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martedì 23 dicembre 2014

DISsud: le foto 36


- di Saso Bellantone
"Vecchio casolare. La natura riprende ciò che è suo" (S. Pietro a Maida, CZ).

sabato 22 novembre 2014

giovedì 13 novembre 2014

Sette anni e mezzo


- di Saso Bellantone
Il fragore dell'acqua limpida e fresca rendeva quella fontana simile a un totem, a un feticcio che caricava di sacralità l'intera piazza. Da sempre ed eternamente differente, l'acqua scorreva fuoriuscendo dalla bocca di quei buffi leoni ferrosi e arrugginiti, trasportando con sé le note di mondi e di tempi ormai andati. Malgrado fosse sempre la medesima, quelle note liquide generavano una strana sinfonia, un concerto naturale, innocente e antico al pari dell'Om da cui tutto ebbe inizio. Quel suono impareggiabile ammaliava tutti, grandi e piccoli. Attirava chiunque passasse da quelle parti così come il canto di una sirena alle foci di un fiume seduce e attrae a sé le ciurme di pescatori remanti sulle acque del mare attiguo. Non si poteva passare oltre. Come invasati da un potere avulso, occorreva fermarsi, sostare alcuni istanti alla fonte e bere alcuni sorsi di quel fluido cristallino, lasciando che rinfrescasse l'anima con la sua musica ancestrale e attuale nel contempo.
Anche Lazzaro, quel giorno, si era fermato da un lato della fontana per dissetarsi.

Aveva appena iniziato le scuole elementari e fino ad allora era solito uscire di casa assieme ai genitori o ad altri parenti. Quella mattina di domenica, tuttavia, per la prima volta gli era stato concesso di uscire da solo. Tanta era la gioia di poter valicare i confini casalinghi che, una volta varcata la porta e ritrovatosi fuori, non sapeva dove andare.
Aveva cominciato a pensare, a rivedere una per una tutte le immagini e i ricordi che la sua giovane mente custodiva nei magazzini della sua memoria, nella speranza di individuare un posto da visitare o qualcuno da andare a trovare, ma non gli venne in mente niente e nessuno. Non conosceva ancora quel posto al di fuori di casa sua né aveva amico alcuno. Così, per un attimo, era stato tentato di fare dietrofront e di tornarsene dentro casa, quando la sua piccola mente gli aveva offerto l'unica immagine chiara e distinta del paese che custodiva: la fontana nella piazza. Aveva sorriso, felice di aver trovato una meta, e si era subito incamminato sul vialone che portava alla destinazione.
Il cammino era lunghissimo. Doveva oltrepassare la distanza di numerose case, disposte in fila l'una con l'altra, da un lato e dall'altro lato della strada, muovendosi esclusivamente sul marciapiedi, come gli aveva detto la madre:
Nommu vai nta sthrada! Pecchì passanu i machini e ti 'mbestunu! E quandu a' passari i nu marciaperi all'authru, fermiti nte strisci, guarda i nu latu e poi ill'authru, e se no' passunu machini, passa a fujendu! Vo' mi vegnu cu tìa?”.
– No mamma... – aveva ribattuto prontamente – Ormai sono grande ed esco da solo!
E così aveva fatto. Solitario, come una rondine in mezzo al cielo azzurro in cerca di cibo, aveva sfidato l'ignoto del paese alla ricerca della fontana, unico riferimento sicuro per la sua folle, seppur iniziale e infantile, escursione. Che emozione! Finalmente era uscito da solo! Finalmente gli altri bambini non lo avrebbero più preso in giro e lo avrebbero considerato grande, un adulto!
Lungo il tragitto, osservava le case colorate simili all'arcobaleno, le donne che stendevano i panni sui balconi, le vecchie sedute fuori casa che intonavano canzoni antiche pulendo fagioli e fagiolini, i vecchi che passeggiavano l'uno di fianco all'altro commentando le notizie appena lette sul giornale, le automobili che passavano veloci sulla strada dirette verso chissà quali avventure. Il sole primaverile accarezzava la sua pelle con delicatezza e illuminava lo scenario sconosciuto nel quale si muoveva, avvolgendolo di un'atmosfera quasi magica, fatata, come i cartoni che guardava in televisione. Solo che quello che vedeva non era finto. Era vero, e lui era un attore come gli altri nel cartone della vita.
Ammirando la bellezza del paese e gustando pienamente la sua prima uscita “da grande”, Lazzaro non si era reso conto che aveva già fatto parecchia strada e che la fontana era ormai vicina. Aveva capito di trovarsi nei paraggi della fonte perché all'improvviso aveva sentito quel suono incantato che poteva provenire soltanto dalla sorgente collocata in piazza.
Via via che proseguiva, tanto più lo scroscio dell'acqua aumentava la sua musica tanto più il cuore di Lazzaro si riempiva di gioia. Finché, superato l'angolo, finalmente l'aveva vista.
Era lì, bella, esattamente come la ricordava: una colonna di ferro con due goffi leoni da una parte e dall'altra, dalla cui fauci l'acqua sgorgava e precipitava dentro delle aperture poste alla base della struttura, creando in tal modo quella sinfonia indimenticabile e senza uguali che permeava l'intera piazza di un'atmosfera stregata.
C'era riuscito. Era arrivato alla meta. Alla fontana. Adesso, poteva sentirsi un adulto per davvero e sarebbe cominciata per lui una nuova vita, quella in cui entrava a pieno diritto tra “i grandi” e nessuno poteva più dirgli che era soltanto un bambino. Ma era solo. Non c'era nessuno che poteva assistere al suo traguardo e, forse, a scuola non lo avrebbero creduto se avesse raccontato questa vicenda.
Rendendosi conto di ciò, un velo di malinconia era passato nel cuore di Lazzaro. Era bello, sì, uscire da soli come gli adulti, ma era triste vivere esperienze talmente emozionanti, appunto, da soli. Avvicinandosi piano piano alla piazza, si guardava intorno deluso. C'erano degli adulti seduti ai bordi della piscina del Monumento vicino alla fontana. Si sentiva osservato ed era imbarazzato, chiedendosi che cosa stessero pensando di lui “i grandi” che lo avevano visto da solo. Così, per non dare a vedere il suo impaccio, Lazzaro aveva raggiunto la sorgente e, muovendosi nella maniera più spontanea possibile, si era fermato da un lato della fontana per dissetarsi.

Guardò l'acqua fuoriuscire dalla bocca del leone e scorrere come un filo di cristallo per poi perdersi nelle tubature alla base della fontana, suonando in tal modo quel mirabile concerto che lo aveva ipnotizzato, conducendolo là. Si curvò, si avvicinò lentamente e iniziò a bere, lavando via da dentro di sé quel desiderio di diventare “grande” e l'insicurezza di essere visto dagli adulti come un bambino. Bevve avidamente, tanto era fresca l'acqua, e finì col bagnarsi entrambe le guance. Quando fu sazio, si rimise dritto e si asciugò le gote con la manica del bomber che portava addosso, ma non ebbe il tempo di finire il gesto che si accorse di non essere più solo:
– Ciao! – gioì un bambino, porgendogli la mano – Io sono Carmine, e tu? Come ti chiami?
– Mi chiamo Lazzaro – rispose timidamente, stringendo la mano dell'altro e gettando un'occhiata agli adulti che osservavano la scena.
– Quanti anni hai?
– Sette e mezzo. E tu?
– Io sette. Allora possiamo uscire insieme se ti va. Mia mamma dice che devo uscire con quelli più grandi di me... – sorrise Carmine, restando assieme a lui e attendendo una risposta.
– D'accordo!
Non appena Lazzaro ricambiò il sorriso, gli adulti dissero a Carmine di non fare tardi e se ne andarono, salutando entrambi e lasciandoli soli.
Lo avevano scoperto. Avevano capito che non era un adulto ma soltanto un bambino. Proprio come quello che aveva davanti a lui, come Carmine.
Non gli importava. Aveva dimostrato a se stesso di saper raggiungere la fontana e, soprattutto, adesso, non era più solo.
Finalmente aveva un amico.

mercoledì 5 novembre 2014

Ricorda per sempre il 5 novembre


“Ricorda per sempre il 5 novembre, il giorno della congiura delle polveri contro il parlamento. Non vedo perché di questo complotto, nel tempo il ricordo andrebbe interrotto. Ma l'uomo? So che il suo nome era Guy Fawkes e so che nel 1605 tentò di far esplodere il parlamento inglese. Ma chi era realmente? Che tipo d'uomo era? Ci insegnano a ricordare le idee e non l'uomo, perché l'uomo può fallire. L'uomo può essere catturato, può essere ucciso e dimenticato. Ma 400 anni dopo ancora una volta un'idea può cambiare il mondo. Io sono testimone diretto della forza delle idee, ho visto gente uccidere per conto e per nome delle idee, li ho visti morire per difenderle… Ma non si può baciare un'idea, non puoi toccarla né abbracciarla; le idee non sanguinano, non provano dolore... le idee non amano. Non è di un'idea che sento la mancanza ma di un uomo, un uomo che mi ha riportato alla mente il 5 novembre: un uomo che non dimenticherò mai”.
(Prologo, V per vendetta, 2005, regia di James McTeigue).

martedì 21 ottobre 2014

Dall'attivismo all'incanto


. di Saso Bellantone
"La frenesia della tecnica nasconde il tempio che è dentro di te. Frenato il caos, si apre un nuovo mondo, dove il disordine e il calcolo svaniscono e traspare il sé che anima il tutto".

mercoledì 15 ottobre 2014

Ereditare il niente


- di Saso Bellantone
"Siamo tutti spettatori ereditieri di una buia esistenza che non è la nostra, scelta".

martedì 7 ottobre 2014

Briciole di luce


- di Saso Bellantone
"Il destino di ognuno è tracciato dalle briciole di luce disseminate nel buio della propria coscienza".

domenica 14 settembre 2014

“Sospeso”...


