- di Saso Bellantone
Musicista, musicoterapeuta compositore, produttore musicale e strumentista (pianoforte, tastiere, chitarra classica ed acustica, lira calabrese, fisarmonica, percussioni, fiati e corde popolari), Mario Lo Cascio nasce a Pignola in Basilicata il 24 ottobre del 1964 e attualmente vive a Bagnara Calabra. Ha suonato, per citarne alcuni, con Phaleg (Re Niliu’s factory), Capueira Chamarel, Marikuyè, Walking trees, Fabulanova. Attualmente suona con i Mattanza e i Discanto. Ha pubblicato con i Discanto l’album Chista Maìa (2005) e come solista l’album Luce Buia (2010). Ha scritto musiche per cortometraggi, televisione e teatro. Ha partecipato a diverse produzioni teatrali e spettacoli tra cui Jesus Christ Superstar (regia di Ivo Monte – compagnia Opera Broadway). È autore ed interprete delle musiche di Pidocchio o Napoleone con Valerio Strati, Happening con Antonio Ferrante, La violenza di Giuseppe Fava, regia di Luciano Pensabene, Raskòlnikov tratto da “Delitto e castigo”, per la regia di Ernesto Orrico e Valerio Strati, della compagnia Carro di Tespi, interprete e co-autore de Il suono e la parola con Mimmo Martino e interprete in Cantu da Passioni con i Mattanza, tutti attualmente in produzione.
Come ti sei avvicinato alla musica?
E’ una passione che risale all’infanzia e che ha avuto un percorso spesso accidentato, sicuramente disordinato ma bellissimo; passato attraverso studi diversi (pochi), generi diversi suonati, posti di ogni genere, stimolanti collaborazioni; un divenire mai domo, una ricerca ancora ricca di dubbi, spinta dagli accadimenti, dalle cose che trovi sulla strada e che ti suggeriscono di volta in volta i progetti da abbracciare, i generi, persino gli strumenti da utilizzare. Ma soprattutto un percorso di consapevolezza che ha indicato con chiarezza le scelte da fare, prima fra tutte quella di vivere di musica, che è un lavoro e non è solo quello, quando sai che è la tua strada; il pianoforte che è come casa tua e gli altri che sono come quando intraprendi un viaggio senza una meta precisa. A volte pensi che è la musica che si è avvicinata a te, a volte hai l’impressione forte che sono in tanti, da qualche parte, a suggerirti una nota dopo l’altra, che c’è qualcosa di più grande dietro quello che riesci a vedere o a sentire e che il viaggio deve continuare per questo.
Come avviene il tuo passaggio dalle band a questa nuova esperienza da solista?
In realtà è un passaggio non ancora avvenuto, anzitutto perché i gruppi occupano ancora un posto importantissimo nella mia attività musicale; in secondo luogo perché anche il live di quest’ultima esperienza è pensato e desiderato in gruppo (la formazione dei prossimi appuntamenti di Luce buia prevede pianoforte, violoncello, violino e percussioni). Questo naturalmente non esclude la possibilità e la voglia di suonare da solo, quando ce ne sarà l’occasione; quello che è certo è che sono due esperienze veramente diverse. Realizzare questo disco da solo è stato faticosissimo, proprio dal punto di vista musicale, credo avvenga perché è solo attraverso di te, le tue mani che deve passare tutto quanto, tutta l’emozione, tutto il senso, tutto nel tuo suono, è una responsabilità che si sente davvero tanto; e poi è innegabile che il gruppo ti aiuta tanto, soprattutto quando suoni con persone che sentono come te e che ti rendono tutto leggero. Di certo questo fiume partito con Luce buia e con il teatro è stato per molto tempo un fiume sotterraneo ma che mostra segni e… sogni di rapide e cascate alla luce del sole.
Qual è l’essenza della musica? Cosa pensi riguardo al senso, allo scopo e agli usi della musica sia a livello individuale sia sociale?
