- di
Saso Bellantone
Il
fragore dell'acqua limpida e fresca rendeva quella fontana simile a
un totem, a un feticcio che caricava di sacralità l'intera piazza.
Da sempre ed eternamente differente, l'acqua scorreva fuoriuscendo
dalla bocca di quei buffi leoni ferrosi e arrugginiti, trasportando
con sé le note di mondi e di tempi ormai andati. Malgrado fosse
sempre la medesima, quelle note liquide generavano una strana
sinfonia, un concerto naturale, innocente e antico al pari dell'Om da
cui tutto ebbe inizio. Quel suono impareggiabile ammaliava tutti,
grandi e piccoli. Attirava chiunque passasse da quelle parti così
come il canto di una sirena alle foci di un fiume seduce e attrae a
sé le ciurme di pescatori remanti sulle acque del mare attiguo. Non
si poteva passare oltre. Come invasati da un potere avulso, occorreva
fermarsi, sostare alcuni istanti alla fonte e bere alcuni sorsi di
quel fluido cristallino, lasciando che rinfrescasse l'anima con la
sua musica ancestrale e attuale nel contempo.
Anche
Lazzaro, quel giorno, si era fermato da un lato della fontana per
dissetarsi.
Aveva
appena iniziato le scuole elementari e fino ad allora era solito
uscire di casa assieme ai genitori o ad altri parenti. Quella mattina
di domenica, tuttavia, per la prima volta gli era stato concesso di
uscire da solo. Tanta era la gioia di poter valicare i confini
casalinghi che, una volta varcata la porta e ritrovatosi fuori, non
sapeva dove andare.
Aveva
cominciato a pensare, a rivedere una per una tutte le immagini e i
ricordi che la sua giovane mente custodiva nei magazzini della sua
memoria, nella speranza di individuare un posto da visitare o
qualcuno da andare a trovare, ma non gli venne in mente niente e
nessuno. Non conosceva ancora quel posto al di fuori di casa sua né
aveva amico alcuno. Così, per un attimo, era stato tentato di fare
dietrofront e di tornarsene dentro casa, quando la sua piccola mente
gli aveva offerto l'unica immagine chiara e distinta del paese che
custodiva: la fontana nella piazza. Aveva sorriso, felice di aver
trovato una meta, e si era subito incamminato sul vialone che portava
alla destinazione.
Il
cammino era lunghissimo. Doveva oltrepassare la distanza di numerose
case, disposte in fila l'una con l'altra, da un lato e dall'altro
lato della strada, muovendosi esclusivamente sul marciapiedi, come
gli aveva detto la madre:
–
Nommu vai nta sthrada! Pecchì passanu i machini e ti 'mbestunu! E
quandu a' passari i nu marciaperi all'authru, fermiti nte strisci,
guarda i nu latu e poi ill'authru, e se no' passunu machini, passa a
fujendu! Vo' mi vegnu cu tìa?”.
–
No mamma... – aveva ribattuto prontamente – Ormai sono grande ed
esco da solo!
E
così aveva fatto. Solitario, come una rondine in mezzo al cielo
azzurro in cerca di cibo, aveva sfidato l'ignoto del paese alla
ricerca della fontana, unico riferimento sicuro per la sua folle,
seppur iniziale e infantile, escursione. Che emozione! Finalmente era
uscito da solo! Finalmente gli altri bambini non lo avrebbero più
preso in giro e lo avrebbero considerato grande, un adulto!
Lungo
il tragitto, osservava le case colorate simili all'arcobaleno, le
donne che stendevano i panni sui balconi, le vecchie sedute fuori
casa che intonavano canzoni antiche pulendo fagioli e fagiolini, i
vecchi che passeggiavano l'uno di fianco all'altro commentando le
notizie appena lette sul giornale, le automobili che passavano veloci
sulla strada dirette verso chissà quali avventure. Il sole
primaverile accarezzava la sua pelle con delicatezza e illuminava lo
scenario sconosciuto nel quale si muoveva, avvolgendolo di
un'atmosfera quasi magica, fatata, come i cartoni che guardava in
televisione. Solo che quello che vedeva non era finto. Era vero, e
lui era un attore come gli altri nel cartone della vita.