Capita spesso di chiedersi se alcuni avvenimenti siano semplici coincidenze, se siano già scritti nelle maglie del destino o se provengano soltanto dalla nostra immaginazione. A volte si opta per il primo caso, altre per il secondo e altre ancora per l'ultimo. Dipende dal momento, dallo stato d'animo che si ha, dal periodo che si sta attraversando e da una innumerabile serie di incognite impossibili da elencare, le quali, nessuna esclusa, giocano tutte un ruolo centrale nell'interpretazione, o meglio nella collocazione di quegli eventi nelle categorie sopra citate. Si può quindi concepire quei fatti in maniera briosa, infelice oppure si può intenderli in modo scherzoso, riderci sopra e far finta che non siano mai accaduti.
Ve ne sono alcuni, tuttavia, la cui bizzarria spiazza a tal punto da impedire una categorizzazione di essi e una loro spiegazione. Vengono alla luce come conseguenza della formula magica appena pronunciata da invisibili streghe e negromanti per condizionare il nostro tempo o come il risultato delle mosse delle pedine della scacchiera della vita, da parte di un giocatore fuori dal mondo che lo fa per puro divertimento. In ogni caso accadono e inebriano di meraviglia a tal punto da lasciare frastornati per diversi giorni, perché sono troppo assurdi e improvvisi. Proprio come quelli che sto per raccontarvi.
Tempo fa leggo di una bellissima iniziativa che ha lo scopo di diffondere e di consentire la fruizione gratuita dei saperi e delle conoscenze denominata “Libro Sospeso”. L'idea prende spunto dal celebre “caffè sospeso”. In buona sostanza, in alcune città, entrando in un bar si usava pagare due caffè, consumarne uno e lasciare pagato l'altro per chi, successivamente, recandosi nello stesso locale, chiedesse di esso. In tal modo, si offriva un caffè a una persona sconosciuta e forse mai conoscibile, con l'intento, quasi, di fare in tal modo un dono all'umanità. Il “Libro Sospeso” funziona nel medesimo modo, solo che i protagonisti sono stavolta le librerie e i libri. Si entra in una libreria, si comprano due libri, uno lo si porta con sé, l'altro lo si lascia pagato in libreria e sarà ritirato, in seguito, da chi recandosi nella libreria chiederà di esso. È un'iniziativa bellissima e affascinante, diffusa ormai in tutta la penisola, interpretata in maniere differenti ma tutte con l'obiettivo di permettere la lettura anche alle fasce più deboli della società, i giovani, i disoccupati, gli inoccupati, i pensionati, tutti coloro che, insomma, economicamente non se la passano proprio bene.
Alcuni mesi dopo, durante la Fiera del Libro di Gerace, mi reco alla Libreria Calliope di Siderno per avviare un rapporto di fornitura. Incontro Roberta, la titolare, e mi mostra dei libri appesi vicino all'ingresso, spiegandomi che si tratta del “Libro Sospeso” e che è l'unica libreria in Calabria ad aver sposato tale idea. Le dico di conoscere già tale iniziativa e mi congratulo con lei per il coraggio, mediante una tale idea, di mettere la letteratura gratuitamente a disposizione delle persone in difficoltà e tuttavia desiderose di leggere e di sapere.
A distanza di mesi, assieme a Daniele della Cartolibreria Demaio, nel corso della rassegna “Notti Disobliate. 5 libri per 5 concetti” decido di lanciare il “Libro Sospeso” anche a Bagnara Calabra. Cominciano forte, con ben cinque libri sospesi e appesi all'ingresso, destinati ai ragazzi e a quanti non hanno la possibilità di acquistarli, ma hanno fame di conoscenza. Sono felice, perché adesso in Calabria ci sono due librerie a sposare tale iniziativa e più persone disagiate hanno la possibilità di saziare il loro appetito di libri.
Alcune settimane dopo, mi trovo in viaggio sulla A3, direzione Firenze, in compagnia di amici. Il viaggio è stancante e occorre fare una sosta, con tanto di un buon caffè. Così, tra le tante Aree Servizio distribuite lungo il percorso dell'autostrada, scelgo di sostare nella prima subito dopo il raccordo Napoli-Avellino.
Pago tre caffè e mi avvicino al bancone, aspettando che siano portati. Nell'attesa, mi accorgo che il contenitore dello zucchero è pieno di bustine, tutte uguali, recanti nel dritto l'iscrizione “Storie di caffè”. Incuriosito, ne prendo una e leggo l'iscrizione, chiedendomi quali storie di caffè potrebbe raccontare una bustina di zucchero. La giro e nel rovescio trovo un aforisma di Luciano De Crescenzo, quello che potete leggere nell'immagine allegata al presente scritto.
Sorrido, e mostro la citazione ai miei compagni di viaggio e di caffè. Sorridono anche loro, pensando alle “Notti Disobliate”. Nelle loro bustine ci sono altre frasi. Quella contenente la frase relativa al caffè sospeso e, dunque, ricollegabile al “Libro Sospeso”, l'ho presa soltanto io.
Bevo il mio caffè, rigorosamente amaro, metto la bustina di zucchero in tasca, e riprendo il viaggio, chiedendomi come sia stato possibile, in mezzo a tutte quelle bustine, pescare esattamente quella. Una coincidenza? Destino? O è soltanto la mia immaginazione a tentare di trovare una connessione logica tra il “Libro Sospeso” lanciato alle “Notti Disobliate” e quella bustina di zucchero?
Oggi, a distanza di giorni, me lo chiedo ancora e non so come o cosa rispondere.
Voi che ne pensate?

Io credo che...

lunedì 1 settembre 2014

Bucks


- di Saso Bellantone
Agosto. 31. È un pomeriggio afoso e 4 amici partono in macchina in direzione della spiaggia di Amantea e del mare. Il mare... bello e misterioso come la vita, una metafora perfetta. Quando si è piccoli e arriva l'estate non si fa altro che passare intere giornate al mare, poi, via via che si cresce, alcuni continuano a frequentarlo assiduamente, intendendolo quasi come qualcosa di sacro; altri se ne stancano o non trovano il tempo né la vicinanza per fare qualche bagno; altri ancora hanno la fortuna di fare anche un bagno soltanto... nel mare. Lo stesso mare nel quale, alla foce del Gange, milioni di orientali, provenienti da tutti i continenti, s'immergono e riemergono, fisicamente e spiritualmente, una volta all'anno, per purificarsi della contingenza, morire nella vecchia vita e rinascere nella nuova. Così accade, a volte, anche agli occidentali. A quegli occidentali che, disinnamorati, senza tempo o troppo lontani dalle coste, si ritrovano improvvisamente in spiaggia, sotto il sole cocente estivo. È un evento, il mare. Immergendosi e riemergendo dalle sue acque avviene qualcosa che va al di là del caldo, del sudore e della moda. Qualcosa, che dal corporale passa all'intellettuale (o allo spirituale, per chi preferisce) e permane in esso. Lo impregna, lava via le ombre delle idee ormai inutili e lascia il segno di un sale che non può essere mondato. Un sale che si deposita nella pelle del pensiero senza toccarla allo stesso modo in cui le acque del mare a cui quel sale appartiene bagnano senza sfiorarla. Eppure, dà un sapore nuovo, diverso, a un pomeriggio che, forse, durerà più a lungo del previsto, per tanti pomeriggi, oltre i confini di Cronos. Un sale di nome Bucks.
Sono appena uscito dal mare. Primo tuffo, primo bagno 2014. Mi distendo sull'asciugamani e lascio che il sole mi liberi delle gocce d'acqua marina che attraversano il mio corpo. Giro del tabacco e ad ogni girata un passo avvicina qualcuno.
Li sento, quei passi. Così come, nel momento stesso in cui sono pronto a chiudere la sigaretta, sento la sua voce e il tonfo del suo corpo che si siede sulla ghiaia innanzi a me.
Lo vedo. È un ragazzo, la sua pelle è nera, senza bisogno alcuno di abbronzature e tintarelle. Mi saluta e mi chiede “quella” sigaretta. Lo saluto, la chiudo per lui, gliela porgo e me ne chiede un'altra. Mi appresto a girarla e chiacchieriamo.
Si chiama Bucks. Viene dal Gambia. È qui da tre settimane e lavora da tre settimane, giunto a bordo di un barcone assieme a tanti altri connanzionali, amici e disperati. Vende bracciali e collane. Si dà da fare per raccogliere i soldi e spostarsi in un altro Paese più promettente dell'Italia, in cui ricominciare la propria vita. Crede in Dio e ha fame.
Gli do la sigaretta e qualcosa per mangiare. Non voglio collane né bracciali. Non li uso, quindi è meglio li venda ad altri.
Mi ringrazia lungamente, in inglese. Lo ringrazio brevemente, dicendo “God is with you”. Ci salutiamo. Prosegue il suo cammino, per vendere qualcos'altro e incontrare qualche altro amico con cui scambiare due parole e trovare, se solo fosse possibile farlo, il senso del suo girovagare.
Lo osservo, osservo me stesso e mi chiedo: perché un ragazzo è costretto a fuggire via dalla propria terra natia? Perché cerca un paese più promettente dell'Italia?
Agosto. 31. Il pomeriggio afoso è ormai passato e, mentre la fresca sera entra dai finestrini della macchina, 4 amici rientrano a casa. Non sono più 4. Sono 5.
La musica e i tramonti all'orizzonte parlano chiaramente. Non ci saranno altri tuffi né altri bagni per quest'estate 2014 appena cominciata. Non voglio altro sale marino sul mio corpo. Il mio pensiero è già denso di sale. Quel sale che mi accompagnerà per tanti altri pomeriggi ancora: Bucks.