Se domani un evento terribile e straordinario ci riportasse alle origini di tutto, assolutamente privi di ogni cosa, di ogni oggetto materiale, nudi, padroni solo del nostro corpo, quante delle cose alle quali diamo una grandissima importanza non avrebbero di colpo più senso? E cosa rimarrebbe nella nostra vita? La nostra immaginazione, i pensieri e la voce; potremmo ancora ascoltare (o forse potremmo tornare ad ascoltare) il rumore del vento, dell’acqua; potremmo ancora cantare una ninna nanna ai nostri bambini, cos’altro? L’emozione, i sentimenti, i ricordi…, tutto materiale buono per creare melodie da cantare, storie da raccontare, da disegnare col dito per terra o da interpretare come attori. Io non so qual è l’essenza della musica, ma intuisco che è qualcosa di molto più importante e grande di quanto riusciamo a percepire. È qualcosa che ci appartiene molto più intimamente di quanto immaginiamo; qualcosa a cui apparteniamo come note e silenzi sul pentagramma di una sinfonia più grande. E quindi lo scopo della musica è forse quello di tenere vivo il ricordo delle origini, quello di assegnare un posto degno ai sentimenti, di coltivare l’emozione, di far germogliare pensieri, di conservare insomma le cose che resteranno alla fine. La musica è ciò che ci permette di tenere in equilibrio le cose tra il bellissimo caos delle emozioni e la preziosa disciplina dei pensieri e quindi di trovare la strada della consapevolezza. Questo comporta un grande senso di responsabilità nel lavorare con la musica (lo dico come musicista e come musicoterapeuta): l’utilizzo di un suono, di un rumore, di un brano piuttosto che un altro cambia tutto per chi ascolta, può influenzarne la mente e il cuore, bisogna tenerlo presente. Non amo l’intrattenimento, né quando l’arte viene asservita all’intrattenimento, la devastazione più grande provocata dalla sub-cultura dilagante di certi programmi televisivi e il più grande rischio per i ragazzi che si avvicinano alla musica è quello di anteporre l’apparire, il successo (che non significa nulla), l’obiettivo di occupare un posto nel bestiario della tv alla sacralità dell’arte di cui siamo messaggeri. Naturalmente anche nell’intrattenimento possono essere comunicate emozioni importanti, questo dipende dalle intenzioni di chi suona e dal grado di consapevolezza di chi ascolta, la musica può anche essere leggerezza ma non superficialità.
I Greci impiegavano il termine “poiein” per significare “creazione”. Poi questa parola, nel corso del tempo si è trasformata di linguaggio in linguaggio fino a diventare, in italiano ad esempio, la parola “poesia”. Quando un poeta comunica se stesso, cioè scrive una poesia, è un creatore di mondi, riproduce il mondo, crea nel senso pieno della parola. In questo senso, consideri “poesia” la tua musica? In altri termini, intendi la tua musica nel senso di arte, di creazione?
Ho forse, in parte, già risposto a questa domanda, ma non posso e non so dire se c’è poesia in quello che faccio. Spero tanto di sì, spero che chi ascolta la mia musica si senta sollecitato a domandarsi delle cose, che senta le emozioni che si muovono. Partecipiamo tutti, continuamente, alla creazione, ma non tutto va nella stessa direzione, per fortuna. Non so dire neanche quanto passa di noi stessi in ciò che facciamo né quanto sia importante; musica e parole fanno risuonare in modo diverso le orecchie e il sentimento di ognuno, a prescindere, spesso, da ciò che ha ispirato l’autore, ma credo che il punto non sia tanto il cosa, nello specifico, si muove dentro di noi ma il fatto che qualcosa si muova, avviando un percorso di consapevolezza.
Perché componi? Perché senti l’esigenza di comunicare mediante l’arte della musica?
Una volta, in un momento in cui le faccende familiari giornaliere (sacrosante) erano particolarmente pressanti da non lasciarmi spazio per la musica, ho pensato e ho detto a chi mi stava vicino che mi sentivo perduto, che senza suonare era un casino, che non ce l’avrei fatta. Suonare è l’aria che respiro, è ciò che mi permette di essere quello che sono, è ciò che dà un senso alle cose. Come possiamo pensare di esistere per dormire, per il bar la mattina, per la spesa, il pranzo, i soldi, i panni da stirare, i particolari che fanno chic la casa, la partita dell’Inter, lo shopping, la tv, facebook e la pizza al sabato con gli amici?! Se non mettiamo il sentimento in tutto quello che facciamo, se non ci domandiamo il perché, se non ascoltiamo la voce dell’emozione che ci guida anche nel più piccolo gesto quotidiano, allora forse ci stiamo solo affannando a riempire un vuoto, un vuoto enorme. Credo che l’esigenza di comunicare appartenga a tutte le persone, per poter vivere pienamente la propria vita. Riuscire a farlo (o almeno avere la possibilità di provarci), con l’arte a cui apparteniamo, è forse un privilegio? Non lo so. Ho sempre pensato che se ognuno potesse fare nella vita ciò per cui è venuto al mondo, il mondo sarebbe migliore.
