sogno vero si torna al sogno apparente, alla
realtà, alla macchina, e poi a casa. Si torna allo smartphone, al
tablet, alla tv, al pc. Si torna a chattare, a cliccare, a digitare.
A isolarsi dalle persone vicine e da quelle con cui si sta chattando
nel momento stesso in cui lo si fa. Si torna a essere soli. Adulti,
semplicemente adulti, in un mare di guai.
Adesso non
conta più nulla. Essere bambini; i bambini stessi che si ha la
fortuna di avere o quelli che si ha la fortuna di educare in
qualsiasi luogo della società; la moglie, il marito, i fratelli, le
sorelle, i genitori, i tutori e le tate, gli amici; la relazione con
l'altro sperimentata al circo e di cui nemmeno ci si è accorti; –
niente ha più valore se non il conto in banca, i debiti, le
bollette, il lavoro, la fretta, la rabbia con dio e l'universo
intero. Adesso conta soltanto questo, la rabbia di essere soli, per
volontà propria, in un mondo interamente votato alla comunicazione,
all'interazione e al digitale.
Stanchi di
chattare, vista l'ora tarda, non resta che accendere la tv e
guardare, da soli, il proprio film preferito, nel quale i
protagonisti sono capaci di fare qualsiasi cosa, di lanciarsi dalla
vetta di un palazzo e sopravvivere con una camicia usata come un
paracadute o di distruggere un'intera città per salvare la persona
amata.
Ma dopo
essere stati al circo, il film non ha più la stessa attrattiva.
Nessuna abilità, nessun eroe, niente adrenalina, nessun
coinvolgimento emotivo. Ora si sa che è tutto finto, tutto
inventato, tutto creato al computer con i migliori programmi
esistenti. Tutto è fatto per essere tenuti a bada, annebbiati,
strappati dalla realtà e catapultati in un mondo immaginario,
studiato scientificamente per essere condizionati, programmati e
schiavizzati. Per essere tenuti soli, senza relazione alcuna, vera,
sincera con le persone che si ha attorno, e pensare soltanto al
lavoro, al profitto e alla sopravvivenza individuale. Proprio come
fanno tutti gli adulti.
Ma il circo
torna alla mente per un istante. Si pensa al passato, a quando si era
bambini e a quando erano gli adulti a portare noi al circo. Anche in
quel tempo gli adulti erano adulti ma le cose stavano diversamente.
Non c'erano smartphone, tablet, tv e pc. C'erano persone, soltanto
loro. Si telefonava, si andava al cinema, si scriveva una lettera e
si andava al circo una volta tanto. Perché si doveva lavorare anche
allora ma si doveva stare con gli altri, con familiari e amici, e con
i bambini. Tutta la società era centralizzata sui bambini, sulla
loro formazione e tutela. Li si abituava fin da piccolissimi al
rapporto con gli altri e a un preciso ordine di valori, di idee e di
priorità. E pur avendo poco o nulla, si era felici. Oggi...
Andare al
circo può fare pensare a questo, e chiedersi se questa società così
com'è, se la nostra solitudine, se la nostra infelicità vadano,
appunto, ripensati...
domenica 16 marzo 2014
OLTREWEB: E vissero felici e contenti... chi?
- di Saso
Bellantone
Buon
meriggio web,
ti trovo
rasserenato ultimamente. Nuovo premier, nuovo papa, nuova edizione
del grande fratello, nuove serie-tv, nuovi tablet e smartphone, nuove
applicazioni, nuove collezioni, nuovo nuovo nuovo. Manca soltanto
l'arrivo della primavera e lo sbocciare di fiori freschi per coronare
il sogno a occhi che stai vivendo con la componente zuccherina dal
sapore di nuovo, inedito, appena fatto, originale, che sembra
interessare l'essere, l'esistenza, la natura, il creatore e Belzebù.
