- di Saso Bellantone
Nato a Reggio Calabria, Ivan
Rocco Iannì si dedica alla creazione artistica fin da giovane, utilizzando
diversi tecniche e stili. Frequenta il Liceo Artistico a Reggio Calabria, con
il quale partecipa al concorso artistico “La Grande Guerra”. Finiti gli studi,
partecipa a un concorso d’arte organizzato da un’associazione reggina,
intitolato “La donazione degli organi”. Attualmente, vive a Bagnara.
Come ti sei avvicinato all’arte?
Fin da bambino ho sempre avuto,
più che una voglia artistica, una voglia di sperimentare. Quando andavo a scuola
elementare si parlava di San Rocco ed io l’ho disegnato sul quaderno senza
neanche guardarlo. Ricordo di averlo visto solo una volta a Cetraro e in quell’occasione
dimostrai di avere una grande immaginazione e memoria. La maestra e i miei
genitori sono rimasti stupefatti perché ricordavo tutti i particolari e mi
hanno spinto a frequentare il Liceo artistico. Il Liceo più che un aiuto è
stata una distrazione. Però grazie al Liceo ho avuto modo di imparare le
tecniche, la modellazione, le strutture in gesso e ho avuto modo di appassionarmi
sempre di più all’arte. In che senso il Liceo è stato una distrazione? Quando
si pensa a un artista si pensa a un Leonardo o a un Michelangelo, a un qualcuno
insomma che è abbastanza possente di immaginazione, di arte e via dicendo, e
non a un ragazzo che con un palloncino pieno di pittura macchia un muro. Però
dagli un nome a questo ragazzo e anche lui diventerà qualcuno. Questo scoraggia
molti ragazzi che hanno molta qualità. Ma in alcuni casi lo fanno anche gli
insegnanti. A un ragazzo che sa tirare una linea dritta gli si dice che è un
artista, se invece la fa storta – e cioè molto più artistica di una linea
dritta – allora gli si dice che non sa disegnare. In questo senso il Liceo è
stato una distrazione. Per fortuna, però frequentandolo ho anche imparato
qualcosa. Nel corso della crescita disegnavo quando mi veniva chiesto oppure
quando avevo un’ispirazione talmente forte da istigarmi a farlo. Per esempio se
vedevo una lumaca, pensandoci continuamente prendevo matita, penna e pittura e
giocavo sull’idea della lumaca incontrata. Spesso, però, quello che mi frenava
era il giudizio, la comprensione di quello che realizzavo. Allora preferivo
andare a giocare con gli amici anziché restare a casa per creare. Tuttavia, non
riuscivo a frenare il mio istinto di creare o meglio di fantasticare con le
cose. Se per esempio andavo in spiaggia con gli amici, prendevo delle pietre e
facevo un disegno sulla sabbia. Quindi, pur frenando la mia passione la
esprimevo in una maniera diversa. Col tempo questa passione si è evoluta. È
passata dal voler vedere al vedere per voler pensare. Cioè una volta finito un
disegno, poi mi fermo a guardarlo, immagino altre cose dentro quel disegno e le
metto dentro. In un certo senso non è solo uno sfogo mentale ma anche uno
studio. Io riesco a dare un titolo a un disegno soltanto dopo averlo visto, non
quando lo sto realizzando. Per esempio questo dipinto che abbiamo davanti
rappresenta il passaggio dall’infanzia alla maturità. Sono partito disegnando
un bambino poi prima di finirlo, dopo aver messo qualche sfumatura e
ombreggiatura, ho aggiunto la figura della donna. Il bambino vede sott’acqua
questa donna nuda e i suoi occhi non sono più dolcissimi occhi ma due pesci, i
quali simboleggiano il passaggio dall’infanzia alla maturità, simboleggiato
anche da una bolla dove ci sono due gambe aperte e avviene un’erezione,
provocata appunto dal vedere una sirena sott’acqua. I due pesci pagliaccio
simboleggiano invece l’infantilità. I pesci disturbano la sirena dal suo sonno,
uno le mordicchia la coda l’altro gioca con lei. Poi c’è una grande maschera
che rappresenta la fragilità che cade dal bambino, appunto, con la maturità.
Quindi, una volta finita l’opera ricordo le sensazioni che avevo mentre la
realizzavo e quest’ultime mi suggeriscono il senso dell’opera e il suo titolo.
Che cos’è l’arte?
Non giudico un’opera pittorica
arte, la parola stessa arte vuol dire “fare qualcosa”. Dipingere, disegnare
sono tecniche artistiche. Per me l’arte è fare o rifare qualcosa con quello che
si ha disposizione o sotto mano. Per esempio, quando ero piccolo mi trovavo in
Villa Comunale assieme a mia sorella, e lei si era accorta che prendendo dei
semi e dei rametti avevo fatto un’ape. L’arte è la capacità di guardare un
oggetto e vederne un altro, oppure di prendere un oggetto e di trasformarlo o
di ripensarlo mostrando per suo tramite qualcos’altro, ricontestualizzarlo. Per
esempio, prendere uno spremiagrumi e farlo diventare un centro tavola o una
trottola. L’arte è la comunicazione che avviene esponendo qualcosa. È la
traduzione di alcune sensazioni, di alcuni pensieri che inconsciamente si
conoscono ma non si hanno ben chiari. Quindi è la comunicazione chiara di
quelle che sono le cose astratte, i pensieri, le sensazioni, le immaginazioni.