Che cosa racconti con la tua musica?
Qualcuno ha detto che qualunque cosa diciamo, parliamo sempre di noi stessi. Forse è vero, ma non è affatto riduttivo. Dentro noi stessi c’è tutta la strada che abbiamo percorso, tutte le persone che hanno fatto parte della nostra vita, tutti i sentimenti, i dolori, le gioie, tutto ciò che hanno visto i nostri occhi, udito le orecchie, toccato le mani; dentro noi stessi c’è tutto il mondo. La musica nasce sotto le dita, mentre gli occhi e le orecchie della mente vanno a fissarsi su qualcosa, assorti. La musica che compongo è mia quanto di chi l’ascolta, allora voglio rispondere con le parole e i segni scritti da alcune persone del pubblico alla presentazione di “Luce buia”: «riescono a dondolare, come fossero un’altalena, il nostro umore, le note………ti conducono da un prato verde alle onde di un mare in tempesta,………ti prendono per mano e si curano di te,……in attesa di un evento e sento il freddo e la ricerca di calore,………una donna guarda da una finestra, ricerca nel passato, nella memoria,……» «la preparazione, l’attesa, il valore di ogni attimo, la bellezza……delle vibrazioni che producono le cose,……la bellezza esplosiva della primavera, della natura che sboccia dentro e fuori e che ci insegna a lasciarci andare,………la luce dell’amore e delle emozioni, che squarcia le tenebre delle distanze e dell’abbandono…».
Un artista porta alla luce quei particolari dell’esistenza ai quali, nella quotidianità, non facciamo caso. Se però è privo di lettori, di ascoltatori, di pubblici, un artista può sentirsi tale?
Penso che un artista non si senta mai tale. Fa quello che sente senza preoccuparsi della destinazione di ciò che scaturisce dal suo lavoro, a meno che non si tratti di qualcosa di commissionato, ad esempio per il teatro o altro, ma anche in questo caso, il momento della creazione non è influenzato dal pensare a chi l’ascolterà. Si tratta di due momenti separati, molto diversi, quello della creazione e quello della performance, che deve essere come un dono fatto a chi ascolta. Io non sono un sostenitore dell’immagine dell’artista solitario sulla torre d’avorio: la musica è comunicazione ed è quindi naturale l’obiettivo e il desiderio di confrontarsi con il pubblico; è un momento importante e magico che ci mette in contatto con le nostre emozioni più profonde, che fa venire allo scoperto le nostre insicurezze e tutte, tutte le mancanze del lavoro di preparazione (se ce ne sono). Certo è anche il momento in cui bisogna tenere a freno la voglia di apparire, di sentirsi arrivati e importanti, e quando hai davanti tanta gente che ti ascolta non è facile per nessuno, ma va fatto, come un esercizio, altrimenti si perde di vista ciò per cui ti trovi lì e che è veramente importante. Nella creazione quanto nella performance, una buona predisposizione credo possa essere il pensiero di doversi rivolgere sempre ai bambini, alla loro semplicità e innocenza.
Che cosa significa oggi vivere come un artista e vivere esclusivamente della propria arte? Quali sacrifici comporta accettare questo incarico, questa missione?