Tutto è nuovo e questo illumina d'immenso, come uno spettacolo non
ancora visto che ha il gusto del segreto e della scoperta, riempiendo
la frammentata e disperata coscienza di quel demone uscito per ultimo
dal vaso di Pandora, la speranza... che sia la volta buona per il
cambiamento generale delle cose auspicato da tempo.
Basterebbe
tuttavia spulciare Qoelet per ricordarsi che non c'è niente di nuovo
sotto il sole. “E cu è?
Nda quali squatra joca?”
– ti chiederesti, sentendo pronunciare tale nome per sbaglio. I
sepolcri vengono continuamente imbiancati, per tenere in vita,
paradossalmente, quell'illusione salvifica che le vecchie ideologie,
accostate ora a Che Guevara o ad Ezra Pound, ora al Gatto o alla
Volpe, ora a Stanlio o ad Olio, siano la soluzione ai problemi
attuali o alle battaglie del tempo. Tuttavia, pur aggrappandoti a
tali vetuste reliquie, e sempre paradossalmente, ti sta bene, per la
seconda volta in un anno, che la compagnia chiamata a decidere sulle
sorti della tua vita sia un mix di Rosso e Nero, con una punta di
Scudo Crociato per esaltare il sapore. Ti sta bene, perché tale
cocktail ha a che fare con la politica, nominata o presa in
considerazione soltanto per moda, per sentito dire o per rompere il
ghiaccio prima di una rimpatriata con gli amici, prima di una notte a
luci rosse con la persona amata (amata anche per soli dieci minuti,
poi mai più), prima di parlare di calcio.
Aaaah! Mio
caro web! Se ciò fosse accaduto nel mondo del pallone non l'avresti
mai accettato! Fusione di Roma e Lazio per dar vita alla “Rozio”
o alla “Lama”; o di Juve e Toro per dar vita alla “Juro” o
alla “Tove”; o di Milan e Inter per dar vita alla “Miter” o
alla “Inlan”. No, questo no. Avresti messo a ferro e fuoco interi
centri urbani se la tua squadra del cuore si fosse amalgamata a
quella rivale della medesima città. Figuriamoci che cosa avresti
fatto se Juve e Milan si fossero unite nella “Julan” o nella
“Mive”... avresti scatenato una guerra civile per ripristinare
l'ordine, cioè la serie A, la Champions e la Uefa.
Per la
politica no. Non avresti fatto nulla. La politica è un argomento
rompi-ghiaccio, è un tema scalda-chiacchierata, una moda da
manifestare in pensieri, parole, opere ed omissioni (per tua colpa
sì, tua) allo scopo di sentirti accettato da qualcuno, considerato,
chiamato dal citofono di casa per andare a fare jogging in riva al
mare o una passeggiata al parco o per annebbiarti la mente con
qualsiasi cosa rientri nel rito
dire-fare-baciare-esalare-lettera-o-testamento.
No.
Chissenefregadellapolitica. Per te, mio caro web, va bene tutto.
Nuovo, vecchio, nuovo e vecchio, antico e venturo. Beatles e Rolling
Stones, Don Camillo e Peppone, Cappuccetto Rosso e il Lupo. La
politica può fare quel che vuole, chiamare chi vuole, votare come
vuole, programmare il destino della gente nei tempi e nei momenti che
giudica più propizi a se stessa, con gli espedienti mediatici che
predilige. A meno che non si faccia largo imperiosamente una moda del
momento che tu, mio caro web, sei obbligato a seguire altrimenti sei
fuori, da tutto e da tutti. In questo caso, sì. La politica è di
tuo gusto e se sgancia quattrini con progetti, raccomandazioni o
bandi di qualsiasi natura è ancora più saporita e può farti tutte
le promesse da marinaio che vuole.