giovedì 10 luglio 2014

L'eroismo della differenza


- di Herman Hesse
"L'eroe non è affatto il bravo e ubbidiente cittadino che adempie ai propri doveri. Eroico può essere soltanto il singolo, che ha fatto del 'senso di sé', della sua nobile e innata testardaggine il proprio destino".

venerdì 4 luglio 2014

Orme parallele

- di Saso Bellantone
"Percorrendo qualsiasi sentiero nel cuore della natura, alla ricerca di se stessi, si comprende che uomo e natura non sono altro che due parole per indicare il medesimo soggetto".

mercoledì 25 giugno 2014

La bellezza è inspiegabile


- di Angelus Silesius
"La rosa è senza perché: fiorisce perché fiorisce,
a se stessa non bada, che tu la guardi non chiede".

mercoledì 11 giugno 2014

Mille lire


- di Saso Bellantone
La sigla del Tg prorompeva dalle porte e dalle finestre aperte di ogni abitazione e si diffondeva sulle strade deserte della cittadina meridionale, portando le notizie dal resto del paese. Politica, sport ma soprattutto brutte notizie. Per questo il piccolo Lazzaro non amava il Tg. Perché ogni giorno sentiva sempre storie tristi, provenienti da un mondo cattivo, fatto di persone cattive. Ciò lo rattristava enormemente ma la mamma, lavando i piatti e rimettendo in ordine la cucina, seguiva sempre il Tg, così era costretto ad assecondarla.
Quel giorno, tuttavia, mentre la mamma preparava la caffettiera, Lazzaro preferì starsene affacciato alla finestra ad osservare le rondini, appena tornate ai propri nidi grazie ai primi raggi di un sole primaverile. Le osservava volare libere, leggere, veloci sul limpido cielo ornato dai pollini di fiori da poco sbocciati, e poi tornare dai propri piccoli che con la loro vocina chiedevano di essere sfamati, e sperava di poter volare come loro, lontano da quel mondo così malvagio. Aveva appena finito di pranzare. Pasta con il sugo e cracker integrali ridotti a poltiglia e spalmati nuovamente su altri cracker. Era divertente, ma gliene toccava soltanto un pacco e il gioco, purtroppo, finiva subito. Così si annoiava, non sapendo cosa fare e in quale altro modo giocare, prima dell'arrivo dello zio.
Lo zi' 'Ntoni infatti passava a trovarlo ogni giorno, sempre alla stessa ora. Spuntava all'improvviso, spalancando le ante della finestra e chiamando allegramente il suo nome, riempiendo la casa di gioia. Vestiva sempre la tuta d'elettrauto, mentre quando non lavorava usava classici cardigan sopra camicia, cravatta, pantaloni e scarpe lucide. Sembrava un personaggio proveniente da un mondo fantastico. Capelli pettinati rigorosamente all'indietro, occhi vispi, carnagione chiara e grandi mani, aveva dei dentoni talmente distanti l'uno dall'altro che sembravano disegnati. E poi era talmente alto e magro che quando sorrideva, e lo faceva sempre, aveva l'aspetto di un lampione acceso ambulante. Doveva sempre chinarsi in avanti per entrare nell'abitazione.
Quel giorno lo zio non era ancora arrivato e il piccolo Lazzaro decise di appostarsi dietro l'infisso e di fargli uno scherzo, anticipandolo. Nell'attesa, continuava a osservare le rondini e ad ascoltare il loro trillo, mentre il resto del paese rimaneva fermo come un dipinto colorato. Mentre guardava da una parte e poi dall'altra, ecco che intravide lo zio spuntare all'improvviso dalla traversa vicino casa.
Sorrise, Lazzaro, e si nascose subito sotto la finestra, aspettando che l'altro arrivasse per coglierlo alla sprovvista.
Quando lo zio raggiunse la finestra e aprì le ante in cerca del nipotino, Lazzaro attese alcuni istanti, poi scattò in aria, gridando felicemente: – 'Ntoooneeee!
Lo zio scoppiò in una risata e, come sempre, rispose al benvenuto chiamando allegramente il nome del bambino: – Laaazzarooo!
I due si guardarono festosi per alcuni istanti, poi Lazzaro scese dal divano collocato sotto la finestra, andò ad aprire la porta e fece entrare lo zio in casa; intanto la mamma si tolse i guanti e messa immediatamente la moca sul fuoco, raggiunse il figlio per accogliere l'ospite anche lei.
Lo zi' 'Ntoni passava ogni giorno nel primo pomeriggio per prendere un caffè con la nipote, fare una chiacchierata e poi ritornare al suo lavoro di elettrauto. Contemporaneamente, era solito proporre al piccolo Lazzaro sempre la medesima sfida, cosa che fece anche quel giorno, dopo essersi seduto al tavolo accanto a lui: – Se rinesci mi muzzichi a manu nto menzu... – disse, sorridendo al nipote e spalancando la mano sinistra – ti rugnu milli liri!
Senza neanche dargli il tempo di finire la frase, Lazzaro prese la mano dello zio, spalancò le fauci e, aiutandosi con entrambe le manine, cominciò a mordere.
Lo zi' 'Ntoni e la mamma risero di gusto, mentre la moca fischiettava che il caffè era appena sceso. La mamma versò il caffè nelle tazzine, si sedette assieme allo zio e si mise a parlare con lui del più e del meno. Intanto il piccolo Lazzaro faceva valere la sua audacia contro la mano inflessibile dello zio.
La sfida generalmente terminava con la sigla conclusiva del Tg. Dal momento che quel giorno era arrivato in ritardo, lo zio concesse al piccolo ancora qualche minuto. Lo osservava divertito assieme alla nipote. Il nipotino sembrava infatti un cucciolo di tigre instancabile. Tentava senza sosta di mordere la mano ma era impossibile. Era talmente tesa e immobile che una corda di violino al confronto sembrava un filo di lana. Lazzaro lottava, cambiava angolazione, provava qualsiasi cosa per riuscire a mordere la mano ma non c'era modo alcuno. Sembrava una mano statuaria, dura e ferma con un blocco di marmo.
Il tempo passò in fretta e lo zio disse che doveva tornare al suo lavoro.
Lazzaro si immusonì perché non era riuscito a vincere la sfida ma lo zi' 'Ntoni, sorridendo al nipotino e asciugandosi la mano piena di saliva, tirò fuori mille lire: – Va' bonu... – disse, consegnandole al piccolo – pe' sta' vota vincìsti ma a prossima vota se non si' cchiù bravu no' ti ndi rugnu!
Lazzaro prese le mille lire tutto contento e diede un bacio sulla guancia allo zio, stringendolo in un abbraccio, sotto gli occhi felici della mamma.

Finiva sempre così. Pur vincendo ogni volta, lo zio era felice di gratificare il nipotino. Per lui era un gesto significativo. Non sempre infatti nella vita si riesce a raggiungere il traguardo prefissato e non sempre si è premiati lo stesso. Tuttavia sperava che con quelle mille lire il piccolo si abituasse a credere in se stesso e nelle proprie capacità, e a convincersi che un giorno che ce l'avrebbe fatta. Avrebbe morso la mano, avrebbe raggiunto i suoi sogni.
Anche la mamma, pur non partecipando al gioco, era felice. Malgrado restasse per pochi istanti, la compagnia dello zi' 'Ntoni illuminava la casa degli stessi colori primaverili che rendevano la cittadina meridionale un paradiso terrestre. Con il suo sorriso, la sua allegria e la sua simpatia, trasmetteva la gioia e la serenità necessari per affrontare con determinazione le diverse mansioni che le toccavano per il resto della giornata.
Lazzaro, naturalmente, era giulivo. Guardava lo zi' 'Ntoni uscire di casa ed avviarsi in direzione dell'officina, e gli sorrideva continuamente. Non perché lo aveva premiato lo stesso, ma perché era convinto che in quel mondo pieno di persone cattive ce n'era una buona; finché c'era lo zio, quel mondo appariva ai suoi occhi abitabile.


lunedì 9 giugno 2014

DISsud: le foto 34


- di Saso Bellantone
"Totem", Parco della Biodiversità (Catanzaro).

giovedì 5 giugno 2014

Le catene di Cronos


- di Boris Pasternak
"Sei l'ostaggio dell'eternità, un prigioniero del tempo".

lunedì 26 maggio 2014

OLTREWEB: Ma quali europee?!