Questa è la cosa che, nei secoli, credo sia rimasta tale e quale. Ho l’impressione che chi cerca soldi e successo orienta il suo lavoro in quella direzione (e naturalmente non è da biasimare, se non per le conseguenze globali che questo può avere sui fruitori dello spettacolo in generale, sulle loro possibilità e capacità di distinguere l’arte dall’intrattenimento fine a se stesso, e quindi di preservare la propria mente ed il proprio cuore dalle cose futili). L’arte non ti fa sconti, ti chiede la coerenza delle intenzioni, di non tradire i sogni, ti chiede l’impegno civile e quello dello spirito, e di questi tempi tutto questo non paga o paga poco. I sacrifici si fanno, ma con piacere, perché tutti i soldi del mondo non possono darti neanche una briciola della bellezza che scaturisce da questa missione, per noi stessi e per quelli che ci stanno vicino. Nei due cd pubblicati finora, ho ringraziato per prima la Provvidenza che ci spinge su questa strada e non ci fa mancare il necessario.
Che cosa ti spinge a restare nel Sud?
Tante cose semplici e importanti, come gli affetti familiari e di moltissimi amici. Sono calabrese d’adozione, e pur essendo molto legato alla Basilicata (mia regione d’origine), in buona parte, considero la Calabria come la mia terra, e proprio il mio lavoro, con la musica e la musicoterapia, mi ha aiutato a conoscerla meglio (con un po’ di presunzione aggiungo meglio di tanti calabresi). Qualche tempo fa ho partecipato a una riunione di musicisti reggini dove si lamentava appunto l’impossibilità di lavorare nella propria terra, perché spesso vengono preferiti artisti di diversa provenienza geografica; non condivido molto questo discorso, un musicista per la natura di quello che fa, spesso deve spostarsi in Italia o anche all’estero, la musica viaggia per definizione, guai se non fosse così, non è come l’acqua minerale che ognuno potrebbe bersi la sua. L’arte, la cultura vive dello scambio e del confronto con altra arte e altra cultura, così si alimenta, si evolve. Altro discorso è la condizione della nostra terra, anzi direi soprattutto della nostra gente e del modo di vivere che si è scelto, con il quale alla fine, facciamo tutti molta fatica. Ho avuto modo di dire, e continuo a pensare, che questa è terra di missione e che, consapevolmente, si rimane solo per quello, consapevolmente non so quanti scelgono o sceglierebbero questo posto per il piacere di starci, diciamo che restiamo qui perché non smettiamo mai di sognarcelo come un posto migliore.
Rendendo più evidenti gli stralci di vita che passano inosservati dai più, in un certo senso un artista si mostra un sognatore. Che genere di sognatore? Chi è capace di concretizzare i sogni che vede – e che gli altri non vedono, presi dal tempo quotidiano – e di comunicarli agli altri. Attraverso la tua musica hai avuto la possibilità di realizzare tanti di questi piccoli sogni: esiste in te, però, come si suol dire, un sogno nel cassetto che ancora rincorri, che ancora desideri realizzare?
Ricollegandoci al discorso della domanda precedente, sogno questa terra migliore di adesso, ma sogno anche di viaggiare ancora tanto. Sogno di vivere in campagna, ma non troppo lontano dal mare. Sogno di avere più tempo per le persone care, gli amici, più tempo per cercare e studiare le mie conchiglie (che colleziono). Sogno un bel film con la mia musica e un pianoforte a coda. Sogno di riuscire a tirare su i miei figli come brave persone e di scrivere per la donna che amo la canzone più bella del mondo. Sogno e prego per un mondo più giusto e spero che la mia musica riesca a dare alla causa un piccolo contributo. Sogno perché il desiderio delle cose ci tiene in vita, non i soldi, non le cose, per quanto belle possano essere. Il desiderio è il motore di tutto e sto ben attento a tenermi dei sogni di riserva, anche per quello che ci sarà dopo la vita di adesso.
Il titolo del tuo ultimo album è Luce buia. Che cosa significa “luce buia”?