Sei sempre
il solito mio caro web. Come la bandiera, ti giri in base a dove tira
il vento. Non importa a quale ideologia si rifaccia chi governa e se
ormai ne abbia qualcuna. L'importante è che non sia sotto i
riflettori della chiacchiera e del vortice degli argomenti
preliminari per instaurare una relazione con l'altro. Può essere
nuovo, vecchio, rifatto, imbiancato e meticcio. Basta che prometta e
illuda con quello che vuoi sentirti dire, anche una volta sola. Poi,
te ne dimentichi fino al prossimo giro di boa da chiacchiericcio,
arroccandoti dietro Mao o Francisco Franco, a seconda della
compagnia.
Se questo è
lo schema di pensiero che sei solito operare, è evidente che
chiunque fa politica, dipingendosi con il colore che preferisce, blu
come il cielo o giallo come il sole, vive sempre la medesima
favola... nella quale, mentre i molti scompaiono senza citazione
alcuna, i protagonisti sperimentano il classico finale “E vissero
felici e contenti”. Loro.
Medita web,
medita...
giovedì 13 marzo 2014
DISsud: le foto 29
- di Saso Bellantone
"Monumento a Bernardino Telesio antistante al Teatro Comunale A. Rendano, Cosenza (SUD)".
martedì 11 marzo 2014
No alla fretta
giovedì 6 marzo 2014
Pensieri visivi: VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA di Caspar David Friedrich
- di Saso
Bellantone
Duemila piedi
al di là dell'uomo e del tempo. Appoggiato al suo bastone, un uomo
osserva il paesaggio circostante. Montagne. Nuvole. E nebbia. Mari di
nebbia. È l'offuscamento che coinvolge l'essere umano e il mondo che
abita... C'è pace, quassù. Qua sopra, in solitudine, è tutto
diverso. Tutto sembra avere forma, definizione, ma non un perché.
Neanche la solitudine stessa. L'essere umano si imbruttisce,
degenera, si corrompe. Altera il mondo in cui vive, lo guasta, lo
avvelena principalmente con la sua presenza, poi con i suoi concetti.
Con le sue idee. Con i suoi sogni più remoti. Crede di poter
dominare gli elementi, la materia e l'antimateria, invece non riesce
a governare neanche se stesso. Secoli, millenni di evoluzione, di
storia, ma ad ogni passo diventa più bestiale del passo precedente.
Sempre più assoggettato ai propri istinti, narcisistici e di
continuazione delle specie. Si camuffa da supereroe, giustiziere,
redentore e garzone, mentre dentro di sé cura con estrema
meticolosità il germe del capitalista, dell'arrogante, del tiranno.
Ama sfruttare il pianeta, cedendo ai posteri le sfide per la
sopravvivenza. Ama approfittare degli altri, per instaurare il
proprio egoistico impero. Nato dal caso o dal nulla, attraversa il
sentiero degli istanti edificando sulla polvere il proprio dominio
provvisorio. Ma di quale regno l'essere umano crede di essere il
sovrano? Della precarietà? O soltanto delle proprie egocentriche
allucinazioni? Con il lessico della guerra, della violenza, della
potenza, rende il mondo un baccano di voci stridenti dal dolore e
dalla morte. Urla, che piegano la coscienza come ferro impotente
sotto i colpi del martello dell'inevitabilità. Sono irrefrenabili
queste grida. Fanno male, perché sono il frutto della banalità
della vita. Vita, troppo presa alla leggera, intesa come un gioco
oltre misura, fuori da ogni limite, finché non si cozza contro quel
muro, la morte, dal quale non è più possibile cominciare il gioco
da capo... Ma quassù c'è pace. Si sta bene. Niente grida, niente
abusi né speculazione. Qua sopra non esiste sovranità alcuna, se
non quella del silenzio e della solitudine. Qui tutto è trasparente,
bello, malgrado la tragicità del panorama. Qui la voce della
coscienza, come se fosse diventata un tutt'uno con lo scenario
circostante, parla chiaro. Non siamo altro che nebbia, isolate bolle
di fumo in cerca di una giustificazione o di un dio, destinate a
diradarsi alla prima luce del sole.