- di Saso Bellantone
Buon meriggio web,
la tornata elettorale si è appena conclusa e sei soddisfatto di aver espresso il tuo diritto, recandoti al seggio, non andandoci, scegliendo la mano destra o la mano sinistra del diavolo o la copia della copia della copia ispirandoti a vetusti valori, principi e figure di partito o accettando la promessa di chicchessia o scarabocchiando la scheda con insulti, pernacchie e quant'altro ti consenta di vantarti con gli amici e i nemici, mostrandoti il più geniale per estro creativo, egocentrismo e chiusura mentale.
Hai sfogliato i programmi, non li hai nemmeno sbirciati, non sai cosa siano, hai promesso, ti sei chiuso a riccio, hai fatto propaganda, hai sposato o negato quel simbolo o quel volto, ritenendo che le consultazioni per mandare 83 rappresentanti al parlamento del Grande Leviatano del Nord sia il sentiero per risolvere i problemi che stai attraversando ormai da diversi anni, e sempre in peggioramento, a meno che tu non abbia già messo il cappio al tuo collo, lasciando agli altri il peso di decidere di quale morte, o di indegna schiavitù, morire.
Ma che senso ha questa tornata elettorale, quando è proprio l'Immenso Craken Nordico il problema dei problemi? Ancora credi che, inviando nuovi rappresentanti, cambierà il tuo destino? Che cambierà in meglio?
Perché non ti svegli, mio caro web, e smetti di lasciarti illudere da quelle visioni dai colori intercambiabili che spacciano ambiguamente soluzioni apparentemente, logicamente e sinteticamente ovvie per trasformare la tua caduta negli inferi in un'ascesa verso l'empireo?!
Sono promesse, sempre le solite promesse, miscelate con ingredienti e salse esteriormente differenti, provenienti in fondo dall'oscuro obiettivo di sedere nelle vette del Titanico Mostro Settentrionale e goderne, beneficiarne a scapito proprio tuo.
E così sarà, non appena messo piede nei palazzi del potere leviatanico.
Anche se i tuoi rappresentanti vi giungessero con l'animo effettivamente pio, proponendo agli altri rappresentanti di cambiare le regole del Craken, sarebbero derisi o azzittiti o assorbiti, incapaci così di impedire che la rovina, la tua, prosegua e dilaghi.
Anziché perdere tempo a esercitare il tuo diritto al voto, con le solite stupidaggini che in tali occasione elettorali si scatenano, stavolta, mio caro web, dovevi cogliere al volo assieme a tutti gli altri un'occasione unica.
Dovevi in maniera unanime NON-esercitare quel diritto. Schierarti, al di là delle differenze culturali, razziali, di genere e di pochezza mentale, assieme a tutti i nativi e gli immigrati dello stivale ed esprimere il tuo NO a questo Titanico Mostro Settentrionale. Dovevi palesare con un grande gesto simbolico che è proprio quel Leviatano, assieme alla moneta unica, alle banche, alle multinazionali e ai potenti, che non va e che non vuoi far parte di quell'abominio della democrazia internazionale e transnazionale.
Hai bisogno, mio caro web, di un'unica forza che non abbia nulla a che vedere con i filmini e gli archetipi dei bacucchi partiti costruiti per rinnovare i propri adepti, e che si opponga duramente e responsabilmente a questo obbrobrio che sta dissanguando te e chi (non)verrà dopo di te, sprecando i sacrifici di chi ti ha preceduto, per consegnarti un mondo migliore che ormai peggiora costantemente.
Dovresti, mio caro web, cominciare a pensarti in maniera nuova, uno, unico, indivisibile, stivalico; uscirtene da questa follia che sta consumando la tua storia in cambio di vanità e morte, e ricominciare solitario, introverso, difendendo il made in Stivaly e gli stivalici tutti, decretando l'inizio della fine di questo dannato Grande Leviatano del Nord.
Invece, hai soltanto sprecato, di nuovo, un'occasione, ed è tutto, di nuovo, da rifare... a meno che tu non sia già finito nell'ade.
Medita web, medita...

Pubblicato su Cmnews: http://www.cmnews.it/rubriche/oltreweb/oltreweb-quali-europee/ 

venerdì 23 maggio 2014

Dal chiaroscuro, brandelli di luce


- di Truman Capote
"Così i giorni, gli ultimi giorni, turbinano nella mia memoria, indistinti, autunnali, tutti eguali come foglie: fino a un giorno diverso da tutti quelli che ho vissuto".

mercoledì 14 maggio 2014

DISsud: le foto 33


- di Saso Bellantone
"Antiquarium ArcheoDeri" (Bova Marina).

martedì 6 maggio 2014

OLTREWEB: Gerace Libro Aperto, che bella metafora!


- di Saso Bellantone
Buon meriggio web,
i fumi del 25 aprile, della Pasqua e del 1° maggio sono ormai evaporati e, assieme ad essi, anche le promesse politiche, ecclesiastiche e sindacaliste di redenzione dal male, causato dai progetti di potere del Grande Leviatano del Nord, dalla realizzazione di una schiavitù della dissolutezza sfrenata e spudorata e dalla svendita del made in Stivaly per sopraffini interessi individuali. Così, torni a vedere la realtà per quello che è, triste, povera, senza futuro alcuno e ti chiedi per quanto tempo resisterai, con quel malanno in corpo e quel malessere nello spirito, che mandano la tua vita in malora.
Non lo sai, ma sai che non durerai a lungo se nessuno comincia a fare tutto quello che dice e ridice per meri scopi propagandistici, personali o della squadra a cui appartiene. Ma che cosa c'è, da fare?
Un bell'esempio proviene dal festival dell'editoria calabrese Gerace Libro Aperto, ormai alla terza edizione.
Editori, scrittori, associazioni, amministrazioni, artisti, musicisti e tanta gente proveniente da differenti territori della Calabria, si sono raccolti per cinque giorni in un gioiello storico-artistico, Gerace, per fare cultura.
“Fare cultura”. Molti, mio caro web, pensano che questa locuzione consista soltanto nella produzione di libri, album, dipinti, fotografie, installazioni, esposizioni, degustazioni, spettacoli, concerti, presentazioni, volantini, chiacchiere e passeggiate per le vie di una delle città più belle dello stivale. Fare cultura non significa questo. Gerace Libro Aperto non produce nulla di quanto elencato sopra, tutto questo è già prodotto da quanti sono stati citati nel periodo precedente. E allora che cosa fa Gerace Libro Aperto? In quale maniera, produce cultura? E quale cultura, produce?
Fare cultura non significa meramente presenziare a Gerace Libro Aperto bensì comprenderne il significato. Gerace Libro Aperto è una metafora della cultura stessa che produce, anzi promuove, già per il terzo anno consecutivo.
“Cultura”, mio caro web, proviene dal termine tedesco “Billdung” che significa “formazione”, nel senso attivo della parola: creare, dare forma, comporre, configurare, elaborare. Gerace Libro Aperto pro-muove, opera per dare forma a “una” cultura di cui tutta la Calabria ha bisogno in questo momento storico, e, osservandola con la lente d'ingrandimento, ci si accorge che tale cultura incoraggiata dal festival dell'editoria calabrese non è nulla di diverso da quanto facevano i nostri genitori e i nostri nonni in passato. La cultura che Gerace Libro Aperto pro-muove, incoraggia, e che la manifestazione stessa incarna diventandone la metafora, è “un” modo di pensare, e di fare.
Gerace Libro Aperto pro-pone, pone in essere una visione delle cose e una sinfonia di condotte dai quali la Calabria e i calabresi potrebbero trarre beneficio, passando da una forma di resistenza “passiva” ad una forma di resistenza “attiva” al fato che si è chiamati a vivere e a combattere in questi tempi a causa delle scelte operate finora da altri. Gerace Libro Aperto è un modo di pensare e di fare che, se applicato in ogni territorio, paese e contrada calabrese, offrirebbe una resistenza attiva della Calabria e dei calabresi ai flutti oscuri del mercato globale e dell'impoverimento economico e spirituale planetario, capace anche di contrastare la disoccupazione, l'abbandono della nostra terra e il mal di vivere ormai imperante, che riempie quotidianamente le pagine dei giornali con vicende tristi e tragiche.
La cultura di cui Gerace Libro Aperto si fa promotrice, mio caro web, è sintetizzabile nella parola “permanenza”, che racchiude al suo interno diversi significati, come “soggiornare, durare, continuare, stabilire, stabilizzare”. Soprattutto, ha al suo interno il termine latino “munus” che significa “dono” e che nella parola permanenza indica “la qualità del donare per, a favore di”.
Gerace Libro Aperto raccoglie e mette in evidenza un insieme di enti, aziende, scrittori, artisti, musicisti, lettori, ascoltatori, fruitori e consumatori che “permangono” in Calabria: vi soggiornano, durano nel senso che resistono, continuano a soggiornarvi e a resistere, stabiliscono nel senso che decidono, pongono in essere realtà e fatti nuovi e di un certo valore sociale, e infine “tentano” di stabilizzare, di consolidare il loro soggiorno, la loro resistenza, le loro creazioni, la continuità del loro operato. Sono tutte persone che hanno già la cultura della permanenza, pur non chiamandola in questo modo. Ognuna di loro è qualificabile mediante un comun denominatore: il donare a tutti gli altri il proprio soggiornare, la propria resistenza, la propria continuità, la propria attività, nel tentativo di stabilizzare assieme agli altri la Calabria e i calabresi, e il loro comune destino.
Detto in altri termini, a Gerace Libro Aperto s'incontra gente che ha deciso di restare in Calabria, di resistere al disastro economico-finanziario globale “dal di dentro della” Calabria, di continuare a restarvi scegliendo quali fatti sociali creare “per” la Calabria e i calabresi, e che decide quotidianamente di consolidare le proprie scelte, continuando a occuparsi del destino che ha in comune “con” la Calabria e i calabresi.
A Gerace Libro Aperto si conoscono tante persone che, anziché fuggire via – geograficamente, letterariamente, artisticamente, economicamente e passionalmente –, restano nella nostra terra. Persone che lavorano e fanno lavorare “in” Calabria, che pubblicano e leggono opere di autori calabresi, che ascoltano musica di musicisti calabresi, che creano e osservano opere d'arte di artisti calabresi, che fruiscono di e consumano prodotti calabresi, che investono nelle arti e nei saperi calabresi, che restano senza fiato innanzi alle bellezze storiche, archeologiche e paesaggistiche calabresi, che incontrano e amano incontrare i calabresi e tutte quelle persone provenienti da altre nazioni le quali, una volta giunte in Calabria, vengono accolte come cittadini nativi calabresi soltanto perché hanno avuto il piacere o l'occasione di venire in Calabria, e fanno conoscere quanto elencato finora, e cioè il bello, ai bambini, alle nuove generazioni. Persone che amano, soffrono, sperano, sognano, sorridono, lottano, credono, si sacrificano, si danno da fare, creano e sperimentano nelle arti, nei saperi, nei sapori, nelle professioni, nelle scienze, nella comunicazione e nei rapporti con gli altri, e continuano a restare, a resistere, a creare e a sperare una Calabria e dei calabresi diversi.
Gerace Libro Aperto, mio caro web, è una metafora della cultura della permanenza, e cioè del restare “in” Calabria in tutti i sensi. Un'idea che, se soltanto fosse adoperata in ogni dimensione e livello di tutte le realtà che costituiscono la nostra regione, quest'ultima e i suoi abitanti sarebbero diversi, diventerebbero diversi.
Riesci ad immaginare, mio caro web, una grande comunità di calabresi “in” Calabria che, diffondendo la “metafora della permanenza Gerace Libro Aperto” crea e consuma e fruisce di abbigliamento, scarpe, alimenti, negozi, supermercati, tecnologie, mobili, soprammobili, energia, scuole, biblioteche, gallerie, musei, cinema, concerti, media, fabbriche, aziende (e via dicendo) “calabresi”?
Come sarebbero la Calabria e i calabresi se smettessero di rifornirsi, di usare e di consumare, anche per puro diletto, tutto quello che attualmente è importato da altre regioni e nazioni? Ci sarebbe maggior lavoro? Si frenerebbe lo spopolamento della nostra terra? La Calabria comincerebbe ad essere più bella, più sana, più accogliente, più consapevole delle proprie potenzialità e della propria storia? I calabresi potrebbero cominciare a opporsi attivamente alle scelte politiche, economiche e consumistiche imposte – e attualmente accettate passivamente – dai grandi poteri e dalle multinazionali?
Se si prendesse sul serio la “metafora della permanenza Gerace Libro Aperto”, mio caro web, – ossia di quel modo di pensare e di fare con il quale si è coscienti di donare qualcosa d'importante e necessario alla Calabria e ai calabresi – se si facesse propria questa visione delle cose, diffondendola in ogni sfera della nostra grande comunità, e si operasse in tal senso, la Calabria e i calabresi sarebbero...
Medita web, medita...