Un artista naturalmente ha chiaro che cosa vuole comunicare con la sua opera
rispetto a un osservatore che la vede per la prima volta. Naturalmente un
artista può preferire una tecnica rispetto a un’altra o più di una, un
linguaggio rispetto a un altro o più di uno, ma quando fa arte comunica sempre
qualcosa ad altri.
Cosa pensi riguardo al senso,
allo scopo e agli usi dell’arte, sia a livello individuale sia sociale, nel
mondo contemporaneo?
Ogni cosa, dunque anche l’arte,
può essere osservata da diversi punti di vista. Ogni persona trovandosi a
ricevere comunicazioni da opere d’arte prova sensazioni comuni a tutti, ma in
un modo diverso. L’arte dovrebbe essere uguale per tutti: dovrebbe comunicare
la stessa cosa a tutti in modo diverso, perché ognuno ha la sua esperienza, i
suoi ricordi, i suoi pensieri e i suoi modi di percepire le cose. C’è chi usa
l’arte per accomunare tutti su alcune sensazioni, pur provate in maniera
diversa, c’è invece chi la usa per manipolare gli altri e le loro stesse
sensazioni. Quindi, c’è chi la usa in maniera positiva e chi la usa in maniera
negativa. Per esempio, nel markentig si usa l’arte in modo negativo. La
pubblicità è manipolante. Per vendere una macchina, per esempio, si mette di
fronte alla macchina una donna che si comporta in una precisa maniera per
indurti, subliminalmente, ad acquistare la macchina. Ma la manipolazione
avviene anche per mezzo di colori, forme, oggetti, tutto quello che può tornare
utile per lanciare messaggi subliminali e indurre gli altri a comportarsi in un
preciso modo anziché un altro. Io uso l’arte per comunicare l’arte stessa, non
per lanciare messaggi subliminali o per manipolare la gente.
I Greci impiegavano il termine
“poiein” per significare “creazione”. Poi questa parola, nel corso del tempo,
si è trasformata di linguaggio in linguaggio, fino a diventare in italiano per
esempio, la parola “poesia”. Quando un poeta comunica se stesso, cioè scrive
una poesia, è un creatore di mondi, riproduce il mondo, crea nel senso pieno
della parola. Puoi definire le tue opere “poesie”, opere d'arte, creazioni nel
senso pieno del termine?
Le mie opere, se con creazione
intendiamo qualcosa che nasce dal nulla, non sono creazioni. La creazione dal
nulla non esiste. Ogni cosa nasce sempre da qualcos’altro. Ogni pensiero o
fatto materiale è relativo, nasce da altro che ha istigato quella cosa. Se
intendiamo creazione nel senso di modifica di qualcos’altro, allora le mie
opere possono essere intese come delle creazioni. Dipende dalla prospettiva con
cui si guarda o si rappresenta qualcosa o la si usa, per farla diventare
qualcos’altro e manifestarsi come una creazione, cioè come un’opera d’arte. A
scuola per esempio i professori ci mettevano sempre in posizione frontale
rispetto a un vaso sul tavolo che dovevamo rappresentare. Io cambiavo
prospettiva, mi spostavo finché, per esempio, al primo vaso non si accostava un
secondo e tra i due non veniva fuori un volto. Per essere più precisi, quindi,
con la mia arte non creo nulla, offro soltanto agli altri diverse prospettive
con cui osservare pensieri, sensazioni, oggetti e quant’altro.
Perché fai arte? Perché senti
l'esigenza di comunicare mediante l'arte?
Se nessuno mi avesse detto che
esiste l’arte, la pittura, Leonardo, gli artisti e via dicendo, avrei
continuato a disegnare, a raccogliere rametti al parco per poi produrre
qualcosa e a fare tante altre cose. Sento l’esigenza di fare arte perché se non
facessi niente è come se non esistessi. Ognuno di noi per poter dire di
esistere deve fare qualcosa. Io sento l’esigenza di fare arte, di tradurre in
arte quel che mi accade o mi passa per la testa ma anche quel che mi viene
chiesto da altri. Come ho spiegato prima, nel momento in cui creo un dipinto
per esempio, non mi pongo il problema di comunicare ma mi lascio andare nella creazione.