Nel Viandante
sul mare di nebbia, Caspar David Friedrich rappresenta quel che
vede l'uomo della conoscenza dall'alto delle vette del pensiero.
Sostenendosi alle conoscenze del momento e alle residue forze
rimastegli, lo scenario che scorge è la nebbia, la fugacità e
transitorietà delle cose. Anche la sua. Tutto appare privo di
senso, ingiustificato, superfluo. Il mondo, l'umanità, la storia,
l'accadere sembrano sprovvisti di una traiettoria nascosta, di una
meta ultima portatrice del significato della vita. Vagando solitario
tra le domande che lo affannano, l'essere umano incontra
l'impossibilità, l'assenza di una risposta. Vede il fluire continuo
delle cose e il loro imperturbabile divenire e si quieta. Sì, trova
la pace. In fondo, l'insensatezza e l'informità dell'essere ha già
un senso: il suo mero apparire, effimero e sublime. C'è del bello
nell'accadere, ed è la malinconia della fugacità. Tutti gli enti
riecheggiano tale tristezza ma soltanto l'essere umano l'ha
dimenticata. Per questo motivo si angustia rendendo ogni sfera della
vita una trincea senza fine. Anziché deturparsi diventando un
soldato per nulla, l'essere umano dovrebbe riappropriarsi di questa
amarezza, di questa bellezza, perché essa è la strada l'etica e la
ragione. Come l'osservatore del dipinto, occorre fermarsi e
contemplare l'esistente, scorgere quel frammento che accomuna gli
enti: la mortalità. Soltanto così dal finito può nascere
l'infinito e, come nebbia, aprirsi per lasciare che le cose
dischiudano la propria verità. Dio, nulla, l'autenticità
dell'esistente può essere garantita da entrambi. Anziché
distorcersi con i mostri partoriti dalla sua follia, l'essere umano
dovrebbe soltanto custodire questo segreto assieme ai suoi simili.
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PENSIERI VISIVI
martedì 25 febbraio 2014
OCEANO MARE di Alessandro Baricco
- di Saso
Bellantone
Un pittore.
Una ragazzina. Un professore. Un prete. Una donna. Un naufrago.
S'incontrano tutti alla locanda Almayer, una pensione a un passo
dalla spiaggia e dal mare. Chi cerca l'inizio del mare, chi la fine,
chi cerca in esso la vita, chi la dimenticanza, chi l'etica, chi la
fede; ognuno a modo proprio cerca se stesso, cerca l'oceano del
proprio mare, l'ispirazione, la libertà, il coraggio, l'intelletto,
la comprensione, l'accettazione di essere quel che si è, così come
si è. Come acque spinte da correnti diverse, le storie di questi
personaggi s'incontrano e si scontrano, si mischiano e si distinguono
per trovare nella differenza d'altri la propria identità e il
proprio destino. È una ricerca folle, senza regole né stelle fisse
né prospettive; un'esplorazione degli abissi del conscio e
dell'inconscio, a caccia di quell'onda, la giusta onda, che possa
dare un senso al passato e al futuro. Ma non si sa da dove parta né
dove finisca quest'onda. Si è insicuri, impotenti, alla mercé del
fato e del tempo e tuttavia curiosi, ingenui, pronti a cavalcarla.
Pronti a lasciarsi condurre da essa verso l'infinito celato nel
proprio finito, esattamente come quegli strani bambini che popolano
la locanda, la cui presenza, nella camera di ognuno, è nel contempo
insolita e ordinaria, quasi per rispolverare la propria essenza
dimenticata. È un mistero la perla del proprio essere. Un segreto
che nasconde al suo interno il vero volto di ognuno, invisibile e
impalpabile, come l'uomo che abita la settima stanza e che nessuno ha
ancora visto, la cui presenza tuttavia è assodata, chiara,
indubitabile. Tutti sanno che l'uomo della settima stanza c'è. Tutti
sanno che il senso della propria esistenza c'è. Tutti sanno che
quello è il posto giusto in cui cercarlo. L'oceano, è nel mare ma
quest'ultimo è ovunque. Persino dentro di sé.