martedì 29 aprile 2014

La banalità della trascendenza


- di Saso Bellantone
"Si smaterializza l'essere, in visibili ed invisibili frammenti di sé, ma nell'immanenza, l'animale uomo, crede siano gocce di pioggia o lacrime".

venerdì 25 aprile 2014

Airman di Eoin Colfer


- di Saso Bellantone
Parigi 1878. Esposizione Universale degli inventori e della scienza. Il capitano dei Tiratori Scelti delle Isole Saltee, Declan Broekhart, un piccolo stato sovrano al largo delle coste irlandesi, e la moglie Catherine, in dolce attesa, salgono a bordo del dirigibile Le Soleil, assieme a Victor Vigny, capitano della Squadra Aeronautica costruttrice del velivolo. Dopo essersi alzati in volo, una fucilata raggiunge il pallone e i viaggiatori rischiano la vita. Inoltre, Catherine ha le contrazioni e si ritrova a partorire nel cesto del dirigibile che, fortunatamente, si ancora ai riccioli della testa della Statua della Libertà, che presto sarebbe stata inviata in America. Sono tutti salvi, anche il bambino appena nato. Si chiama Conor, e si dice che “i suoi occhi siano di fuoco”.
Comincia così Airman (Mondadori, 2009), la storia emozionante del giovane Conor Broekhart, studioso di scienza del volo e amico della principessa Isabella, figlia del re Nicholas Trudeau, con la quale vive numerose avventure all'interno del palazzo reale del regno delle Saltee. La sua vita però è destinata a cambiare repentinamente a causa di un complotto ad opera del generale della Guardia Reale, Hugo Bonvilain, per ottenere il potere. Ritrovatosi in prigione nella piccola Saltee, solo e convinto di essere odiato dalle persone che ama, Conor dovrà combattere contro se stesso e contro i nemici che tentano di annientarlo definitivamente, per ritrovare la libertà e salvare le Saltee dalle grinfie dell'ambizioso Bonvilain.
È una storia semplice, appassionante, adatta sia agli adulti sia ai ragazzi perché si presenta come una metafora delle spregevoli cospirazioni che a volte si è costretti a vivere, a scapito delle persone amate. L'autore, Eoin Colfer, sottolinea quanto sia importante, malgrado le difficoltà, la solitudine e il senso d'impotenza provati in situazioni del genere e al limite del comprensibile, non darsi per vinti, perché nulla è perso per sempre. Anzi, è proprio in questi momenti che è possibile trovare dei nuovi amici e scoprire di possedere delle risorse impensate prima, con i quali stravolgere un destino ormai apparentemente triste e misero, e riprendersi la vita e la felicità di cui si è stati privati. Benché non sia facile, c'è sempre un modo per ritrovare la libertà, anche se, spesso, una volta ottenutala, si ha la tentazione di dimenticare tutto e tutti, e di dedicarsi egoisticamente a se stessi. Ma il passato non può essere cancellato definitivamente, anzi, si ripresenta in forma nuova, per ricordarci chi siamo veramente e che le persone amate hanno bisogno di noi.

giovedì 17 aprile 2014

venerdì 11 aprile 2014

sabato 29 marzo 2014

DISsud: le foto 30


- di Saso Bellantone
"Il lavoro - Scultura di Maurizio Carnevali. il 1° Maggio 2013, la Società Operaia di Mutuo Soccorso e l'Amministrazione Comunale, posero" (Palmi).