Dopodiché, osservo l’opera e comincio a ritoccarla, ad aggiungere o a togliere
degli elementi, ricordando le sensazioni che avevo mentre lo dipingevo e,
quindi, a comunicare dei significati precisi con quell’opera. Quindi, la
comunicazione è indipendente nel momento creativo. Certamente, chi vedrà immaginerà
per forza qualcosa guardando una mia opera. A volte, mi capita di spiegare un
mio dipinto a qualcuno e questi mi dice di ritrovare i significati appena
spiegati. Come avviene leggendo un libro, e cioè che tutti usano le stesse
parole ma comprendono in modo proprio il significato di quello che hanno appena
letto, lo stesso avviene con l’arte. I colori, le forme, i soggetti sono uguali
ma ognuno poi li comprende a modo proprio.
Che cosa racconti con la tua
arte?
Le sensazioni, quello che penso
in quel momento. È come una persona che vede una cascata o una spiaggia e
comincia a pensare oppure quando torna a casa, dagli amici o dai parenti e ha
il desiderio di raccontare quello che ha visto. Quindi io racconto pensieri o
emozioni suscitati da quel che vedo realmente o in maniera astratta.
Naturalmente li racconto in maniera inconscia altrimenti rischierei di
somigliare a coloro che usano l’arte per manipolare gli altri.
Un artista può sentirsi tale
senza i pubblici?
Sì. All’inizio per esempio non
mostravo le mie opere per timore di quello che pensa la gente. Poi ho capito
che occorre che gli altri vedano quello che fai. Magari, non mostri loro tutto.
Qualcosa la tieni per te, chiusa nel cassetto. Naturalmente mi farebbe piacere
che gli altri vedessero le mie opere ma non è il nome o il pubblico che ti
rende un artista. Ovviamente se centinaia di persone passassero dritte davanti
a un mia opera, mi dispiacerebbe. Se tra queste persone, invece, una si
fermasse e restasse a guardare la mia opera, provando delle emozioni, mi
farebbe molto piacere, e ciò mi incoraggerebbe nella mia arte.
Che cosa significa oggi vivere
come un artista e vivere esclusivamente della propria arte? Quali sacrifici
comporta accettare questo incarico, questa missione?
In un certo senso, l’artista è un
messaggero, qualcuno che vuole dire delle cose, che si esprime e che riesce a
far capire ad altri quello che vuol dire. In questo senso, Leonardo Da Vinci,
per esempio, non era abbastanza artista. Aveva cioè lo spirito del messaggero
ma produceva la sua arte in maniera tale da non farla capire alla sua società. È
vero anche che la società in cui viveva gli tagliava le gambe in partenza,
perché non voleva che disegnasse quel che lui voleva disegnare veramente. Come
lui, anche oggi la società in un certo senso ti proibisce di esprimere liberamente
la tua arte, innanzitutto sul piano economico. Le tele, i colori, i pennelli
costano tanto. Per vendere un quadro devi pagare delle tasse e via dicendo. Insomma
ci sono tante di quelle sconvenienze economiche che, se ci si sofferma un
attimo a considerarle, si decide di non fare l’artista. La società vuole che
tutti la pensino nello stesso modo, non vuole pensiero libero né arte libera.
Di conseguenza in una società del genere non si può vivere della propria arte, non
si può vivere proprio, si può soltanto sopravvivere. Per questo motivo, finché
lavoravo cercavo di risparmiare per poter acquistare tele, pennelli e quant’altro.
Oggi che sto cercando un lavoro devo accontentarmi di quello che ho. È La
società che ti spinge a fare tanti sacrifici ma non ti aiuta mai, specialmente
se sei un artista.
Cosa ti spinge a restare nel
sud?
La società. Quando lavoro al nord
o all’estero, ogni tanto torno qui a trovare i miei parenti. Quando il lavoro
non ce l’ho e non riesco a trovarlo, naturalmente, torno qui, perché non ho
altre persone a cui appoggiarmi se non la mia famiglia. Se trovassi lavoro qui
e mi sentissi a mio agio con la società, cioè se quest’ultima mi permettesse di
esprimermi al massimo, allora resterei. Non trovando il lavoro qua, dunque non
potendo vivere liberamente e non potendo esprimermi in toto, preferirei
spostarmi là dove c’è il lavoro, e cioè dove posso essere indipendente e posso esprimermi
artisticamente in maniera completa.
Puoi definirti un sognatore?
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Se per sognatore s’intende chi ha soltanto sogni nel cassetto, allora non
definisco tale, vado più per istinto che per sogni. Se invece s’intende chi
immagina molto, allora sì. Naturalmente come tutti ho un sogno nel cassetto ma
nel mio caso è quello di un’indipendenza economica costante, che mi consenta di
portare avanti la mia arte.
Chi vuole seguirti e saperne un po’ di più sulla tua arte, dove può
rivolgersi?
Alcune parole per i
giovanissimi.
Fate tutto quello che volete, pensate,
giocate, divertitevi più che potete. Lasciate stare tutto quello che vi dicono gli
altri e se dovete disobbedire fatelo anche, però ragionate sempre su quello che
fate, non agite mai senza pensare. Seguite le vostre doti naturali e non
lasciatevi scoraggiare da nessuno. Avete la vita innanzi, vivetela tutta
seguendo le vostre doti, il vostro pensiero e la vostra libertà. Siate felici.