In Oceano
mare (Feltrinelli, 1993), Alessandro Baricco propone
un'escursione nelle profondità dell'animo umano, chiarendo ciò che
accomuna ciascuno di noi nel viaggio dell'esistenza: la ricerca di
sé. Nella diversità di percorso intrapreso, accadono svariati
incidenti e giochi del fato e tuttavia c'è un momento in cui il
cammino di ognuno s'interseca e prosegue per brevi tratti con quello
d'altri. Ignari dell'importanza di tali passeggiate, è proprio in
questi istanti che si scorge se stessi e s'intraprende il sentiero
del proprio destino. Non ci si rende conto della loro centralità
perché è impossibile individuare quali e quanti sono questi
incontri. Soltanto alcuni, o tutti? Come stabilirlo, dal momento che
non si è mai perfettamente coscienti di sé, anzi, si è in cerca di
sé? Quel che è chiaro, è che tali incontri sono fondamentali,
essenziali, decisivi. Decidono per noi o noi stessi decidiamo
inconsapevolmente per mezzo di essi. Quando poi le strade si sono
ormai separate, noi torniamo in noi stessi, siamo già noi stessi
e... continuiamo a non accorgercene, mai.
mercoledì 19 febbraio 2014
DISsud: le foto 28
sabato 15 febbraio 2014
L'ARTE PERIFERICA: intervista a Domenico Canale
Domenico Canale nasce
a Reggio Calabria nel 1970. Inizia a studiare il violino classico nel
1980 per poi dedicarsi allo studio dell'amonica blues, strumento che
ormai predilige. Nel suo modo di suonare si può riscontrare
un'attenzione particolare la blues feeling, senza però
rinunciare alle contaminazioni rock, funky e jazz, vera linfa vitale
delle 12 battute. Durante I
primi anni della sua carriera ha avuto modo di conoscere e di
suonare con diversi musicisti di fama internazionale come Andy J.
Forest, Freddy & The Screamers, David James, Sam Lay (uno dei
grandi batteristi di Muddy Waters e di Paul Butterfield) e con gli
italiani Gigi Cifarelli, Vince Vallicelli, Angelo Morabito, Pippo
Guarnera, Blue Staff, Dino Triassi (amico e collega armonicista
palermitano) e la partenopea Hell's Cobra Blue Band. Nel 2003
partecipa alla registrazione del secondo lavoro discografico del
bluesman Angelo Morabito Shadows of Blues. Si è esibito in
diverse rassegne e festival, tra le quali Vicenza Blues 2002, Barocco
Blues Revue 2003, Peloro Blues Festival 2003, Etna Blues Festival 2007
e 2009 (dove con la sua band Bad Chili ha aperto
rispettivamente agli artisti Joe Bonamassa e Ana Popovich), Crossroad
Blues Festival 2010. Ha dato vita nel corso degli anni a diverse
formazioni musicali per poi concentrarsi su quelle più impregnate
dell'ormai famigerato “Effetto Chili”: Bad Chili – Blues,
Rock e un pizzico di Funky - Classica formazione rock blues
(voce, armonica, chitarra, basso e batteria) la cui grinta e il
feeling restano impressi indelebilmente nella memoria di chi ascolta;
Light Chili – Electro Acoustic Power Duo – padre e figlio,
armonica, dobro, valigia di cartone, washboard e tanta passione per
l'avventura, un duo da locali con il quale hanno partecipato al
Ferrara Busker Festival 2010 e 2011, Capo D'Orlando Blues Festival
2010 e al Nasker Festival di Naso 2012. Sempre in quest'ultimo anno
partecipa alla registrazione del singolo dei FilmNoir Voglio
a
mmazzare un impiegato, dal quale viene poi tratto un video. Nel
2013 partecipa in qualità di ospite alla registrazione del disco
Twin Rivers del chitarrista e cantante siciliano Marco Corrao,
con il quale ha recentemente formato un duo impegnato a portare in
giro per l'Italia la propria personalissima visione musicale.