Questo ossimoro è un’invenzione di Giuliano, mio figlio, pronunciata per descrivere la luce di una giornata con un sole fortissimo ma coperto a tratti da grosse nuvole scure, arrivata magicamente a dare un senso e un filo conduttore al lavoro del cd in preparazione, a partire dal brano che avrebbe preso questo titolo. Io guardo molto il cielo, con il sole o le nuvole, mi rasserena e riporta le cose alla loro vera dimensione. Amo in particolare quel tipo di luce dove coesistono il bianco e il nero delle cose, testa e croce della moneta, l’immagine e l’ombra. È quello che c’è in questa musica, dove si parla di famiglia e di figli con la gioia e le ansie; del vento, meraviglia e paura di essere portati via, di lasciarsi andare; di quotidianità e grandi imprese, di rabbia e impegno, di attesa, preparazione e desiderio; di morte e di vita al di là della morte; di posti bellissimi e incasinati, come Napoli (o come Bagnara); di persone speciali e delle loro fragilità; di amore: semplicità e bellezza infinita. E’ la luce buia, appunto.
Quali sono gli altri progetti di cui ti stai occupando?
Vorrei occuparmi solo di “Luce buia”, adesso, ma la musica è anche questo insieme di voci, diverse, a volte molto diverse tra di loro che convivono nello stesso momento. Anche in questo, però, devo dire di aver avuto la fortuna di poter selezionare progetti di una certa qualità artistica: Mattanza dove stanno confluendo l’esperienza e le canzoni nate con i Discanto (il nome del tour 2010 è stato “Comu na carizza”, frase tratta dalla “Luna turca”, brano inciso con i Discanto appunto, e ormai parte del repertorio Mattanza), ma anche l’arrangiamento dei nuovi brani in lavorazione. In particolare è in atto una collaborazione a un progetto molto interessante per la realizzazione di una compilation di brani del Banco di Mutuo Soccorso, a cui prendono parte Tom Waits, De Gregori, Jovanotti, Battiato, Finardi, Zampaglione, Cristicchi, Bennato e… i Mattanza, con un brano bellissimo dello storico gruppo, che ho avuto il piacere di arrangiare, insieme ad alcuni compagni di lavoro, e che vedrà la partecipazione vocale di Francesco Di Giacomo.
Poi c’è il teatro, con il quale ho la fortuna e la soddisfazione di scrivere ed eseguire, a volte dal vivo, la mia musica, nelle produzioni già elencate nella scheda iniziale. Ma soprattutto, nella mia testa, in questo momento ci sono le note di quest’ultimo lavoro, per il quale sto immaginando e cercando di creare una performance speciale che ha a che fare anche con la mia deformazione professionale musicoterapeutica, con l’utilizzo di immagini e la partecipazione attiva del pubblico, ma principalmente con la musica del pianoforte e, come già accennato, del violino, del violoncello, delle percussioni orientali, con l’elettronica e chissà cos’altro.
Oltre ad acquistare i tuoi album e assistere ai tuoi concerti, chi desidera seguirti e saperne di più sulla tua musica, dove può rivolgersi?
Alcune parole per i giovani.
Non sono bravo a dare consigli, non sono stato bravo ad ascoltarli. L’esempio credo serva molto di più, l’esperienza insegna. Ma un’ultima cosa da aggiungere forse c’è, una piccola storia, una visione:
Vedo un ragazzo che indossa vestiti alla moda, mette il gel sui capelli, ha comprato una chitarra bellissima e costosissima, e centomila watt di potenza dell’amplificazione fanno arrivare il suono alle stelle. Quando suona, le luci e l’altezza del palco lo fanno sembrare e sentire una star; si fa una canna e beve qualcosa di forte per sentirsi più sicuro di sé. Dice a tutti che suona con gente che ha suonato con gente che ha suonato con il cugino di uno che conosceva personalmente Santana. Tutti, tutti quanti gli dicono che è un genio nel suo genere, che ha talento da vendere, che presto lo vedranno in tv. Poi gli succede davvero. Ma quando arriva davanti a tutta quella gente, che voleva sentire lui e che si aspettava di avvertire un movimento, anche piccolo, del cuore, cominciano a tremargli le gambe. E allora si accorge di non essersi preparato bene, di non aver studiato abbastanza il repertorio, che avrebbe fatto meglio a rompersi il culo a provare e provare invece di affidarsi completamente al suo “grande talento” e, soprattutto, si accorge di non avere niente da dire. Vedo la gente che lo guarda un po’ delusa e sento due persone che, mentre vanno via, dicono che il ragazzo aveva un vestito molto bello.
Beh, in conclusione, spero che i ragazzi si accorgano, prima possibile, che la musica è altrove.