giovedì 20 marzo 2014

Tornare al circo... da bambini-adulti


- di Saso Bellantone
Il circo... che meraviglia!
Nell'era dell'iper-comunicazione, iper-interazione e iper-digitalizzazione dell'esistente, andare al circo può sembrare retrò, fuori moda, folle. Siamo abituati a stare attaccati a smartphone, tablet, tv, pc, a qualsiasi cosa contenga uno schermo touch che attiri la nostra attenzione e in qualche modo ci separi dalle persone che abbiamo al fianco e da quelle che abbiamo dall'altra parte della connessione. Sembra strano, eppure è così. Chattiamo, clicchiamo, digitiamo continuamente qualcosa, qualsiasi cosa a qualcuno, e siamo soli. Soli con noi stessi e con le nostre dita intente a organizzare le lettere della tastiera in frasi e parole che piacciono agli altri, capaci dunque di rubare loro del tempo che avrebbero passato in altri modi, ma anche per riempire il nostro vuoto tempo privo di inventiva e bramoso della solitudine, dell'ozio, della pura voglia di non fare nulla. E quando siamo stanchi di chattare, ci incolliamo alla sedia, al divano, al letto, lasciando che gli schermi ad alta risoluzione rubino la nostra fantasia e i nostri desideri più ambiti con illusioni preconfezionate e subliminalmente invasive, che diano un po' di sazio ai nostri istinti selvaggi e ci spingano a restare schiavi del capitalismo, del consumismo e del lavoro – quest'ultimo naturalmente per quei pochi eletti che ancora ne hanno uno – senza sosta alcuna, ripetendo ogni giorno sempre la solita tiritera, finché Morte non ci li liberi della nostra stessa esistenza.
Eppure andare al circo, può essere un'esperienza che fa pensare. A come conduciamo la nostra vita, a come la conducevamo decenni fa, a come potremmo condurla oggi.
Al circo non si va per una ragione precisa se non perché è il circo. Se non ci si è andati da piccoli, non si può capire che cos'è il circo e difficilmente si può capire quello che si prova quando vi si torna da adulti.
Sembra di entrare in un altro mondo, ben prima di arrivarci. Si è entusiasti, allegri, scemi sia se si è alla guida dell'automobile sia se si raggiunge il tendone a piedi. Questo perché si scatena quel lato infantile che si ha dentro di sé, quell'insieme di ricordi e sensazioni che riportano alla fanciullezza e a quel mondo semplice, sincero, bello che soltanto un bambino riesce a vedere. Una volta si attendeva con ansia l'arrivo del circo. Si andava con i genitori, con i tutori o con le scuole, ma al circo si doveva andare, era obbligatorio, per passare un'esperienza indimenticabile, davvero indimenticabile. E quando si torna oggi, che bambini non si è più, sembra di non essere cresciuti di un giorno, di essere rimasti così come si era da bambini. E infatti, è così. Malgrado i capelli bianchi e le rughe e i tanti pensieri che affollano la nostra mente, quando si va al circo si scopre, o ci si ricorda, di essere ancora dei bambini. Per questo motivo è indimenticabile. Perché il circo parla sempre e comunque soltanto ai bambini, e ognuno di noi è un bambino quando ci torna da adulto.
Una volta arrivati a destinazione, ci si affretta a fare la fila per i biglietti e si è ammaliati da quel grande tendone a punta evocante le immagini più assurde della nostra fantasia, e dallo staff in uniforme colorata, simile a gnomi o elfi provenienti da un altro mondo, che attende all'ingresso per verificare i biglietti e lasciarti entrare. Camminare sulla terra mista a segatura in direzione del tendone; respirare gli odori forti provenienti dalle gabbie dove ci sono gli animali misti al profumo di popcorn e zucchero filato pronti per essere serviti – è già il segno palese che siamo da un'altra parte e noi non siamo più gli stessi. Siamo, quella stessa altra parte nella quale ci troviamo. Siamo, l'altra parte di noi.
Attraversato quindi il telone, ci si ritrova in un luogo incantato, dove gli spazi e gli oggetti hanno una geometria tutta loro, incalcolabile al migliore calcolatore esistente. L'aria che si respira è quella giusta. È l'odore di cui ci si ricordava, quello inconfondibile del circo, che c'è soltanto là e che non è possibile avvertire in nessun altro luogo al mondo. Non si è più in sé. Lavoro, casa, bollette, liti condominiali, problemi di salute e il conto al verde sono svaniti. Non si pensa ad altro se non a trovare il posto migliore per godersi lo spettacolo, assieme alla persona e ai bambini, se si ha la fortuna di averli. O la sfortuna, da un altro punto di vista, dal momento che pupazzi, pappagalli, clown, fotografi, patatine, noccioline, caramelle, popcorn, zucchero filato e bibite cominciano a circolare attorno senza sosta, svuotando le tasche di mamme e papà e zii e nonni e cugini e tutori e tate. Ma è una sfortuna piacevole, questa. Quelle fotografie e quegli alimenti fanno parte del circo. Quelle belle immagini, quei sapori e profumi buoni ci sono soltanto là dentro. Se si mangiano o si respirano da un'altra parte sono diversi, stomachevoli, ma al circo sono buonissimi, estasianti. E poi piacciono ai bambini. Come dire di no, dal momento che piacciono anche al fanciullo che si ha dentro di sé? Che si è dentro e fuori di sé in quel momento? È un'ottima scusa, quella di avere i bambini con sé, per essere un po' bambini anche noi per alcun istanti. Poi, si faranno i conti a casa con la moglie o col marito, e si pagherà il dazio facendo le pulizie al posto di lei per un mese o lavando l'automobile al posto di lui la prossima volta. Così si prende tutto, si acquista tutto. Fare felici i bambini è importante, è sempre stata la cosa più importante. Ci si guarda attorno e ci si accorge che anche gli altri papà, mamme, zii, nonni, cugini, tutori, tate e amici fanno la stessa cosa con i loro bambini e sono un po' bambini anche loro. Perfetto! Per ora si è giustificati, la vita è salva... per ora. Si può tornare a immergersi nell'atmosfera da circo! Ma quando inizia?
Si attende, si attende e non si sta nella pelle quando, ecco che le luci bianche si spengono, si alza la musica, l'inconfondibile musica del circo e si accendono le luci colorate. Silenzio! L'entusiasmo è alle stelle. Arriva il presentatore! L'attesa è finita. Lo spettacolo comincia.
Clown, trapezisti, maghi, illusionisti, domatori di tigri o di cavalli, giocolieri, acrobati, contorsionisti, ballerine... Gli artisti circensi sono capaci di fare qualsiasi cosa, realmente. Sì, davvero, in carne e ossa. Senza trucchi. Senza ricostruzioni 3D o informatiche. È tutto vero. C'è, la finzione, nel caso degli illusionisti per esempio, ma non ci si accorge di nulla. È al limite, ben fatta, verosimile, simile al vero, alla realtà. Si ride davvero, quando il clown canta una semplice canzone o fa una cosa buffa che può accadere quotidianamente a chiunque. Si è rapiti, quando il giocoliere lancia i coltelli su di un pannello rotante, dove è legata una bella ragazza. Si è con il fiato in gola, quando la bella trapezista volteggia nell'aria con grazia, senza funi di salvataggio, o quando il domatore è chiuso nella gabbia con tigri e leoni che ringhiano e ruggiscono e mostrano gli artigli, o quando l'acrobata tiene in equilibrio gli oggetti più disparati sulla fronte o sul mento. Si canta, si danza, si applaudisce, si scherza. Si prova una grande ammirazione per quello che gli artisti sono capaci di fare. Grandi abilità, acquisite con tanto esercizio giornaliero, con costanza e spirito di sacrificio. È incredibile come l'essere umano sia capace di fare tutto questo! È impossibile! Sembra di sognare a occhi aperti! E invece è vero, tutto vero, e il sogno tutto vero prosegue, bloccando le lancette del tempo che sembra non passare mai.
Ma lo spettacolo finisce.
Si è contenti e con questa felicità si fa il percorso inverso fatto per entrare nel tendone. Dal sogno vero si torna al sogno apparente, alla realtà, alla macchina, e poi a casa. Si torna allo smartphone, al tablet, alla tv, al pc. Si torna a chattare, a cliccare, a digitare. A isolarsi dalle persone vicine e da quelle con cui si sta chattando nel momento stesso in cui lo si fa. Si torna a essere soli. Adulti, semplicemente adulti, in un mare di guai.
Adesso non conta più nulla. Essere bambini; i bambini stessi che si ha la fortuna di avere o quelli che si ha la fortuna di educare in qualsiasi luogo della società; la moglie, il marito, i fratelli, le sorelle, i genitori, i tutori e le tate, gli amici; la relazione con l'altro sperimentata al circo e di cui nemmeno ci si è accorti; – niente ha più valore se non il conto in banca, i debiti, le bollette, il lavoro, la fretta, la rabbia con dio e l'universo intero. Adesso conta soltanto questo, la rabbia di essere soli, per volontà propria, in un mondo interamente votato alla comunicazione, all'interazione e al digitale.
Stanchi di chattare, vista l'ora tarda, non resta che accendere la tv e guardare, da soli, il proprio film preferito, nel quale i protagonisti sono capaci di fare qualsiasi cosa, di lanciarsi dalla vetta di un palazzo e sopravvivere con una camicia usata come un paracadute o di distruggere un'intera città per salvare la persona amata.
Ma dopo essere stati al circo, il film non ha più la stessa attrattiva. Nessuna abilità, nessun eroe, niente adrenalina, nessun coinvolgimento emotivo. Ora si sa che è tutto finto, tutto inventato, tutto creato al computer con i migliori programmi esistenti. Tutto è fatto per essere tenuti a bada, annebbiati, strappati dalla realtà e catapultati in un mondo immaginario, studiato scientificamente per essere condizionati, programmati e schiavizzati. Per essere tenuti soli, senza relazione alcuna, vera, sincera con le persone che si ha attorno, e pensare soltanto al lavoro, al profitto e alla sopravvivenza individuale. Proprio come fanno tutti gli adulti.
Ma il circo torna alla mente per un istante. Si pensa al passato, a quando si era bambini e a quando erano gli adulti a portare noi al circo. Anche in quel tempo gli adulti erano adulti ma le cose stavano diversamente. Non c'erano smartphone, tablet, tv e pc. C'erano persone, soltanto loro. Si telefonava, si andava al cinema, si scriveva una lettera e si andava al circo una volta tanto. Perché si doveva lavorare anche allora ma si doveva stare con gli altri, con familiari e amici, e con i bambini. Tutta la società era centralizzata sui bambini, sulla loro formazione e tutela. Li si abituava fin da piccolissimi al rapporto con gli altri e a un preciso ordine di valori, di idee e di priorità. E pur avendo poco o nulla, si era felici. Oggi...
Andare al circo può fare pensare a questo, e chiedersi se questa società così com'è, se la nostra solitudine, se la nostra infelicità vadano, appunto, ripensati...

domenica 16 marzo 2014

OLTREWEB: E vissero felici e contenti... chi?


- di Saso Bellantone
Buon meriggio web,
ti trovo rasserenato ultimamente. Nuovo premier, nuovo papa, nuova edizione del grande fratello, nuove serie-tv, nuovi tablet e smartphone, nuove applicazioni, nuove collezioni, nuovo nuovo nuovo. Manca soltanto l'arrivo della primavera e lo sbocciare di fiori freschi per coronare il sogno a occhi che stai vivendo con la componente zuccherina dal sapore di nuovo, inedito, appena fatto, originale, che sembra interessare l'essere, l'esistenza, la natura, il creatore e Belzebù. Tutto è nuovo e questo illumina d'immenso, come uno spettacolo non ancora visto che ha il gusto del segreto e della scoperta, riempiendo la frammentata e disperata coscienza di quel demone uscito per ultimo dal vaso di Pandora, la speranza... che sia la volta buona per il cambiamento generale delle cose auspicato da tempo.
Basterebbe tuttavia spulciare Qoelet per ricordarsi che non c'è niente di nuovo sotto il sole. “E cu è? Nda quali squatra joca?” – ti chiederesti, sentendo pronunciare tale nome per sbaglio. I sepolcri vengono continuamente imbiancati, per tenere in vita, paradossalmente, quell'illusione salvifica che le vecchie ideologie, accostate ora a Che Guevara o ad Ezra Pound, ora al Gatto o alla Volpe, ora a Stanlio o ad Olio, siano la soluzione ai problemi attuali o alle battaglie del tempo. Tuttavia, pur aggrappandoti a tali vetuste reliquie, e sempre paradossalmente, ti sta bene, per la seconda volta in un anno, che la compagnia chiamata a decidere sulle sorti della tua vita sia un mix di Rosso e Nero, con una punta di Scudo Crociato per esaltare il sapore. Ti sta bene, perché tale cocktail ha a che fare con la politica, nominata o presa in considerazione soltanto per moda, per sentito dire o per rompere il ghiaccio prima di una rimpatriata con gli amici, prima di una notte a luci rosse con la persona amata (amata anche per soli dieci minuti, poi mai più), prima di parlare di calcio.
Aaaah! Mio caro web! Se ciò fosse accaduto nel mondo del pallone non l'avresti mai accettato! Fusione di Roma e Lazio per dar vita alla “Rozio” o alla “Lama”; o di Juve e Toro per dar vita alla “Juro” o alla “Tove”; o di Milan e Inter per dar vita alla “Miter” o alla “Inlan”. No, questo no. Avresti messo a ferro e fuoco interi centri urbani se la tua squadra del cuore si fosse amalgamata a quella rivale della medesima città. Figuriamoci che cosa avresti fatto se Juve e Milan si fossero unite nella “Julan” o nella “Mive”... avresti scatenato una guerra civile per ripristinare l'ordine, cioè la serie A, la Champions e la Uefa.
Per la politica no. Non avresti fatto nulla. La politica è un argomento rompi-ghiaccio, è un tema scalda-chiacchierata, una moda da manifestare in pensieri, parole, opere ed omissioni (per tua colpa sì, tua) allo scopo di sentirti accettato da qualcuno, considerato, chiamato dal citofono di casa per andare a fare jogging in riva al mare o una passeggiata al parco o per annebbiarti la mente con qualsiasi cosa rientri nel rito dire-fare-baciare-esalare-lettera-o-testamento.
No. Chissenefregadellapolitica. Per te, mio caro web, va bene tutto. Nuovo, vecchio, nuovo e vecchio, antico e venturo. Beatles e Rolling Stones, Don Camillo e Peppone, Cappuccetto Rosso e il Lupo. La politica può fare quel che vuole, chiamare chi vuole, votare come vuole, programmare il destino della gente nei tempi e nei momenti che giudica più propizi a se stessa, con gli espedienti mediatici che predilige. A meno che non si faccia largo imperiosamente una moda del momento che tu, mio caro web, sei obbligato a seguire altrimenti sei fuori, da tutto e da tutti. In questo caso, sì. La politica è di tuo gusto e se sgancia quattrini con progetti, raccomandazioni o bandi di qualsiasi natura è ancora più saporita e può farti tutte le promesse da marinaio che vuole.
Sei sempre il solito mio caro web. Come la bandiera, ti giri in base a dove tira il vento. Non importa a quale ideologia si rifaccia chi governa e se ormai ne abbia qualcuna. L'importante è che non sia sotto i riflettori della chiacchiera e del vortice degli argomenti preliminari per instaurare una relazione con l'altro. Può essere nuovo, vecchio, rifatto, imbiancato e meticcio. Basta che prometta e illuda con quello che vuoi sentirti dire, anche una volta sola. Poi, te ne dimentichi fino al prossimo giro di boa da chiacchiericcio, arroccandoti dietro Mao o Francisco Franco, a seconda della compagnia.
Se questo è lo schema di pensiero che sei solito operare, è evidente che chiunque fa politica, dipingendosi con il colore che preferisce, blu come il cielo o giallo come il sole, vive sempre la medesima favola... nella quale, mentre i molti scompaiono senza citazione alcuna, i protagonisti sperimentano il classico finale “E vissero felici e contenti”. Loro.