Ammirando
la bellezza del paese e gustando pienamente la sua prima uscita “da
grande”, Lazzaro non si era reso conto che aveva già fatto
parecchia strada e che la fontana era ormai vicina. Aveva capito di
trovarsi nei paraggi della fonte perché all'improvviso aveva sentito
quel suono incantato che poteva provenire soltanto dalla sorgente
collocata in piazza.
Via
via che proseguiva, tanto più lo scroscio dell'acqua aumentava la
sua musica tanto più il cuore di Lazzaro si riempiva di gioia.
Finché, superato l'angolo, finalmente l'aveva vista.
Era
lì, bella, esattamente come la ricordava: una colonna di ferro con
due goffi leoni da una parte e dall'altra, dalla cui fauci l'acqua
sgorgava e precipitava dentro delle aperture poste alla base della
struttura, creando in tal modo quella sinfonia indimenticabile e
senza uguali che permeava l'intera piazza di un'atmosfera stregata.
C'era
riuscito. Era arrivato alla meta. Alla fontana. Adesso, poteva
sentirsi un adulto per davvero e sarebbe cominciata per lui una nuova
vita, quella in cui entrava a pieno diritto tra “i grandi” e
nessuno poteva più dirgli che era soltanto un bambino. Ma era solo.
Non c'era nessuno che poteva assistere al suo traguardo e, forse, a
scuola non lo avrebbero creduto se avesse raccontato questa vicenda.
Rendendosi
conto di ciò, un velo di malinconia era passato nel cuore di
Lazzaro. Era bello, sì, uscire da soli come gli adulti, ma era
triste vivere esperienze talmente emozionanti, appunto, da soli.
Avvicinandosi piano piano alla piazza, si guardava intorno deluso.
C'erano degli adulti seduti ai bordi della piscina del Monumento
vicino alla fontana. Si sentiva osservato ed era imbarazzato,
chiedendosi che cosa stessero pensando di lui “i grandi” che lo
avevano visto da solo. Così, per non dare a vedere il suo impaccio,
Lazzaro aveva raggiunto la sorgente e, muovendosi nella maniera più
spontanea possibile, si era fermato da un lato della fontana per
dissetarsi.
Guardò
l'acqua fuoriuscire dalla bocca del leone e scorrere come un filo di
cristallo per poi perdersi nelle tubature alla base della fontana,
suonando in tal modo quel mirabile concerto che lo aveva
ipnotizzato, conducendolo là. Si curvò, si avvicinò lentamente e
iniziò a bere, lavando via da dentro di sé quel desiderio di
diventare “grande” e l'insicurezza di essere visto dagli adulti
come un bambino. Bevve avidamente, tanto era fresca l'acqua, e finì
col bagnarsi entrambe le guance. Quando fu sazio, si rimise dritto e
si asciugò le gote con la manica del bomber che portava addosso, ma
non ebbe il tempo di finire il gesto che si accorse di non essere più
solo:
–
Ciao! – gioì un bambino, porgendogli la mano – Io sono Carmine,
e tu? Come ti chiami?
–
Mi chiamo Lazzaro – rispose timidamente, stringendo la mano
dell'altro e gettando un'occhiata agli adulti che osservavano la
scena.
–
Quanti anni hai?
–
Sette e mezzo. E tu?
–
Io sette. Allora possiamo uscire insieme se ti va. Mia mamma dice che
devo uscire con quelli più grandi di me... – sorrise Carmine,
restando assieme a lui e attendendo una risposta.
–
D'accordo!
Non
appena Lazzaro ricambiò il sorriso, gli adulti dissero a Carmine di
non fare tardi e se ne andarono, salutando entrambi e lasciandoli
soli.
Lo
avevano scoperto. Avevano capito che non era un adulto ma soltanto un
bambino. Proprio come quello che aveva davanti a lui, come Carmine.
Non
gli importava. Aveva dimostrato a se stesso di saper raggiungere la
fontana e, soprattutto, adesso, non era più solo.
Finalmente aveva
un amico.
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