Come
ti sei avvicinato alla musica?
Come
spesso accade, in maniera casuale: da bambino vidi un film in
televisione su Niccolò Paganini, restai tremendamente affascinato
dalla figura di un uomo che, nonostante fosse riuscito a raggiungere
notorietà e successo, continuava a considerare se stesso solo in
relazione alla musica.
Iniziai
allora lo studio del violino per capire cosa c’era di così
speciale in questo modo di vivere, di usare le note al posto delle
parole per comunicare le emozioni in maniera fluida e senza filtri.
L’avventura
della musica classica continuò per alcuni anni fino alla scoperta di
un linguaggio e di uno strumento più immediati e più consoni al mio
modo di ‘sentire’: il blues e l’armonica.
Che
cos'è la musica?
Non
credo esista una risposta univoca ed esauriente a questa domanda, e
forse questa è la cosa più affascinante della musica: ognuno ha la
sua risposta.
Per
quanto mi riguarda è semplicemente una componente essenziale della
vita, una necessità, un bisogno che va alimentato ed assecondato.
Cosa
pensi riguardo al senso, allo scopo e agli usi della musica, sia a
livello individuale sia sociale, nel mondo contemporaneo?
La
musica, più di altre forme d’arte, ha il dono di educare alla
bellezza.
Sono
sempre stato dell’idea che molti dei problemi presenti nella nostra
società non esisterebbero se si educassero i piccoli abitanti del
pianeta allo studio ed alla pratica della musica.
Equilibrio,
armonia, senso del tempo, coesistenza di più voci (argomenti) nello
stesso discorso, rispetto dell’altro, ascolto, importanza del
silenzio.
Questi
sono solo alcuni dei valori che la musica trasferisce in chi la
pratica e la studia. E lo fa con estrema naturalezza.
I
Greci impiegavano il termine “poiein” per significare
“creazione”. Poi questa parola, nel corso del tempo, si è
trasformata di linguaggio in linguaggio, fino a diventare in italiano
per esempio , la parola “poesia”. Quando un poeta comunica se
stesso, cioè scrive una poesia, è un creatore di mondi, riproduce
il mondo, crea nel senso pieno della parola. Puoi definire i tuoi
brani “poesie”, opere d'arte, creazioni nel senso pieno del
termine?
I
brani che suono in pubblico sono spesso “poesie maledette”, ma
non sono miei.
Basta
ascoltare Mr. Son House in “Death Letter” per capire quanto una
canzone possa riuscire ad essere profonda, evocativa, triste e
sarcastica al tempo stesso.
Da
quando ho iniziato a conoscere e vivere il blues raramente ho sentito
l’esigenza di scrivere canzoni. Affascinato dalle parole di
improbabili antieroi, ragazzi e uomini di 60-80 anni fa, ho deciso di
reinterpretare i loro brani mettendo in pratica spesso un’operazione
di ri-scrittura musicale. E anche questo è “creazione”, secondo
me.
Perché
suoni? Perché senti l'esigenza di comunicare mediante la musica?
Suonare
è una necessità. Lo è per me, come lo è per tanti colleghi
musicisti di mia conoscenza.
E’
una cosa che non ti aspetti, all’inizio suoni perché ti fa stare
bene e per avere la possibilità di esprimerti in maniera diversa,
poi passa il tempo e ti rendi conto che hai sempre più cose da dire,
capisci che quello che prima era un gran bel divertimento adesso è
un modo di essere, di sentire e di rapportarsi agli altri.