Medita web, medita...

giovedì 13 marzo 2014

DISsud: le foto 29

- di Saso Bellantone
"Monumento a Bernardino Telesio antistante al Teatro Comunale A. Rendano, Cosenza (SUD)".

martedì 11 marzo 2014

No alla fretta


- di Saso Bellantone
"A gatta prescialora fìci i gattareji orbi".

giovedì 6 marzo 2014

Pensieri visivi: VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA di Caspar David Friedrich


- di Saso Bellantone
Duemila piedi al di là dell'uomo e del tempo. Appoggiato al suo bastone, un uomo osserva il paesaggio circostante. Montagne. Nuvole. E nebbia. Mari di nebbia. È l'offuscamento che coinvolge l'essere umano e il mondo che abita... C'è pace, quassù. Qua sopra, in solitudine, è tutto diverso. Tutto sembra avere forma, definizione, ma non un perché. Neanche la solitudine stessa. L'essere umano si imbruttisce, degenera, si corrompe. Altera il mondo in cui vive, lo guasta, lo avvelena principalmente con la sua presenza, poi con i suoi concetti. Con le sue idee. Con i suoi sogni più remoti. Crede di poter dominare gli elementi, la materia e l'antimateria, invece non riesce a governare neanche se stesso. Secoli, millenni di evoluzione, di storia, ma ad ogni passo diventa più bestiale del passo precedente. Sempre più assoggettato ai propri istinti, narcisistici e di continuazione delle specie. Si camuffa da supereroe, giustiziere, redentore e garzone, mentre dentro di sé cura con estrema meticolosità il germe del capitalista, dell'arrogante, del tiranno. Ama sfruttare il pianeta, cedendo ai posteri le sfide per la sopravvivenza. Ama approfittare degli altri, per instaurare il proprio egoistico impero. Nato dal caso o dal nulla, attraversa il sentiero degli istanti edificando sulla polvere il proprio dominio provvisorio. Ma di quale regno l'essere umano crede di essere il sovrano? Della precarietà? O soltanto delle proprie egocentriche allucinazioni? Con il lessico della guerra, della violenza, della potenza, rende il mondo un baccano di voci stridenti dal dolore e dalla morte. Urla, che piegano la coscienza come ferro impotente sotto i colpi del martello dell'inevitabilità. Sono irrefrenabili queste grida. Fanno male, perché sono il frutto della banalità della vita. Vita, troppo presa alla leggera, intesa come un gioco oltre misura, fuori da ogni limite, finché non si cozza contro quel muro, la morte, dal quale non è più possibile cominciare il gioco da capo... Ma quassù c'è pace. Si sta bene. Niente grida, niente abusi né speculazione. Qua sopra non esiste sovranità alcuna, se non quella del silenzio e della solitudine. Qui tutto è trasparente, bello, malgrado la tragicità del panorama. Qui la voce della coscienza, come se fosse diventata un tutt'uno con lo scenario circostante, parla chiaro. Non siamo altro che nebbia, isolate bolle di fumo in cerca di una giustificazione o di un dio, destinate a diradarsi alla prima luce del sole.
Nel Viandante sul mare di nebbia, Caspar David Friedrich rappresenta quel che vede l'uomo della conoscenza dall'alto delle vette del pensiero. Sostenendosi alle conoscenze del momento e alle residue forze rimastegli, lo scenario che scorge è la nebbia, la fugacità e transitorietà delle cose. Anche la sua. Tutto appare privo di senso, ingiustificato, superfluo. Il mondo, l'umanità, la storia, l'accadere sembrano sprovvisti di una traiettoria nascosta, di una meta ultima portatrice del significato della vita. Vagando solitario tra le domande che lo affannano, l'essere umano incontra l'impossibilità, l'assenza di una risposta. Vede il fluire continuo delle cose e il loro imperturbabile divenire e si quieta. Sì, trova la pace. In fondo, l'insensatezza e l'informità dell'essere ha già un senso: il suo mero apparire, effimero e sublime. C'è del bello nell'accadere, ed è la malinconia della fugacità. Tutti gli enti riecheggiano tale tristezza ma soltanto l'essere umano l'ha dimenticata. Per questo motivo si angustia rendendo ogni sfera della vita una trincea senza fine. Anziché deturparsi diventando un soldato per nulla, l'essere umano dovrebbe riappropriarsi di questa amarezza, di questa bellezza, perché essa è la strada l'etica e la ragione. Come l'osservatore del dipinto, occorre fermarsi e contemplare l'esistente, scorgere quel frammento che accomuna gli enti: la mortalità. Soltanto così dal finito può nascere l'infinito e, come nebbia, aprirsi per lasciare che le cose dischiudano la propria verità. Dio, nulla, l'autenticità dell'esistente può essere garantita da entrambi. Anziché distorcersi con i mostri partoriti dalla sua follia, l'essere umano dovrebbe soltanto custodire questo segreto assieme ai suoi simili.

martedì 25 febbraio 2014

OCEANO MARE di Alessandro Baricco


- di Saso Bellantone
Un pittore. Una ragazzina. Un professore. Un prete. Una donna. Un naufrago. S'incontrano tutti alla locanda Almayer, una pensione a un passo dalla spiaggia e dal mare. Chi cerca l'inizio del mare, chi la fine, chi cerca in esso la vita, chi la dimenticanza, chi l'etica, chi la fede; ognuno a modo proprio cerca se stesso, cerca l'oceano del proprio mare, l'ispirazione, la libertà, il coraggio, l'intelletto, la comprensione, l'accettazione di essere quel che si è, così come si è. Come acque spinte da correnti diverse, le storie di questi personaggi s'incontrano e si scontrano, si mischiano e si distinguono per trovare nella differenza d'altri la propria identità e il proprio destino. È una ricerca folle, senza regole né stelle fisse né prospettive; un'esplorazione degli abissi del conscio e dell'inconscio, a caccia di quell'onda, la giusta onda, che possa dare un senso al passato e al futuro. Ma non si sa da dove parta né dove finisca quest'onda. Si è insicuri, impotenti, alla mercé del fato e del tempo e tuttavia curiosi, ingenui, pronti a cavalcarla. Pronti a lasciarsi condurre da essa verso l'infinito celato nel proprio finito, esattamente come quegli strani bambini che popolano la locanda, la cui presenza, nella camera di ognuno, è nel contempo insolita e ordinaria, quasi per rispolverare la propria essenza dimenticata. È un mistero la perla del proprio essere. Un segreto che nasconde al suo interno il vero volto di ognuno, invisibile e impalpabile, come l'uomo che abita la settima stanza e che nessuno ha ancora visto, la cui presenza tuttavia è assodata, chiara, indubitabile. Tutti sanno che l'uomo della settima stanza c'è. Tutti sanno che il senso della propria esistenza c'è. Tutti sanno che quello è il posto giusto in cui cercarlo. L'oceano, è nel mare ma quest'ultimo è ovunque. Persino dentro di sé.

In Oceano mare (Feltrinelli, 1993), Alessandro Baricco propone un'escursione nelle profondità dell'animo umano, chiarendo ciò che accomuna ciascuno di noi nel viaggio dell'esistenza: la ricerca di sé. Nella diversità di percorso intrapreso, accadono svariati incidenti e giochi del fato e tuttavia c'è un momento in cui il cammino di ognuno s'interseca e prosegue per brevi tratti con quello d'altri. Ignari dell'importanza di tali passeggiate, è proprio in questi istanti che si scorge se stessi e s'intraprende il sentiero del proprio destino. Non ci si rende conto della loro centralità perché è impossibile individuare quali e quanti sono questi incontri. Soltanto alcuni, o tutti? Come stabilirlo, dal momento che non si è mai perfettamente coscienti di sé, anzi, si è in cerca di sé? Quel che è chiaro, è che tali incontri sono fondamentali, essenziali, decisivi. Decidono per noi o noi stessi decidiamo inconsapevolmente per mezzo di essi. Quando poi le strade si sono ormai separate, noi torniamo in noi stessi, siamo già noi stessi e... continuiamo a non accorgercene, mai.  

mercoledì 19 febbraio 2014

sabato 15 febbraio 2014

L'ARTE PERIFERICA: intervista a Domenico Canale


Domenico Canale nasce a Reggio Calabria nel 1970. Inizia a studiare il violino classico nel 1980 per poi dedicarsi allo studio dell'amonica blues, strumento che ormai predilige. Nel suo modo di suonare si può riscontrare un'attenzione particolare la blues feeling, senza però rinunciare alle contaminazioni rock, funky e jazz, vera linfa vitale delle 12 battute. Durante I primi anni della sua carriera ha avuto modo di conoscere e di suonare con diversi musicisti di fama internazionale come Andy J. Forest, Freddy & The Screamers, David James, Sam Lay (uno dei grandi batteristi di Muddy Waters e di Paul Butterfield) e con gli italiani Gigi Cifarelli, Vince Vallicelli, Angelo Morabito, Pippo Guarnera, Blue Staff, Dino Triassi (amico e collega armonicista palermitano) e la partenopea Hell's Cobra Blue Band. Nel 2003 partecipa alla registrazione del secondo lavoro discografico del bluesman Angelo Morabito Shadows of Blues. Si è esibito in diverse rassegne e festival, tra le quali Vicenza Blues 2002, Barocco Blues Revue 2003, Peloro Blues Festival 2003, Etna Blues Festival 2007 e 2009 (dove con la sua band Bad Chili ha aperto rispettivamente agli artisti Joe Bonamassa e Ana Popovich), Crossroad Blues Festival 2010. Ha dato vita nel corso degli anni a diverse formazioni musicali per poi concentrarsi su quelle più impregnate dell'ormai famigerato “Effetto Chili”: Bad Chili – Blues, Rock e un pizzico di Funky - Classica formazione rock blues (voce, armonica, chitarra, basso e batteria) la cui grinta e il feeling restano impressi indelebilmente nella memoria di chi ascolta; Light Chili – Electro Acoustic Power Duo – padre e figlio, armonica, dobro, valigia di cartone, washboard e tanta passione per l'avventura, un duo da locali con il quale hanno partecipato al Ferrara Busker Festival 2010 e 2011, Capo D'Orlando Blues Festival 2010 e al Nasker Festival di Naso 2012. Sempre in quest'ultimo anno partecipa alla registrazione del singolo dei FilmNoir Voglio a
mmazzare un impiegato, dal quale viene poi tratto un video. Nel 2013 partecipa in qualità di ospite alla registrazione del disco Twin Rivers del chitarrista e cantante siciliano Marco Corrao, con il quale ha recentemente formato un duo impegnato a portare in giro per l'Italia la propria personalissima visione musicale.


Come ti sei avvicinato alla musica?
Come spesso accade, in maniera casuale: da bambino vidi un film in televisione su Niccolò Paganini, restai tremendamente affascinato dalla figura di un uomo che, nonostante fosse riuscito a raggiungere notorietà e successo, continuava a considerare se stesso solo in relazione alla musica.
Iniziai allora lo studio del violino per capire cosa c’era di così speciale in questo modo di vivere, di usare le note al posto delle parole per comunicare le emozioni in maniera fluida e senza filtri.
L’avventura della musica classica continuò per alcuni anni fino alla scoperta di un linguaggio e di uno strumento più immediati e più consoni al mio modo di ‘sentire’: il blues e l’armonica.

Che cos'è la musica?
Non credo esista una risposta univoca ed esauriente a questa domanda, e forse questa è la cosa più affascinante della musica: ognuno ha la sua risposta.
Per quanto mi riguarda è semplicemente una componente essenziale della vita, una necessità, un bisogno che va alimentato ed assecondato.

Cosa pensi riguardo al senso, allo scopo e agli usi della musica, sia a livello individuale sia sociale, nel mondo contemporaneo?
La musica, più di altre forme d’arte, ha il dono di educare alla bellezza.
Sono sempre stato dell’idea che molti dei problemi presenti nella nostra società non esisterebbero se si educassero i piccoli abitanti del pianeta allo studio ed alla pratica della musica.
Equilibrio, armonia, senso del tempo, coesistenza di più voci (argomenti) nello stesso discorso, rispetto dell’altro, ascolto, importanza del silenzio.
Questi sono solo alcuni dei valori che la musica trasferisce in chi la pratica e la studia. E lo fa con estrema naturalezza.

I Greci impiegavano il termine “poiein” per significare “creazione”. Poi questa parola, nel corso del tempo, si è trasformata di linguaggio in linguaggio, fino a diventare in italiano per esempio , la parola “poesia”. Quando un poeta comunica se stesso, cioè scrive una poesia, è un creatore di mondi, riproduce il mondo, crea nel senso pieno della parola. Puoi definire i tuoi brani “poesie”, opere d'arte, creazioni nel senso pieno del termine?
I brani che suono in pubblico sono spesso “poesie maledette”, ma non sono miei.
Basta ascoltare Mr. Son House in “Death Letter” per capire quanto una canzone possa riuscire ad essere profonda, evocativa, triste e sarcastica al tempo stesso.
Da quando ho iniziato a conoscere e vivere il blues raramente ho sentito l’esigenza di scrivere canzoni. Affascinato dalle parole di improbabili antieroi, ragazzi e uomini di 60-80 anni fa, ho deciso di reinterpretare i loro brani mettendo in pratica spesso un’operazione di ri-scrittura musicale. E anche questo è “creazione”, secondo me.

Perché suoni? Perché senti l'esigenza di comunicare mediante la musica?
Suonare è una necessità. Lo è per me, come lo è per tanti colleghi musicisti di mia conoscenza.
E’ una cosa che non ti aspetti, all’inizio suoni perché ti fa stare bene e per avere la possibilità di esprimerti in maniera diversa, poi passa il tempo e ti rendi conto che hai sempre più cose da dire, capisci che quello che prima era un gran bel divertimento adesso è un modo di essere, di sentire e di rapportarsi agli altri.
Soprattutto capisci che, grazie alla musica, riesci a trasmettere sensazioni intense e personali a persone che non hai mai visto in vita tua.

Che cosa raccontano i tuoi brani?
Le canzoni spesso non sono altro che storie, storie comuni che, grazie alla musica, assumono forma poetica.
Personalmente preferisco raccontare me stesso e il mio modo di vedere ciò che mi circonda.
Ammetto di riuscire a farlo con molta più facilità grazie all’armonica che non con le parole.

Un artista può sentirsi tale senza i pubblici?
Per come la vedo io non è possibile. Ho sempre considerato il pubblico come la componente più importante della band. Quando riesci a comunicare veramente si forma un legame tra te e chi ti ascolta che ti permette di esprimerti al meglio, contemporaneamente nasce un dialogo con il pubblico e, secondo le risposte che quest’ultimo fornisce, il concerto prende forma sempre in maniera diversa.

Che cosa significa oggi vivere come un artista e vivere esclusivamente della propria arte? Quali sacrifici comporta accettare questo incarico, questa missione?
Non è il mio caso, quando ero molto giovane mi ritrovai genitore di un bellissimo bambino, decisi allora di mettere in stand-by (che sofferenza) la mia vita musicale per trovare un lavoro… che non mi sarebbe piaciuto!
La pausa è durata poco, un anno o giù di lì, visto che avevo già realizzato di non poter esistere a prescindere dalla musica, e adesso mi ritrovo a suonare, lavorare, non dormire e soprattutto, ad avere un figlio (sì proprio quello, il frutto del peccato) che ha deciso da un paio di anni di vivere da solo e solo grazie alla musica.
I sacrifici ci sono, non sempre si ha la sicurezza “del pasto caldo” ed è difficile fare programmi a lunga scadenza. Ma, quando lo guardo, vedo una persona felice della propria vita… e che vuoi di più?

Cosa ti spinge a restare nel sud?
Mi piace questa terra, le sue contraddizioni, il suo sole.
Mi piace pensare che ci sono realtà musicali di tutto rispetto che non aspettano altro che essere ascoltate.
Mi piace sapere che il feeling con il quale qui si suonano certi generi non sia così facile da trovare in posti in cui è più facile farsi notare.
Mi piace pensare che, grazie all’arte e alla musica, si possa contribuire a dare una ragione in più per restare.

Puoi definirti un sognatore? Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Siamo tutti sognatori, anche se non tutti riescono a prenderne atto.
Il sogno è il motore che ci spinge a fare cose folli e per questo bellissime!
Il mio sogno? Te ne dico uno dei tanti: organizzare nella mia città un festival internazionale di musica da strada che duri almeno un paio di settimane!
Ho partecipato ad alcuni di questi festival e l’atmosfera che si respira è meravigliosa, i cittadini sono meravigliosi. Mi piacerebbe importare nella mia città la gioia di vivere che ho sperimentato altrove.

Chi vuole saperne di più su di te e sulla tua musica, dove può rivolgersi?
Basta fare una ricerca su facebook, reverbnation e youtube per ascoltare e vedere all’opera i fortunati possessori del famigerato Chili Effect!
Le parole chiave sono: Bad Chili – Light Chili – Travelling Blues Duo


oppure può trovarmi su:
o scrivermi a:
domenico.canale@gmail.com

Alcune parole per i giovani.
Prendete uno strumento in mano, strimpellateci qualcosa, convincete altri amici a fare lo stesso.
I ricordi migliori che ho della mia giovinezza sono per la maggior parte legati alla musica.
Grazie alla musica ho conosciuto gente meravigliosa, ho vissuto esperienze al limite dell’incredibile, mi sono divertito in maniera diversa eppure più intensa, ho assaporato l’avventura del musicista di strada, ho visto luoghi che non avrei mai pensato di raggiungere… grazie alla musica ho vissuto in maniera diversa!
Qualunque cosa vogliate fare nella vita, la musica ne può fare parte e vi farà stare bene!