Soprattutto
capisci che, grazie alla musica, riesci a trasmettere sensazioni
intense e personali a persone che non hai mai visto in vita tua.
Che
cosa raccontano i tuoi brani?
Le
canzoni spesso non sono altro che storie, storie comuni che, grazie
alla musica, assumono forma poetica.
Personalmente
preferisco raccontare me stesso e il mio modo di vedere ciò che mi
circonda.
Ammetto
di riuscire a farlo con molta più facilità grazie all’armonica
che non con le parole.
Un
artista può sentirsi tale senza i pubblici?
Per
come la vedo io non è possibile. Ho sempre considerato il pubblico
come la componente più importante della band. Quando riesci a
comunicare veramente si forma un legame tra te e chi ti ascolta che
ti permette di esprimerti al meglio, contemporaneamente nasce un
dialogo con il pubblico e, secondo le risposte che quest’ultimo
fornisce, il concerto prende forma sempre in maniera diversa.
Che
cosa significa oggi vivere come un artista e vivere esclusivamente
della propria arte? Quali sacrifici comporta accettare questo
incarico, questa missione?
Non
è il mio caso, quando ero molto giovane mi ritrovai genitore di un
bellissimo bambino, decisi allora di mettere in stand-by (che
sofferenza) la mia vita musicale per trovare un lavoro… che non mi
sarebbe piaciuto!
La
pausa è durata poco, un anno o giù di lì, visto che avevo già
realizzato di non poter esistere a prescindere dalla musica, e adesso
mi ritrovo a suonare, lavorare, non dormire e soprattutto, ad avere
un figlio (sì proprio quello, il frutto del peccato) che ha deciso
da un paio di anni di vivere da solo e solo grazie alla musica.
I
sacrifici ci sono, non sempre si ha la sicurezza “del pasto caldo”
ed è difficile fare programmi a lunga scadenza. Ma, quando lo
guardo, vedo una persona felice della propria vita… e che vuoi di
più?
Mi
piace questa terra, le sue contraddizioni, il suo sole.
Mi
piace pensare che ci sono realtà musicali di tutto rispetto che non
aspettano altro che essere ascoltate.
Mi
piace sapere che il feeling con il quale qui si suonano certi generi
non sia così facile da trovare in posti in cui è più facile farsi
notare.
Mi
piace pensare che, grazie all’arte e alla musica, si possa
contribuire a dare una ragione in più per restare.
Puoi
definirti un sognatore? Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Il
sogno è il motore che ci spinge a fare cose folli e per questo
bellissime!
Il
mio sogno? Te ne dico uno dei tanti: organizzare nella mia città un
festival internazionale di musica da strada che duri almeno un paio
di settimane!
Ho
partecipato ad alcuni di questi festival e l’atmosfera che si
respira è meravigliosa, i cittadini sono meravigliosi. Mi piacerebbe
importare nella mia città la gioia di vivere che ho sperimentato
altrove.
Chi
vuole saperne di più su di te e sulla tua musica, dove può
rivolgersi?
Basta
fare una ricerca su facebook, reverbnation e youtube per ascoltare e
vedere all’opera i fortunati possessori del famigerato Chili
Effect!
Le
parole chiave sono: Bad Chili – Light Chili – Travelling Blues
Duo
oppure
può trovarmi su:
o
scrivermi a:
domenico.canale@gmail.com
Alcune
parole per i giovani.
Prendete
uno strumento in mano, strimpellateci qualcosa, convincete altri
amici a fare lo stesso.
Grazie
alla musica ho conosciuto gente meravigliosa, ho vissuto esperienze
al limite dell’incredibile, mi sono divertito in maniera diversa
eppure più intensa, ho assaporato l’avventura del musicista di
strada, ho visto luoghi che non avrei mai pensato di raggiungere…
grazie alla musica ho vissuto in maniera diversa!
Qualunque
cosa vogliate fare nella vita, la musica ne può fare parte e vi farà
stare bene!
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